Next Generation Italia Volume 1 - Il Foglio del Come

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NEXT GENERATION ITALIA

VOLUME 1


Indice

PREMESSA 4 2 GIOVANI Struttura del Piano 8 2.0 Executive Summary Il gap socioeconomico 10 2.1 Investire sui NEET di oggi Governance 20 2.2 Prevenire i NEET di domani

1 BAMBINI 1.0 Executive Summary 1.1 Potenziare le strutture per la prima infanzia 1.2 Migliorare l’offerta formativa 1.3 Stimolare la domanda

25 26

3 DONNE 3.0 Executive Summary

30 38 46

3.2

3.1

3.3

3.4

3.5 3.6

Riforma dei congedi di genitorialità Strumenti di promozione dell’occupazione femminile Trasparenza nelle retribuzioni e negli organici - Certificazione Equità salariale Combattere gli stereotipi, dalla nascita Contrasto alla violenza Educazione sessuale

53 54 62 78 115 116 120 128

134 136 140 148

Aprile 2021


NEXT GENERATION ITALIA Premessa


Premessa I fondi del Next Generation EU (NGEU) servono a ridurre più velocemen-

te il gap socioeconomico che si è creato negli anni tra l’Italia e gli altri Paesi europei, un divario in aumento da molto tempo, che la pandemia ha solamente esacerbato.

Il dibattito sorto sul piano italiano è surreale. Il “Next Generation Plan” nazionale altro non dovrebbe essere che una fonte di finanziamento

aggiuntiva di un programma di Governo. Ovvero, i partiti non dovrebbero correre per trovare idee e progetti. Dovrebbero già averli in te-

sta. Questa è la politica. Azione vuole fare proprio quello che gli altri partiti non hanno fatto sinora: proporre politiche per migliorare il Paese e costruire un programma di riallineamento dell’Italia con i grandi

Paesi dell’UE. Nella parte finale del documento indicheremo quali sono le fonti finanziarie adeguate per i diversi interventi. Le cause del declino.

La distanza con i grandi Paesi europei è aumentata inesorabilmen-

te e la maggior parte degli indicatori socioeconomici peggiora anno dopo anno. Siamo diventati uno dei Paesi meno istruiti e meno equi

d’Europa, in particolare per i giovani, per le donne e per chi vive nel Meridione. Anni di crescita anemica hanno determinato un generale

impoverimento. Le ultime difese rimaste sono il risparmio e il patrimonio. Ma entrambe sono destinate a crollare con l’aumento del debi-

to pubblico e la bassa crescita. Nel 1913 l’Argentina era il decimo Paese più ricco del mondo, in termini pro capite. Fino agli anni 30 ha più

o meno tenuto. Poi, un inanellarsi di crisi politiche e populismo ha fatto lentamente sprofondare il Paese. Negli ultimi 20 anni, l’Argentina è fallita tre volte. Oggi, in Argentina, una persona su tre è povera. L’uni-

ca ragione per cui ciò non è ancora accaduto all’Italia è la sua appartenenza all’UE. 4


L’Italia sta attraversando quello che in gergo tecnico si chiama crisi si-

stemica. Negli ultimi trent’anni, infatti, il nostro Paese è quello che ha perso maggior competitività tra i Paesi sviluppati. Vuol dire che le nostre automobili si vendevano e ora si vendono meno; che i nostri vesti-

ti si vendevano e ora si vendono meno. O anche che si vendono lo stesso, ma non li facciamo più noi, li fanno altrove. E nel frattempo noi non

abbiamo trovato altro da fare. A una perdita di competitività è segui-

ta a sua volta una stagnazione dei redditi, mentre hanno continuato a crescere altrove. Vuol dire che siamo pagati solo il 4,6% in più rispetto al

1997, mentre un cittadino tedesco è pagato il 22,1% in più, un francese il 26,6% in più, un coreano del sud il 90% in più.

In una crisi sistemica come questa, i problemi si alimentano e si aggravano reciprocamente. Ne segue che, per ripartire, non possiamo guardare a singole istanze, ma dobbiamo guardare il Paese nel suo insieme

attraverso un sistema coerente e completo di riforme, in cui la buona riuscita di ognuna diventa il presupposto per l’efficacia e il successo delle

altre, e di riallocazione della finanza pubblica.

Oggi questi problemi si stanno aggravando ulteriormente: l’emergenza Covid non solo esacerba la crisi preesistente, ma palesa l’inadeguatezza della macchina dello Stato nella sua interezza. Le ultime stime ci dicono che l’Italia è tra i Paesi sviluppati che hanno subito più morti - 1,4

morti ogni 1000 abitanti rispetto a 1,1 in Francia e 0,6 in Germania1 - speso

di più per fare fronte all’emergenza - 9,3% di deficit aggiuntivo (nel 2020 rispetto al 2019) contro il 7,6% in Francia e il 6,6% in Germania - e ripren-

deremo a correre molto più lentamente – ci mancheranno infatti anco-

ra 2,2 punti di PIL nel 2022 contro 0,5 in Francia, mentre la Germania sarà

cresciuta di 0,4 punti. Queste cifre non sorprendono: non esiste una di-

cotomia tra salute ed economia; se si è bravi a salvare vite velocemente, si è anche bravi a improntare una risposta economica, perché en-

trambe sono elaborate dallo stesso apparato gestionale. Quello che in gergo si chiama “state capacity”. La bassa “state capacity” è dovuta in

parte al conflitto di competenze tra amministrazioni locali e nazionali, in parte all’indebolimento di una Pubblica Amministrazione mal gestita, regolata e diretta dalla politica, e in parte a un’assenza di leadership e coesione sociale.

Questo perché il rapporto tra Stato, politica e cittadini è diventato anch’esso disfunzionale. Riteniamo lo Stato responsabile per quasi tutto -

anche per la nostra condizione individuale a prescindere da cosa l’abbia determinata - ma siamo poco disponibili a impegnarci in prima persona

in termini di civismo e partecipazione ai costi dell’amministrazione pubblica (evasione). Anche la modalità di esercizio del voto, segnata dall’appartenenza ideologica più che da una valutazione della qualità dei rap-

presentanti, delle proposte e dei risultati, indica che la richiesta di buon

governo rimane spesso più una figura retorica che un obiettivo da per-

1 Dati fino al 24 gennaio 2020.

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seguire attraverso la scelta politica. Siamo noi cittadini i primi a pensare che la politica non sia gestione efficiente dello Stato ma scontro tra tribù.

L’unica occasione - e forse l’ultima - per spezzare questo circolo vi-

zioso è usare bene i fondi del Next Generation EU (NGEU). Per due motivi. In primo luogo, spendere male investendo in settori non compe-

titivi o finanziando progetti secondari può fare più male che bene: a parità di investimento, aiutare i giovani a entrare in un mercato del lavoro efficiente ha più impatto di lunga durata che mantenere in vi-

ta aziende decotte. In secondo luogo, per evitare di perdere quasi del tutto la nostra indipendenza finanziaria. Alla fine del 2020, il nostro de-

bito pubblico è arrivato a 2.587 miliardi, ovvero il 158% del PIL, il secondo più alto tra i Paesi europei dopo la Grecia. Questo non è necessa-

riamente un male, se saremo in grado di generare abbastanza attività

economica da poter abbattere il debito nel tempo. Ma se investiremo male i fondi NGEU, potremmo non generare la crescita necessaria per

abbattere il debito nel corso degli anni e quindi avremo difficoltà a tro-

vare investitori pronti a concederci altro tempo. Se la BCE non dovesse rinnovare il suo piano pandemico di acquisto di titoli (PEPP), l’Italia potrà di nuovo avere difficoltà a finanziarsi sul mercato, come già acca-

duto nel 1974, nel 1992 e nel 2011.

Per investire 209 miliardi in cinque anni in misure di crescita è ne-

cessario uno Stato che funzioni. Gli scarsi risultati dell’Italia durante la

pandemia, in termini sanitari, economici e di spesa per fronteggiare le

chiusure delle attività, dimostrano lo stato di paralisi gestionale e amministrativa in cui versa lo Stato italiano. Per invertire la rotta, ovvero in-

vestire al meglio li risorse del NGEU, tornare a crescere e avere una fi-

nanza pubblica sostenibile indipendentemente dalle scelte di politica monetaria e fiscale europea, è necessario che prima di tutto lo Stato torni a funzionare.

La nostra prospettiva politica e culturale si fonda su alcuni punti fermi: • LO STATO. Il ruolo dello Stato deve essere forte, laddove gli compete.

Prima di tutto, lo Stato deve garantire a tutti coloro che risiedono regolarmente nel nostro Paese uguali opportunità. Da qui il ruolo pri-

mario che assegniamo allo Stato nell’istruzione, nella protezione della

salute, nella lotta alla povertà e nella salvaguardia dell’ambiente. Se-

condo, lo Stato deve far sì che ognuno arrivi là dove le inclinazioni per-

sonali lo portano e il merito gli consente, nel pubblico come nel privato. E infine lo Stato deve fornire sostegni per accompagnare le grandi

transizioni socioeconomiche. In queste fasi, la velocità del progresso

tecnico e del mercato tende a spaccare la società, che ha un processo di adeguamento inevitabilmente più lento. Compito dello Stato è

ricomporre il più possibile queste fratture senza frenare il progresso. Stato forte non vuol dire Stato pervasivo. Al contrario il pubblico deve concentrare le sue energie sul fare quello che gli spetta. Stato for-

te è anche uno Stato capace di decidere e mettere in atto le decisioni, attraverso una macchina burocratica che deve tornare a essere 6


uno sbocco professionale per le energie migliori del Paese. Contem-

poraneamente, occorre superare la follia di una politica chiamata a

dare solo gli indirizzi a una burocrazia che ha il compito di decidere il “come”. L’azione dello Stato va poi adeguatamente protetta dalle invasioni di campo delle magistrature penali e amministrative. La

necessità di profonde riforme istituzionali a tutti i livelli e per tutte le funzioni della sfera pubblica è sempre più evidente. A questo aspetto dedicheremo un capitolo.

• I CITTADINI. Lo spazio economico e di iniziativa sociale per i cittadini

(e con questa parola intendiamo le persone regolarmente residenti nel nostro Paese) deve essere preservato e ampliato. La pervasività

del pubblico e il rifiuto della concorrenza e della sussidiarietà, come

elementi di stimolo della vivacità culturale ed economica del Paese, stanno zavorrando l’Italia da decenni. Allo stesso modo, torna prepotentemente l’idea che compito dello Stato sia costruire finte reti di

protezione, nazionali e locali, costose, ridondanti e poco efficienti. In-

vestire su Quota 100 invece che sull’istruzione è, ad esempio, un clas-

sico esempio di errata allocazione delle risorse. L’iniziativa privata va anche liberata dagli innumerevoli controlli che nascono da una pro-

fonda e radicata diffidenza verso le imprese. La corruzione nasce anche dai processi barocchi spesso messi in piedi per combatterla.

• LO SVILUPPO SOSTENIBILE. La doppia transizione. Ricollegare l’Italia al

percorso di crescita dei grandi Paesi UE implica seguire anche il processo di cambiamento radicale derivante dalla doppia sfida digita-

le e ambientale. Non possiamo separare temporalmente la ricostruzione nazionale dall’affrontare le sfide del progresso. Da questo punto

di vista il nostro piano collegherà sempre i due momenti.

• LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE. La convergenza con l’UE e la capacità di stare al passo con l’agenda europea, dal completamento

del mercato unico, alla doppia trasformazione digitale e ambientale, è la premessa di questo documento. Primo perché fallire nell’im-

piegare al meglio i fondi NGEU avrebbe forti ripercussioni non solo

per l’Italia, ma per l’Unione Europea tutta: se si fallisce col NGEU, sarà più complesso continuare il progetto d’integrazione europea portato avanti sinora. Secondo, l’Italia dipende largamente dall’export e dal turismo. Preservare un sistema di scambi libero e la massima

apertura delle frontiere è di fondamentale importanza. Esiste tuttavia un rischio concreto di incursioni predatorie da parte di investitori che

provengono da Paesi che non sono economie di mercato. Di fronte a questo rischio, il rafforzamento degli strumenti di difesa commercia-

le e di protezione degli investimenti in linea con la normativa euro-

pea è essenziale. Deve essere poi chiaro che l’Italia rimane ancorata all’UE e al rapporto con gli Stati Uniti e le altre grandi democrazie, con le quali va costruita una rete di accordi di libero scambio e integra-

zione economica. Nessun cedimento o attrazione nell’orbita di autocrazie vicine o lontane può essere accettato.

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Struttura del piano La premessa del piano è dedicato a quantificare e analizzare la diffe-

renza tra Italia e UE usando due gruppi di indicatori differenti, anche

se profondamente connessi: indicatori economico-produttivi e indicatori sociali. In particolare, riguardo a questi ultimi abbiamo preso come

riferimento gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite e il loro andamento per l’Italia monitorato da Istat.

Ci sono scelte politiche che, a parità di efficienza economica, dobbiamo fare per decidere che Paese vogliamo essere. Per esempio, si può

avere un’economia forte e dinamica, fondata su bassi livelli di tassazione, protezione e servizi sociali. Non è il modello che vogliamo. Azione cre-

de al contrario che la prospettiva debba essere sempre quella dell’avanzamento della società, che non può essere riassunto nella crescita

del PIL. Da questo punto di vista, modernizzazione dello Stato Sociale e Sviluppo Sostenibile sono indissolubilmente legati.

A seguire, il piano definirà per ognuno dei gap identificati un percorso

per colmarli. La struttura dei capitoli operativi sarà organizzata in: dia-

gnosi del problema, obiettivi di breve e medio periodo, strategia im8


plementativa, costo. Particolare attenzione verrà posta sul “foglio del

COME”, ciò che manca in tutte le proposte politiche. Ogni capitolo riporterà, insieme alle iniziative da implementare, le riforme che devono

accompagnare il piano e favorirne la realizzazione. All’interno dei capitoli troverà posto un’analisi dei casi considerati di eccellenza nel mondo su quello specifico tema.

Infine, i capitoli del piano verranno presentati man mano che saranno pronti. L’obiettivo è raccogliere suggerimenti e critiche da cittadini e

associazioni. Un piano Paese diventa tale se viene prodotto attraverso uno sforzo collettivo delle sue menti migliori. Anche per questo, nell’e-

laborazione della bozza del piano abbiamo attinto a quanto prodotto da associazioni ed esperti, al Piano Colao e alle proposte di Recovery Plan circolate dalle varie forze politiche, nonché ai piani preparati dagli altri Paesi europei.

Dopo la pubblicazione di tutti i capitoli, per ognuna delle azioni individuate, verrà riportata la fonte finanziaria “idonea”. Non tutto infatti, come

già scritto, può essere finanziato con NGEU.

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Il gap socioeconomico IL GAP ECONOMICO

Per analizzare il ritardo economico, confrontiamo l’Italia con la Francia, la Germania e la media UE 27 rispetto alle tre variabili fondamentali che costituiscono l’attività produttiva di un’economia: chi lavora, con quali strutture e in che modo (lavoro, capitale e produttività).

Per delineare il ritardo esistente tra Italia e gli altri Paesi, scomponiamo ognuna di queste variabili in una serie di indicatori misurabili attraverso cui possiamo approssimare il divario per ogni variabile.

Il Lavoro Partiamo dal lavoro, ovvero da chi lavora, quanto lo fa e perché. In

Italia, lavorano poche persone, molte meno che negli altri Paesi. Ma non perché siamo fannulloni, quanto perché non ci sono opportunità per molte categorie.

Prima di tutto, la popolazione è in contrazione. Nascono poche persone,

molto meno che altrove. E ne arrivano poche dall’estero. I due canali

per incrementare la forza lavoro sono la natalità e l’immigrazione qualificata; entrambi insufficienti. La scarsa natalità è un problema irrisolto

da anni: la società italiana è oggi una delle più vecchie al mondo. L’im-

migrazione è inferiore a quella degli altri Paesi, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori qualificati. Al contrario, l’emigrazione di molti lavoratori, anche altamente qualificati, spesso giovani, priva la forza lavoro

italiana di molte delle sue migliori risorse.

Oltre ad una forza lavoro potenziale in contrazione, in Italia pochi lavo-

rano, specialmente donne e giovani. Questo genera un danno econo10


mico in termini di mancato reddito, e per di più la scarsa partecipazione dei giovani va ad aggravare ulteriormente il declino demografico, perché è difficilissimo formare una famiglia senza un lavoro. Inoltre, non bisogna dimenticare che, anche quando riescono a trovare un la-

voro, i giovani sono spesso sottopagati e precari, condizioni che precludono la possibilità di raggiungere l’indipendenza economica. La

scarsa partecipazione femminile è causata da e contribuisce ad alimentare gli stereotipi di genere, una piaga ancora medievale del no-

stro Paese. La forza lavoro è inoltre depressa da un alto tasso di lavoro

nero, soprattutto se paragonato a Francia e Germania che priva i lavoratori di adeguati strumenti di protezione.

Infine, un problema strutturale enorme è l’altissimo tasso di disoccupati di lunga durata, ovvero quelle persone che rimangono senza lavoro per lunghi periodi. Questi lavoratori hanno sempre più difficoltà a rien-

trare nel mondo del lavoro man mano che il periodo di disoccupazione si allunga. Oltre al danno economico in termini di perdita permanente

di competenze e forza lavoro, i disoccupati di lunga durata costituiscono un vero e proprio dramma sociale: sappiamo che essere disoccupati

per lunghi periodi aumenta il rischio di malattie e di suicidi e crea instabilità nelle famiglie e, soprattutto, nei figli, con ricadute intergenerazionali.

Gap in termini di quantità di lavoro TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

ITA

EU27

FRA

DEU

Tasso di fertilità

1,3

1,5

1,8

1,6

Quantità di Lavoro

Bassa natalità

Forza Lavoro

Partecipazione

Disoccupazione

Combinazione di bassa natalità e scarsa immigrazione creano fortissimi squilibri nella piramide demografica, con conseguenze non solo sul sistema fiscale e pensionistico,

Bassa immigrazione

ma soprattutto sul mercato del lavoro che protegge categorie anziane e demograficamente più numerose.

Popolazione nata all'estero su totale

10,4%

11,0%

12,8%

15,7%

Bassa partecipazione femminile

Tra il 1990 e il 2010 i Paesi sviluppati sono cresciuti più del nostro Paese proprio perché hanno attratto donne nel mercato del lavoro. In Italia ancora non è successo.

Partecipazione della forza lavoro femminile

51,5%

64,8%

66,2%

71,8%

Bassa partecipazione migranti

Scarsa integrazione e un difficile percorso di cittadinanza (anche per chi è nato in Italia) limitano la partecipazione di nati all’estero al mercato del lavoro.

Tasso occupazione lavoratori stranieri

61,0%

63,1%

55,4%

66,6%

Alto numero di NEET

Due milioni di giovani non studiano o non lavorano per ragioni strutturali. Si calcola che costi all’incirca 2 punti di PIL all’anno (EC).

NEET (15-34)

23,8%

14,0%

14,0%

9,3%

Lavoro sommerso

Alto lavoro sommerso, sia grigio sia nero, limita la partecipazione ufficiale. Ma anche se lavoro sommerso è produzione di ricchezza, non è protezione.

Stima quota lavoro nero su occupati

12,9%

11,6%

8,8%

4,4%

Alta disoccupazione di lunga durata

I disoccupati di lunga durata hanno fortissime difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro e sono a rischio psicologico, medico, con forti ricadute su figli.

Disoccupazione di lunga durata

5,60%

2,80%

3,40%

1,20%

11


Il Capitale Dopo il lavoro, c’è il capitale fisico con il quale le persone devono ma-

terialmente lavorare. Gli investimenti sono la variabile più importante per la crescita economica di un Paese perché vanno a incrementare

la quantità di capitale produttivo a disposizione, sostituendo la quota che si deteriora man mano nel tempo. Se l’economia italiana è in stagnazione da anni, una delle cause più importanti è la scarsità di investimenti, sia pubblici che privati.

Gap in termini di quantità di capitale TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

ITA

EU27

FRA

DEU

Quantità di Capitale Investimenti Pubblici Investimenti Privati

Basso tasso di investimenti infrastrutturali

Forti carenze infrastrutturali, fisiche ma soprattutto digitali, limitano la crescita.

Tasso investimenti pubblici sul PIL

2,14%

--

3,51%

2,08%

Basso tasso di investimenti

Effetto di domanda anemica, ma comunque basso tasso aumenta velocità di obsolescenza, riducendo capacità produttiva potenziale.

Investimenti fissi lordi sul PIL

18,1%

22,1%

23,6%

21,7%

ITA

EU27

FRA

DEU

-6,15%

--

5,71%

11,30%

La produttività Infine, c’è il modo in cui lavoratori e strutture interagiscono, ovvero la

produttività. Se un lavoratore ha davanti a sé un computer, ma non lo sa usare se non per scrivere su Word, diciamo che non ne fa l’uso più

produttivo. Sicuramente meno di uno svedese che lo usa per programmare Spotify. E questo è forse il maggior ritardo italiano.

La produttività totale dei fattori italiani ha raggiunto i livelli massimi nel

2000. In seguito, si sono alternati anni di calo durante le crisi del 2001, del

2008 e del 2012 e anni di stagnazione, senza una vera e propria ripresa. Invece, in Francia e in Germania si è registrata una crescita consistente dal 2000 al 2019, nonostante il forte declino avvenuto durante la crisi del

2008. Per comprendere le cause di questo fenomeno, dobbiamo scomporre questo indice nelle sue variabili, in modo da individuare i punti di debolezza dell’economia italiana rispetto ai benchmark europei.

TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

Produttività Produttività totale dei fattori

Produttività totale dei fattori in declino

La produttività totale dei fattori italiani è calata considerevolmente negli ultimi 20 anni, mentre negli altri grandi Paesi europei è cresciuta.

Variazione della produttività totale dei fattori (2000-2019)

La produttività del lavoro in Italia è inferiore rispetto agli altri Paesi prima di tutto a causa del basso livello di istruzione e formazione. L’Ita-

lia registra performance peggiori rispetto a Francia, Germania e media 12


UE27 sia per i risultati dei test degli studenti, sia per la quota di adulti che

seguono corsi di formazione, sia per il numero di laureati in rapporto alla popolazione. Inoltre, il legislatore italiano ha sempre trascurato le politiche attive del lavoro, necessarie alla formazione e alla riqualificazione

dei lavoratori, che sono spesso ancora in una fase embrionale. L’Italia investe poche risorse per le politiche attive e troppe in politiche passive. Le

scarse risorse destinate alle politiche attive sono inoltre troppo concentrate sugli incentivi alle assunzioni, a discapito della formazione.

Un ulteriore problema strutturale che limita fortemente la produttività del lavoro in Italia è il sottodimensionamento delle imprese e la loro scarsa capacità manageriale. In Italia la quota di micro e piccole im-

prese è molto maggiore rispetto agli altri Paesi. Le imprese di piccola dimensione sono in media meno innovative, meno competitive e peggio gestite rispetto a quelle di più grande dimensione. Di conseguenza, il loro lavoro è meno produttivo.

Gap in termini di produttività del lavoro TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

ITA

EU27

FRA

DEU

PISA tasso fallimento livello 2 (base) in matematica

23,80%

22,90%

21,30%

21,10%

Adulti che partecipano alla formazione

8,1%

10,8%

19,5%

8,2%

Laureati su popolazione totale (15-54 anni)

17,4%

27,9%

33,7%

26,0%

% di lavoratori con skills mismatch

34%

--

26%

20%

Produttività

Bassi livelli di istruzione Scarsa formazione continuativa

Skill Mismatch

I dati mostrano che gran parte della filiera educativa è sostanzialmente inceppata. Produce risultati peggiori, forma meno e per meno tempo, non crea abbastanza laureati e professionisti. Questo porta a formare lavoratori le cui competenze non sono adeguate al mercato del lavoro sia attuale sia potenziale.

Politiche attive poco sviluppate

Anche qualora il sistema educativo funzionasse, quando un lavoratore perde il lavoro viene abbandonato a se, senza aiuto nel re-skilling.

Spesa pubblica per le politiche attive del lavoro sul PIL

1,70%

1,95%

2,34%

1,84%

Bassa mobilità territoriale

Gli italiani si muovono poco sul territorio, principalmente per ragioni di costo (frizioni nel mercato immobiliare). Ciò non consente di cercare lavoro dove c’è.

Giovani che vivono con a famiglia di origine sul totale (25-34 anni)

53,1%

30,5%

11,4%

16,6%

Occupati in imprese con meno di 10 addetti

45%

29%

26%

19%

Punteggio medio di qualità manageriale

3,02

--

3,02

3,23

Basso numero laureati

Sotto dimensionamento imprese

Del Lavoro

Qualità manageriale

La piccola dimensione delle imprese non garantisce loro di innovare al passo con il resto del mondo perché ICT richiede scala e buon management.

Se la scarsa istruzione, formazione e un mercato del lavoro ineffi-

ciente impediscono ai lavoratori di lavorare al meglio, a ostacolare le imprese contribuiscono un sistema finanziario sottosviluppato e la scarsa capacità di innovare.

La disponibilità e l’efficiente allocazione del credito sono fattori essenziali per la crescita e l’innovazione, forse tra i più dirimenti. In Italia, il 13


mercato del credito è ancora sottosviluppato, infatti la quota di credito privato in rapporto al PIL è inferiore a Francia, Germania e UE27, e troppo poco diversificato, e la quota di credito bancario in rapporto al PIL è decisamente superiore rispetto alla rispettiva quota di credito non bancario. E la principale fonte di finanziamento, il sistema bancario, pur essendo migliorato negli ultimi anni, non è ancora stato risanato completamente dopo la crisi e detiene ancora una quota considerevole di prestiti a rischio. La seconda debolezza della produttività del capitale italiano è lo scarso livello di spesa in ricerca e sviluppo e innovazione, sia pubblica che privata, decisamente inferiore rispetto agli altri Paesi sviluppati. Una conseguenza della scarsa innovazione è la scarsa digitalizzazione, dimostrata dallo scarso accesso a tecnologie digitali in seno alla Pubblica Amministrazione e alle imprese. Gap in termini di produttività del capitale TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

ITA

EU27

FRA

DEU

Credito al settore privato in % al PIL

74%

86%

108%

80%

Capitalizzazione di borsa sul PIL

36%

--

106%

53%

è ancora poco sano per via di NPLs che sono difficilmente trasferibili.

Crediti deteriorati sul totale

7,9%

3,0%

2,6%

1,3%

Bassi tassi di innovazione privata

Imprese italiane innovano molto poco. Sia quelle grandi, con poco R&D, sia quelle piccole. Non ci sono unicorni in Italia.

Spesa delle imprese private per R&D (euro per abitante)

268,9

457,2

521,0

910,2

Bassi tassi di innovazione pubblica

La difficoltà delle imprese private a innovare è anche dovuta alla scarsità di investimenti pubblici in ricerca di base (che sappiamo essere la rampa di lancio per innovazione).

Spesa del settore pubblico per R&D (euro per abitante)

54,4

78,9

98,6

178,3

Bassi tassi di digitalizzazione

Poca digitalizzazione all’interno delle imprese e della PA in Italia. Alcune ricerce mostrano come sia la causa prima della stagnazione degli ultimi 20 anni.

Impiegati che usano PC con accesso a internet

53%

56%

61%

59%

Produttività Bassa penetrazione creditizia e finanziaria Sistema finanziario bancocentrico

Sistema bancario non ancora sanato

Del Capitale

Il credito è il motore essenziale per la crescita. In Italia, purtroppo, il settore è ancora sottosviluppato. In primo luogo, è piccolo, ovvero non esteso a sufficienza. Inoltre è dominato dalle banche, senza una garanzia non solo di vera competizione di prodotto e innovazione finanziaria, ma anche di trasparenza, che solitamente i mercati dei capitali invece richiedono (debito e equity). In più il sistema bancario

Tutto questo, però, è influenzato direttamente dalle inefficienze del-

la cornice istituzionale nella quale l’economia opera. Le istituzioni, infatti, sottendono il gioco economico: per esempio, dare e prendere a

prestito del denaro può accadere solo se c’è la convinzione che tra le parti

nessuno si prenderà gioco dell’altra; perché ciò accada serve un sistema di norme che incentivi i contraenti a rispettare i patti. Più le istituzioni sono solide e stabili, più generano fiducia. E, a sua volta, la fiducia si gene-

ra attraverso un lento lavoro istituzionale che parte dal sistema giuridico

e legale e arriva alla competenza nella Pubblica Amministrazione. Purtroppo, l’inefficienza pubblica porta l’Italia a essere uno dei Paesi con il 14


più basso grado di fiducia nel prossimo. Questo si vede in molti gap isti-

tuzionali: innanzitutto, i dati mostrano come lo Stato italiano abbia bassa

policy capacity, ovvero capacità di dar seguito alle parole con atti certi, chiari e trasparenti. Lo Stato, in Italia, non riesce a soddisfare efficacemente i bisogni di cittadini e operatori economici, come la pandemia ha

tristemente dimostrato. Una burocrazia inefficiente e troppo complessa

aggrava l’attività delle imprese e ne frena la crescita. Inoltre, il sistema italiano continua ad essere caratterizzato da alti livelli di corruzione e di criminalità, che rallentano lo sviluppo del Paese. La lentezza e l’incertezza

giudiziale sono un freno alla capacità e alla volontà di eseguire transazioni economiche con impatto sulla crescita. L’elevato tasso di evasione

fiscale costituisce un problema di mancanze di gettito e distorsione della normale competizione economica. Infine, l’alto debito pubblico italiano e

l’alta spesa per interessi costituiscono un problema in Italia, poiché privano lo Stato di risorse per impiegare meglio il bilancio pubblico.

Gap in termini di produttività causati dal contesto istituzionale TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

ITA

EU27

FRA

DEU

Produttività

Architettura Istituzionale

Policy Capacity

Scarsa capacità dell'amministrazione pubblica di disegnare, implementare e valutare le politiche pubbliche.

Perc. Fondi Europei Spesi 2014-2020

43%

51%

61%

58%

Policy Capacity

Mediamente, la Pubblica Amministrazione italiana mostra una scarsa rispondenza ai bisogni di cittadini ed operatori economici, una scarsa imparzialità nel suo funzionamento ed un alto tasso di corruzione.

European Quality of Government Index

24,7

--

58,3

71,4

Corruzione

La corruzione diffusa (epifenomeno del più diffuso sistema clientelare e non meritocratico) blocca un processo decisionale basato su evidenza e dati.

Indice Percezione Corruzione (rank)

51°

--

23°

Criminalità

Prima condizione per lo sviluppo è che lo Stato abbia il potere di far rispettare le sue leggi nel territorio nazionale. In Italia esistono sistemi di norme paralleli.

Indice WEF di pervasività del crimine organizzato

123

70

48

59

Lentezza e incertezza giudiziale

Incertezza giudiziale grande freno alla capacità e quindi volontà di eseguire transazioni economiche con impatto su crescita e attrattività.

Lunghezza dei processi civili

2646g

542g

1221g

--

Disequilibrio fiscale

Alta spesa per interessi e pensioni limita spazio di manovra per il legislatore italiano e crea disuguaglianze redistribuitive.

Spesa per interessi

3,4%

1,5%

1,5%

0,8%

Elevata evasione fiscale

Scarsa capacità istituzionale di contrasto all'evasione dei tributi.

Evasione IVA 2017 (VAT gap)

24,5%

--

7,1%

8,6%

IL GAP SOCIALE

Ma l’economia non è tutto. Ci sono scelte politiche che, a parità di effi-

cienza economica, dobbiamo fare per scegliere che Paese essere. Per

esempio, si può avere un’economia dinamica, ma che non protegge gli

ultimi, perché considera le reti di protezione eticamente sbagliate e costose. Oppure si può avere un’economia altrettanto dinamica, ma dove

15


tutti stanno mediamente bene, senza eccessi in ricchezza o in povertà. Crediamo in un modello che protegga fortemente chi è in condizioni svantaggiate. Che lo faccia oggi, tramite un nuovo Stato sociale, e domani, tramite uno Sviluppo Sostenibile.

Noi crediamo nello Stato sociale. Crediamo che lo Stato debba garan-

tire una vita di qualità a tutti coloro che si impegnano per ottenerla,

indipendentemente dal genere, dall’etnia e dal reddito. E quindi crediamo in condizioni minime di salute, reddito, casa e territorio. Anche qui, l’Italia è in ritardo non solo rispetto agli altri, ma a se stessa. A se-

guito delle crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, a causa della

contrazione e della malagestione delle risorse disponibili, anche la qualità dello Stato Sociale è peggiorata. Gli effetti del peggioramento della qualità della sanità pubblica si sono manifestati drammaticamen-

te durante la pandemia Covid, e sono dimostrati inoltre dall’alta spesa privata per sanità e dalla scarsa disponibilità di posti letto negli ospedali. Gli effetti della crisi economica hanno pesato fortemente sui red-

diti degli italiani. Negli ultimi 20 anni, il tasso di povertà assoluta è più

che raddoppiato e oggi l’Italia è uno dei Paesi con il più alto tasso di povertà dell’Unione Europea. L’aumento della povertà si manifesta anche in termini di disagio abitativo, dove l’Italia registra dati peggiori rispet-

to agli altri Paesi europei. Inoltre, vivere in un territorio salubre e sicuro è

un diritto di ogni cittadino. Per questo, uno Stato Sociale efficiente deve impegnarsi ad accelerare la transizione verso un’economia sostenibile,

deve investire per proteggere l’ambiente e deve prevenire e contrastare gli effetti delle catastrofi naturali.

Gap in termini di safety net TEMA

CRITICITÀ

SPIEGAZIONE

BENCHMARKING Misure

ITA

EU27

FRA

DEU

23,5%

15,5%

9,3%

12,5%

Numero letti per 100k abitanti

318

541

598

800

1,7%

2,0%

1,9%

2,2%

€ 1.254

€ 901

€ 1.099

€ 1.329

Safety Net

Carenza di risorse nelle strutture

Il Sistema Sanitario Nazionale è diventato sostanzialmente regressivo. Chi non se lo può permettere, affronta lunghe liste di attesa per le cure. Chi se lo può permettere, spende privatamente per accaparrarsi quei pochi posti letti che il sistema sanitario offre.

Bassa spesa in protezione dell'ambiente

l’Italia spende meno rispetto a Francia, Germania e media UE-27 per la protezione ambientale in rapporto al PIL.

Spesa in protezione ambientale (% del PIL)

Perdite economiche per catastrofi ambientali

L’Italia è al sesto posto tra i Peasi europei per perdite economiche per abitante causate da catastrofi atmosferiche e climatiche dal 1980 al 2019. In Germania le perdite per abitante sono state più alte, mentre in Francia ein UE-27 più basse.

Perdite per abitante (1980-2019)

Alta spesa privata

Salute

Territorio

Quota di spesa privata sul totale della spesa sanitaria

Dai primi anni duemila ad oggi il tasso

Reddito

Casa

16

Povertà in aumento

di povertà assoluta in Italia è più che raddoppiato. In termini relativi, l’Italia è uno dei Paesi più poveri dell’Unione.

Tasso di rischio di povertà

20,1%

16,5%

13,6%

14,8%

Alto disagio abitativo

Italia uno dei Paesi EU con il più alto disagio abitativo, ovvero molte persone non possono permettersi una casa, o, quando possono, si trovano a vivere in condizioni di deprivazione abitativa.

Tasso di disagio abitativo

5,0%

4,0%

2,3%

2,1%


Lo Stato sociale deve evolversi nel tempo, insieme alla società, aggiornando i propri obiettivi. Oggi questi obiettivi sono quelli promossi dalle Nazioni Unite, gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG). Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile sono tanti, 169, articolati in 17 gruppi, come mostra la tabella seguente. Sono obiettivi complessi e di lungo

periodo, che mirano a una crescita equilibrata, nel rispetto della persona umana e dell’ambiente. Concentrandosi sulle cause che stanno alla

radice della povertà, della disuguaglianza e del cambiamento climatico, si propongono di cambiarle entro il 2030, a soli 10 anni da oggi.

I 17 Sustainable Development Goals Sconfiggere la povertà

Sconfiggere la fame

nel mondo

Accesso a fonti

Promuovere

e promuovere

economica e

di energia

energie sostenibili Prendere azioni urgenti contro

il cambiamento climatico

la crescita

l’occupazione Conservare

e proteggere

le risorse idriche e gli oceani

Assicurare

un’istruzione

Assicurare una

di qualità

vita salutare

e inclusiva

Costruire

infrastrutture di qualità e

promuovere

l’innovazione

gli ecosistemi terrestri

parità di genere sostanziale

disuguaglianze

infra e intra Paesi

Promuovere

pace e giustizia

la disponibilità di fonti idriche pulite a tutti

Promuovere

Ridurre le

Conservare

e proteggere

Assicurare

Ottenere

città e comunità sostenibili

Assicurare

un consumo

e una produzione responsaibile

e sicure

Rafforzare e

rivitalizzare una

Global Partnership per lo sviluppo

L’Italia, dopo un periodo di miglioramento, ha rallentato nel raggiungere gli obiettivi e rallenterà ancora di più a causa del Covid. Il grafi-

co sottostante mostra come il miglioramento osservato negli ultimi dati disponibili sia minore rispetto al miglioramento nei dieci anni precedenti.

10 anni prima 61,1%

17,8%

21,1%

Anno precedente 29,7%

48,1%

Miglioramento

Invariato

22,2%

Peggioramento

17


I ritardi che preoccupano maggiormente sono quelli connessi alla povertà, alle disuguaglianze e ai giovani. • SCONFIGGERE LA POVERTÀ (GOAL 1): nel 2018, la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale era pari al 27,3%, in diminuzione rispet-

to all’anno precedente (28,9%), ma comunque decisamente superio-

re alla media UE di 21,7%. Come mostrano i dati Caritas, ci attendiamo un netto peggioramento post Covid.

• SCONFIGGERE LA FAME (GOAL 2): nel 2018, l’1,5% delle famiglie ita-

liane presenta segnali di insicurezza alimentare. La percentuale è costantemente in calo dal 2013, quando era pari al 4,6%. Ma anche qui, il Covid ha generato un aumento.

• ISTRUZIONE DI QUALITÀ (GOAL 4): Nel 2018, in Italia la percentuale di

studenti che non raggiunge il livello minimo di competenza scientifica raggiunge il 25,9%, dato significativamente peggiore della media OCSE (22%).

• RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE (GOAL 10): In Italia, nel periodo

2004-2017, la crescita dei redditi per quella parte di popolazione a reddito medio basso ha subito un deciso peggioramento. In particolare, nel 2017 i redditi di tutta la popolazione sono aumentati in misura maggiore dei redditi delle persone più povere (rispettivamente +1,6% e +0,2%). In Italia la percentuale di reddito disponibile per il 40% della popolazione più povera (19,3%) è inferiore alla media europea (20,9%, dati 2016).

• CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI (GOAL 11): Condizioni abitative non

soddisfacenti coinvolgono più di un quarto della popolazione italiana. Nel 2018, la quota di famiglie che vivono in abitazioni sovraffollate torna ad aumentare (27,8%), superando anche il livello del 2016.

18


19


Governance I fondi del NGEU entrano nella gestione “tipica” del Governo. Come abbiamo spiegato nel paragrafo introduttivo, il NGEU rappresenta infatti una dotazione finanziaria aggiuntiva e vincolata per implementare iniziative che fanno parte del programma dei diversi Ministeri. Costruire strutture parallele ai dicasteri, determinerebbe una confusione istituzionale e operativa. Esiste tuttavia la necessità di raccordo con la Commissione Europea e di rafforzamento e coordinamento delle strutture ministeriali. Unità di missione Next Generation Italia (NGITA)

e Sottosegratario alla Presidente del Consiglio delegato.

La struttura di coordinamento sarà allocata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (PdCM) con funzioni di PMO (Progam Management Office). L’Unità risponderà, tramite un Responsabile Tecnico della struttura, a un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio delegato al coordinamento del NGITA. Tale struttura dovrà: • monitorare l’operato dei Ministeri e delle Regioni;

• identificare per ogni iniziativa gli obiettivi da raggiungere, un cro-

noprogramma e misure intermedie di valutazione dell’iniziativa in corso d’opera. Monitorare il progresso delle iniziative e, qualora queste subiscano ritardi o impedimenti, individuare misure di semplificazione per una loro rapida implementazione oppure proporre la loro sospensione e la riallocazione delle risorse dedicate su altre azioni, anche sulla base della performance attuative dei Ministeri e delle Regioni. Le decisioni spetteranno al Consiglio dei Ministri su proposta del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio competente per il NGITA, sentito il Comitato di coordina-

20


mento e previo parere vincolante del Ministro dell’Economia;

• redigere rapporti di aggiornamento per la Commissione Europea, il

Governo, il Parlamento e il Comitato di coordinamento e in generale predisporre un sistema di monitoraggio tempestivo, aggiornato mensilmente, disponibile al pubblico.

L’Unità sarà costituita da personale scelto su chiamata diretta dall’interno e dall’esterno dell’amministrazione, senza i limiti di retribuzione attualmente previsti dalla normativa per i dipendenti pubblici. Rafforzamento dello staff dei Ministeri. Tutti i Ministeri con portafoglio saranno rafforzati da uno staff “specchio” dell’Unità di missione centrale della PdCM. L’unità ministeriale dedicata al NGITA avrà le stesse caratteristiche professionali e di reclutamento di quella centrale. Le unità ministeriali, coordinate da un responsabile, risponderanno gerarchicamente al Ministro e funzionalmente al responsabile tecnico dell’unità di missione presso la PdCM. Rafforzamento dello staff delle Regioni. Analoghe strutture e funzioni saranno costituite negli uffici regionali per l’implementazione delle iniziative di competenza delle Regioni. Comitato di coordinamento del NGITA. Presieduto dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al NGITA, sarà composto dai Ministri e dai Presidenti di Regione e dall’Amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti. Si riunirà bisettimanalmente a livello tecnico (responsabili unità dedicate ministeriali e regionali) e mensilmente a livello politico. Il Comitato avrà il compito di allineare tutte le iniziative in corso, di esprimere un parere sulle proposte di variazioni al piano e sul suo andamento. Comitato di monitoraggio. Presieduto dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al NGITA, il Comitato di sorveglianza si riunirà ogni tre mesi e sarà composto da capigruppo delle forze politiche di maggioranza e opposizione, principali organizzazioni sindacali e datoriali, Presidente dell’ANCI, Presidente CINSEDO. Il Comitato avrà il compito di monitorare l’andamento del NGITA, essere informato sulle variazioni di allocazioni, proporre iniziative e modifiche del piano. La funzione del Comitato sarà di natura consultiva.

21


Riassunto delle nostre proposte BAMBINI Potenziare le strutture per la prima infanzia

Una nuova formazione breve 30

2.1.2.1

Nuovi programmi di formazione breve, ancorati

ai bisogni produttivi del territorio

1.1.0

Definizione dei Livelli Minimi della Prestazione

2.1.2.2

Premi ai formatori: incentivi a chi eroga

(LEP) per la prima infanzia

32

corsi brevi virtuosi

1.1.1

Raddoppiare i posti negli asili nido

32

2.1.2.3

Corsi gratuiti di formazione di base

1.1.2

Asili obbligatori nelle grandi aziende e nel pubblico

36

per competenze linguistiche e digitali

1.1.3

Incentivare la creazione di asili nido in aree interne

37

Migliorare l’offerta formativa 1.2.1

Istituire linee guida pedagogiche

per la prima infanzia a livello centrale

1.2.2

Potenziare il monitoraggio e l’ispezione

degli asili nido, pubblici e privati

1.2.3

Potenziare i luoghi di coordinamento pedagogico

1.2.4

Ampliare la tipologia di lauree abilitate

all’insegnamento al nido

1.2.5

Equiparazione delle ore di insegnamento

privato nelle graduatorie

1.2.6

Incentivare tirocini e apprendistati

di educatori al nido

1.2.7

Incentivare la partecipazione

maschile negli asili nido

Stimolare la domanda

38 39 40 41

Sostegno all’autonomia educativa: 200 euro

al mese a tutti i giovani che si stanno formando

2.1.1.2

Sostegno all’autonomia abitativa: 200 euro

al mese a tutti i giovani in affitto fuorisede

2.1.1.3

Sostegno all’autonomia economica: zero tasse

fino ai 25 anni, taglio del 50% fino ai 29 anni

Riforma del tirocinio

72

72

Contributo statale fino all’80%per i nuovi tirocini

74

Contributo statale fino all’80%

per i nuovi apprendistati

2.1.5.3

Bonus per chi trasforma il tirocinio/apprendistato

in contratto di lavoro

45

46

51

Armonizzare la normativa sui tirocini a livello nazionale 73

75 75

Potenziare il Servizio Civile

77

2.1.6.1

77

80.000 nuovi posti per il Servizio Civile

GIOVANI

Prevenire i NEET di domani Riordino dei cicli - scuola primaria e secondaria

Investire sui NEET di oggi 2.1.1.1

tramite la piattaforma

2.1.5.2

GIOVANI

Sostegno all’autonomia

71

2.1.5.1 44

50

e comunicazione per madri e padri

Bonus per le imprese che attivano contratti

74

49

giovanile: sfruttare le migliori esperienze

2.1.3.2

70

Incentivare le assunzioni per uscire dalla crisi

potenziare e semplificare il bonus nido Bonus nido al 110% nelle aree più svantaggiate

67

44

Campagna di promozione

Una piattaforma efficace per il lavoro

67

2.1.4.1

Nido gratuito per la maggioranza degli italiani:

1.3.2

2.1.3.1

66

43

1.3.1

1.3.3

Far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro giovanile

66

80

2.2.1.1

Portare la scuola dell’obbligo a 18 anni

84

2.2.1.2

Concludere la scuola a 18 anni

84

2.2.1.3

Addolcire la transizione tra le elementari e le medie

84

2.2.1.4

Sostituire la bocciatura con corsi di recupero

65

alle elementari e medie

65

Riforma della formazione professionale secondaria e terziaria

66

2.2.2.1

Formazione professionale secondaria

ancorata ai bisogni del territorio

64

87

87 89


DONNE

2.2.2.2

Aumentare il numero di diplomati ITS

90

2.2.2.3

Potenziamento Fondo per ITS virtuosi

91

2.2.2.4

Formazione degli operatori ITS

91

Riforma dei congedi di genitorialità

2.2.2.5

Dotazioni logistiche ITS

91

3.1.1

Prolungare il congedo iniziale per i padri

2.2.2.6

Incentivi a ITS fuori sede

3.1.2

Un nuovo congedo complementare

per mobilitare l’offerta di lavoro

per riequilibrare i ruoli all’interno della famiglia

3.1.3

Estendere la riforma del congedo a tutte

92

Estensione del calendario scolastico

92

2.2.3.1

93

Ripartire meglio le vacanze durante l’anno

le categorie di lavoratori

3.1.4

Congedi nei casi di interruzione spontanea

o terapeutica entro i primi 180 giorni di gravidanza

120 121 122 125 126

Tempo lungo e mense

93

2.2.4.1

Istituire il tempo lungo nelle scuole primarie

95

2.2.4.2

Fondo Scuole Aperte: contrasto

Strumenti di promozione dell’occupazione femminile

alla dispersione scolastica

96

3.2.1

Incentivo per rientrare al lavoro dopo la maternità

128

2.2.4.3

La mensa in tutte le scuole d’Italia

97

3.2.2

Incentivi post pandemia

133

2.2.4.4

La mensa come diritto per ogni bambino

98

128

Potenziare il supporto scolastico

99

Trasparenza nelle retribuzioni e negli organici - Certificazione Equità salariale

2.2.5.1

Mediatori culturali, in tutte le scuole

100

3.3.1

100

organici e promozi

134

3.3.2

Incentivo per raggiungere l’equità sala

135

2.2.5.2

Supporto psicologico, in tutte le scuole

2.2.5.3

Servizio di orientamento, in tutte le scuole

101

2.2.5.4

La formazione dei Career Advisor

101

Combattere la dispersione: le aree di crisi sociale complessa

102

134

Obbligo di trasparenza su retribuzioni,

Combattere gli stereotipi, dalla nascita

136

3.4.1

Combattere gli stereotipi nell’insegnamento

137

3.4.2

Promuovere modelli femminili nelle scuole

137

3.4.3

Favorire le vocazioni, incentivare i percorsi scientifici

137

2.2.6.1

Dove sono le aree di crisi complessa?

Idee per una mappatura

2.2.6.2

I migliori insegnanti, dove ce n’è più bisogno

102

Contrasto alla violenza

2.2.6.3

Più insegnanti nelle aree di crisi complessa

103

3.5.1

Moltiplicare per 24 il numero dei centri

2.2.6.4

Piani Studio innovativi e sperimentali

antiviolenza per raggiungere i target europei

per le aree di crisi complessa

103

3.5.2

Sostegno alle vittime: garantire autonomia

2.2.6.5

Più dialogo con le famiglie

103

e sicurezza dopo la violenza

3.5.3

Formazione delle forze dell’ordine,

degli avvocati e dei magistrati

3.5.4

Prevenzione e coordinamento nazionale:

raccolta e analisi dei dati sulle violenze

146

3.5.5

Fondo dedicato alle campagne di prevenzione

147

Valorizzare i docenti

102

104

140 142 143 146

2.2.7.1

Portare gli stipendi a livelli europei, garantire

la qualità dell’insegnamento

2.2.7.2

Incentivo agli insegnanti

nelle aree di crisi complessa

109

2.2.7.3

La formazione dei nuovi insegnanti

109

2.2.7.4

Più tirocini per i nuovi insegnanti

112

3.6.1

Corsi di educazione sessuale

2.2.7.5

Tempi certi per i concorsi

112

e relazionale nelle scuole

149

3.6.2

Gruppi di sostegno per le giovani madri

149

107

Educazione sessuale

148


24


NEXT GENERATION ITALIA 1. Bambini

25


1.0 Executive Summary Le prime fasi della vita dei bambini sono le più importanti per garantire loro salute, opportunità e felicità. Nella prima infanzia si formano non solo le caratteristiche fisiche dei bambini, ma anche quelle psicologiche

e intellettive. Ricerche dimostrano come gli anni da 0 a 5 siano quelli più importanti per lo sviluppo dei bambini, poiché è in quegli anni che si for-

mano le facoltà non cognitive (es: determinazione, fiducia, autostima)

alla base di una vita stabile e proficua. Parimenti, le ricerche dimostra-

no che è proprio nell’età compresa tra 0 e 5 anni che si sviluppano le più

grandi disuguaglianze tra coloro che nascono e crescono in ambienti sicuri, stimolanti e formativi e coloro che invece nascono e crescono

in ambienti instabili e privi delle necessarie sollecitazioni, che quindi non

formano il bambino adeguatamente. Non solo: sappiamo che garantire servizi di prima infanzia aiuta i genitori, madri e padri, a trovare il tempo

materiale per continuare a perseguire le loro opportunità e contribuisce al raggiungimento della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Infine, fornire servizi e aiuti per la prima infanzia può anche contribuire a

un aumento della natalità, perché potrebbe rendere meno difficile per le coppie portare avanti una famiglia.

Queste considerazioni non solo giustificano, ma richiedono l’intervento dello Stato nelle politiche per la prima infanzia, a garanzia ma-

teriale di una partenza equa per tutti e per creare davvero quelle basi sulle quali poi si forma una nuova vita. Le nostre proposte si incentrano su tre macro-obiettivi:

1. aumentare le strutture

2. migliorare la qualità dei servizi 3. stimolare la domanda

Questi obiettivi sono interconnessi, perché ciascuno in assenza dell’al-

tro non può portare agli effetti desiderati, e richiedono una forte pre-

senza dello Stato, in quanto principale garante della qualità e erogatore di servizi. 26


I primi due (strutture e qualità) si concentrano sull’offerta dei servizi e

su un solido sistema di monitoraggio e valutazione, prevedono la realizzazione di nuove strutture e l’implementazione di linee guida per

promuovere il valore educativo dei servizi per la prima infanzia. Sarà

inoltre necessario garantire più educatori, sempre mantenendo standard di qualità.

Dal lato della domanda, pensiamo che i costi per le rette degli asili nido e la scarsa informazione ricevuta dalle famiglie siano degli ostacoli da eliminare. Proponiamo quindi di sostituire le attuali ed inefficien-

ti agevolazioni con una rimodulazione del Bonus Asilo Nido. Un ulteriore incentivo per aiutare le famiglie delle zone più interne e una campa-

gna di informazione per far conoscere a tutti le opzioni educative della prima infanzia, permetteranno di completare al meglio il nostro piano per stimolare la domanda.

Asili: stima dei costi delle nostre proposte PROPOSTA #

DESCRIZIONE

SPESE CORRENTI INVESTIMENTI

TEMPORANEE

PERMANENTI

TOTALE (milioni di euro)

1.613

566

884

3.062

Potenziare le strutture per la prima infanzia 1.1.0

Definizione dei Livelli Minimi della Prestazione (LEP) per la prima infanzia

1.1.1

Raddoppiare i posti negli asili nido

1.1.2

Asili obbligatori nelle grandi aziende e nel pubblico

1.1.3

Incentivare la creazione di asili nido in aree interne

85

85

Migliorare l’offerta formativa 1.2.1

Istituire linee guida pedagogiche per la prima infanzia a livello centrale

1.2.2

Potenziare il monitoraggio e l’ispezione degli asili nido, pubblici e privati

1.2.3

Potenziare i luoghi di coordinamento pedagogico

1.2.4

Ampliare la tipologia di lauree abilitate all’insegnamento al nido

1.2.5

Equiparazione delle ore di insegnamento privato nelle gradu

1.2.6

Incentivare tirocini e apprendistati di educatori al nido

1.2.7

Incentivare la partecipazione maschile negli asili nido

Stimolare la domanda 1.3.1

Nido gratuito per la maggioranza degli italiani: potenziare e semplificare il bonus nido

1.3.2

Bonus nido al 110% nelle aree più svantaggia

1.3.3

Campagna di promozione e comunicazione per madri e padri

TOT

1.613

651

1.259

1.259

2.143

4.406

Nota: i costi stimati nel documento sono da intendersi come indicativi: possiamo solo stimare i costi usando dati pubblici e fonti online. Inoltre abbiamo stimato le spese solo delle principali misure, prevedendo che le misure senza stima corrispondano a spese minori.

27


CONTESTO

In Italia c’è grande bisogno di servizi per la prima infanzia, ma siamo rimasti molto indietro rispetto agli altri Paesi europei.

Prima di tutto, investiamo molto poco in servizi all’infanzia, meno della media EU e molto meno rispetto a paesi come la Francia o i Paesi nordici.

Spendiamo poco per la prima infanzia. Spesa pubblica (sul PIL) per i servizi per la prima infanzia (0-3). %

1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2

Questa carenza di spesa si traduce in una forte carenza di strutture e personale: su 100 bambini italiani, gli asili nido offrono solo 25 posti ri-

spetto ai 33 target dell’Unione Europea e i 51 della Francia. Questi numeri tuttavia nascondono profonde disuguaglianze territoriali. In Valle d’Aosta i posti sono 45. In Calabria 10.

28

Slovacchia

Italia

Regno Unito

Ungheria

Israele

Lituania

Belgio

Olanda

Germania

Lettonia

Giappone

Cile

Nuova Zelanda

Fonte: OCSE

Australia

Corea

Finlandia

Francia

Norvegia

Islanda

Svezia

0,0


Pochi iscritti al nido. Tasso di iscrizione a strutture socioeducative per la prima infanzia. % 70 60 50 40 30 20

Turchia

Messico

Slovacchia

Costa rica

Repubblica Ceca

Polonia

Bulgaria

Ungheria

Russia

Romania

Croazia

Cile

Austria

Brasile

Grecia

Lituania

Estonia

Stati Uniti

Italia

Giappone

Finlandia

Cipro

Lettonia

Irlanda

Media EU

Spagna

Media OCSE

Germania

Portogallo

Regno Unito

Svizzera

Colombia

Australia

Svezia

Slovenia

Malta

Nuova Zelanda

Danimarca

Belgio

Israele

Corea

Francia

Norvegia

Islanda

Olanda

0

Lussemburgo

10

Nota: il grafico riporta il tasso di iscrizione, indicatore simile alla copertura della domanda potenziale (di cui non abbiamo i dettagli a livello internazionale). I due indicatori sono molto simili ma il tasso di iscrizione e poco più elevato perchè considera i bambini tra gli 0 e i 3 anni anticipatari della scuola dell’infanzia. Fonte: OCSE e ISTAT

Ma la poca spesa tradisce una mancanza ancora più profonda: quella normativa e quindi politica. L’Italia è uno dei pochi paesi europei dove la prima infanzia è normata poco e male: esistono molteplici standard di insegna-

mento, diverse qualifiche dei docenti e storture che limitano profondamente la qualità del servizio offerto. E questo perché la prima infanzia, purtroppo, non è stata priorità politica, come mostra il grafico qui di seguito.

Italia tra le nazioni con il maggior childcare gap Anni senza copertura di servizi e assistenza all’infanzia Diritto legittimo + congedo parentale

Congedo parentale

Servizi socioeducativi per la prima infanzia obbligatori

Diritto legittimo

Scuola dell’infanzia obbligatoria

Children gap: lo spazio tra due bullet = 1 anno

Età 7 6 5 4 3 2

Irlanda

Italia

Macedonia

Islanda

Turchia

Albania

Montenegro

Romania

Lituania

Slovacchia

Croazia

Paesi Bassi

Malta

Cipro

Serbia

Bulgaria

Bosnia-Erzegovina

Austria

Irlanda del nord

Svizzera

Liechtenstein

Grecia

Portogallo

Galles

Scozia

Inghilterra

Francia

Belgio Tedesco

Spagna

Lussemburgo

Belgio olandese

Belgio francese

Polonia

Lettonia

Repubblica Ceca

Ungheria

Estonia

Norvegia

Svezia

Slovenia

Finlandia

Germania

0

Danimarca

1

Fonte: Eurydice-Indire

29


1.1 Potenziare le strutture per la prima infanzia Proponiamo un forte investimento pubblico per raggiungere i target europei accompagnato da un mix pubblico - privato per oltrepassarli.

Per prima cosa è necessario aumentare il numero di asili nido disponibili per le famiglie, e in fretta. Per farlo in un arco di tempo ragionevole, per esempio quattro anni, dobbiamo però costruire scenari realistici che prendano in considerazione il punto di partenza, dove vogliamo arrivare e come farlo.

LA SITUAZIONE OGGI

In Italia ci sono pochi asili nido. Come mostra la tabella nella pagina

di seguito, poche regioni raggiungono infatti il target europeo di co-

pertura della “domanda potenziale” del 33%. Questo target vuole che circa tre bambini su dieci possano avere accesso a un asilo nido, se

lo richiedono. In Italia, solo la Valle d’Aosta, Trento, l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria raggiungono il target. E in molte regioni, come

Campania, Calabria e Sicilia, siamo molto lontani, con una copertura intorno al 10% della domanda potenziale.

30


Copertura della domanda potenziale dei servizi per la prima infanzia Servizi socio educativi per la prima infanzia per regione, 2018 POSTI IN NIDO (0-2 ANNI) REGIONE Piemonte Valle d’Aosta

TASSO DI COPERTURA

PUBBLICI

PRIVATI

TOTALE

BAMBINI (0-2)

14.245

12.684

26.929

94.157

902

374

1.276

2.792

PUBBLICI

PRIVATI

TOTALE

15%

13%

28,6%

32%

13%

45,7%

4.595

4.579

9.174

29.310

16%

16%

31,3%

35.394

36.969

72.363

241.210

15%

15%

30,0%

Bolzano/Bozen

2.163

2.185

4.348

16.224

13%

13%

26,8%

Trento

3.924

1.381

5.305

13.815

28%

10%

38,4%

Veneto

13.021

19.637

32.658

112.227

12%

17%

29,1%

Friuli-Venezia

3.400

4.758

8.158

25.025

14%

19%

32,6%

28.865

11.421

40.286

102.770

28%

11%

39,2%

Toscana

16.114

12.802

28.916

79.658

20%

16%

36,3%

Umbria

3.716

4.228

7.944

18.604

20%

23%

42,7%

Liguria Lombardia

Emilia-Romagna

5.957

3.569

9.526

33.192

18%

11%

28,7%

20.008

22.896

42.904

136.637

15%

17%

31,4%

Abruzzo

3.552

3.094

6.646

28.896

12%

11%

23,0%

Molise

1.056

354

1.410

6.184

17%

6%

22,8%

Campania

6.452

7.540

13.992

148.851

4%

5%

9,4%

Puglia

6.142

9.187

15.329

91.244

7%

10%

16,8%

Basilicata

1.145

832

1.977

11.838

10%

7%

16,7%

Calabria

1.413

3.796

5.209

47.355

3%

8%

11,0%

Sicilia

7.998

4.467

12.465

124.650

6%

4%

10,0%

Sardegna

3.675

5.339

9.014

30.765

12%

17%

29,3%

183.737

172.092

355.829

1.395.408

13%

12%

25,5%

Marche Lazio

ITALIA

Fonte: elaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT

LE NOSTRE PROPOSTE:

Raggiungere il target europeo in quattro anni non è cosa semplice. Per farlo, servono circa 5.000 nuovi asili nido e un mix di ambizione e

realismo. Ambizione perché nel nostro obiettivo di garantire un welfa-

re pubblico di qualità, si può e si deve chiedere allo Stato di colmare un divario strutturale nel più breve tempo possibile; realismo perché è

evidente che costruire così tanti asili pubblici in breve tempo è ai limiti dell’impossibile. Per raggiungere l’obiettivo, e sorpassarlo, dobbiamo quindi immaginare un mix intelligente di pubblico e privato, che da un lato garantisca la qualità e dall’altro l’offerta.

31


Ecco come: Proposta 1.1.0

Definizione dei Livelli Minimi della Prestazione (LEP) per la prima in-

fanzia. Questa proposta è fondamentale perché tutti i bambini abbiano il diritto di accedere alle strutture per la prima infanzia e quindi a

percorsi educativi. Proponiamo che tutte le misure seguenti, laddove applicabile, vengano inserite nei LEP per la prima infanzia.

Proposta 1.1.1

Raddoppiare i posti negli asili nido allineando la copertura della do-

manda potenziale dei servizi per la prima infanzia con gli standard europei, raggiungendo quota 33% in tutte le regioni d’Italia. Una volta raggiunto il target europeo, lo Stato si impegnerà ad aumentare la copertura di

ulteriori 15 punti percentuali in ogni regione, tutto entro quattro anni, nelle seguenti modalità: Step 1:

portare la copertura minima in carico allo Stato al 16% in tutte le Regioni, attraverso la realizzazione o la conversione di fondi sfitti e inutilizzati in

circa 2.500 nuovi asili nido equivalenti a circa 59 mila posti complessivi (considerando 24 bambini per asilo nido). Raggiungere l’obiettivo coste-

rebbe un massimo di 943 milioni di euro in costi di realizzazione e 5171 milioni di euro a regime in nuovi costi di gestione2. Le nuove strutture verrebbero aperte principalmente in Calabria, Sicilia, Puglia e Campania, le

regioni più carenti. Al fine di evitare costi eccessivi ed inutile consu-

mo di suolo, occorre valutare quanta parte del patrimonio pubblico sia recuperabile, con adeguati lavori di ristrutturazione, tenendo conto che fra il 2010 ed il 2019 nel solo settore pubblico (scuole statali e non statali pubbliche) sono state chiuse 635 scuole per l’infanzia, di cui 316 solo nell’ultimo quinquennio, a cui si aggiungono 893 scuole dell’infanzia private dismesse sempre nello stesso periodo (di cui 528 nell’ultimo quinquennio)3.

1 I costi di realizzazione sono stati calcolati usando la stima elaborate da Roberta Ceccaroni nel rapporto Zero/ sei Obiettivi, Monitoraggio, Valutazione (2018): per ogni posto aggiuntivo in asilo nido il costo stimato è di 16.000 euro. 2 I costi di gestione degli asili nido pubblici sono stati calcolati usando la previsione di spesa di gestione, elaborata da SOSE, di 8.770 euro a bambino come nel rapporto dell’Ufficio di Valutazione Impatto “Chiedo Asilo. Perché in Italia mancano i nidi (e cosa si sta facendo per recuperare il ritardo)” (2018) 3 Alleanza per l’Infanzia, #educAzioni (2020) Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente

32


Step 1: copertura pubblica al 16% in ogni regione COPERTURA PUBBLICA REGIONE

ATTUALE

TARGET

Piemonte

15%

Valle d’Aosta

32%

Liguria

NUOVI

COSTI (‘000)

AUMENTO

POSTI

ASILI

GESTIONE

REALIZZ:

16%

1%

820

34

7.193

13.123

16%

--

--

--

--

--

16%

16%

0%

95

4

830

1.513

Lombardia

15%

16%

1%

3.200

133

28.060

51.194

Bolzano/Bozen

13%

16%

3%

433

18

3.796

6.925

Trento

28%

16%

--

--

--

--

--

Veneto

12%

16%

4%

4.935

206

43.282

78.965

Friuli-Venezia

14%

16%

2%

604

25

5.296

9.663

Emilia-Romagna

28%

16%

--

--

--

--

--

Toscana

20%

16%

--

--

--

--

--

Umbria

20%

16%

--

--

--

--

--

Marche

18%

16%

--

--

--

--

--

Lazio

15%

16%

1%

1.854

77

16.259

29.663

Abruzzo

12%

16%

4%

1.071

45

9.395

17.141

Molise

17%

16%

--

--

--

--

--

Campania

4%

16%

12%

17.364

724

152.284

277.827

Puglia

7%

16%

9%

8.457

352

74.168

135.313

Basilicata

10%

16%

6%

749

31

6.570

11.986

Calabria

3%

16%

13%

6.164

257

54.056

98.620

Sicilia

6%

16%

10%

11.946

498

104.766

191.136

Sardegna

12%

16%

4%

1.247

52

10.939

19.957

ITALIA

13%

16%

4%

58.939

2.456

516.895

943.024

Fonte: elaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT

33


Step 2:

raggiungere il 33% incentivando i privati attraverso la realizzazione o conversione di strutture private in 2.450 nuovi asili nido che corrispondono a circa 58,8 mila posti. Proponiamo di farlo fornendo a ogni priva-

to un finanziamento a fondo perduto di €2.500 a bambino di incentivo

per la conversione e adeguamento di strutture private. Allo stesso tem-

po, vogliamo però rafforzare il sistema di monitoraggio, valutazione e coordinamento dell’offerta formativa per garantire la qualità negli isti-

tuti privati (vedi proposte 1.2.). Questo incentivo costerebbe allo Stato 147 milioni di euro.

Step 2: copertura al 33% in ogni regione colmando il gap con il privato COPERTURA PUBBLICA REGIONE

ATTUALE

NUOVI

TARGET

AUMENTO

POSTI

ASILI

COSTI INCENTIVI (‘000)

Piemonte

29%

33%

4%

3.323

138

8.307

Valle d’Aosta

46%

33%

--

--

--

--

Liguria

32%

33%

1%

404

17

1.009

Lombardia

31%

33%

2%

4.037

168

10.092

Bolzano/Bozen

29%

33%

4%

573

24

1.433

Trento

38%

33%

--

--

--

--

Veneto

33%

33%

--

--

--

--

Friuli-Venezia

35%

33%

--

--

--

--

Emilia-Romagna

39%

33%

--

--

--

--

Toscana

36%

33%

--

--

--

--

Umbria

43%

33%

--

--

--

--

Marche

29%

33%

4%

1.427

59

3.568

Lazio

33%

33%

0%

332

14

831

Abruzzo

27%

33%

6%

1.818

76

4.546

Molise

23%

33%

10%

631

26

1.577

Campania

21%

33%

12%

17.765

740

44.412

Puglia

26%

33%

7%

6.324

264

15.811

Basilicata

23%

33%

10%

1.181

49

2.951

Calabria

24%

33%

9%

4.254

177

10.636

Sicilia

20%

33%

13%

16.724

697

41.809

Sardegna

33%

33%

--

--

--

--

ITALIA

30%

33%

4%

58.792

2.450

146.981

Fonte: elaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT

34


Step 3:

aumentare ulteriormente l’offerta di 15 punti percentuali in ogni regione con un mix 20% pubblico e 80% privato. Così facendo, lo Stato si

prenderebbe in carico la creazione di nuove strutture soltanto per il 20%

dell’aumento con un costo massimo di 670 milioni di euro per la realizzazione e 367 milioni di euro a regime in nuovi costi di gestione, mentre il costo degli incentivi ai privati per l’apertura del restante 80% dei nuovi nidi ammonterebbe a 419 milioni di euro.

Step 3: aumentare copertura di 15 punti percentuali ulteriori COPERTURA PUBBLICA

NUOVI

COSTI (‘000)

AUMENTO

POSTI

ASILI

GESTIONE

REALIZZ:

COSTI INCENTIVI (‘000)

48%

15%

14.124

588

24.773

45.196

28.247

61%

15%

419

17

735

1.340

838

33%

48%

15%

4.396

183

7.711

14.069

8.793

33%

48%

15%

36.182

1.508

63.462

115.781

72.363

Bolzano/Bozen

33%

48%

15%

2.434

101

4.269

7.787

4.867

Trento

38%

53%

15%

2.072

86

3.635

6.631

4.145

Veneto

33%

48%

15%

16.834

701

29.527

53.869

33.668

Friuli-Venezia

35%

50%

15%

3.754

156

6.584

12.012

7.507

Emilia-Romagna

39%

54%

15%

15.416

642

27.039

49.330

30.831

Toscana

36%

51%

15%

11.949

498

20.958

38.236

23.898

Umbria

43%

58%

15%

2.791

116

4.895

8.930

5.581

Marche

33%

48%

15%

4.979

207

8.733

15.932

9.957

Lazio

33%

48%

15%

20.496

854

35.949

65.586

40.991

Abruzzo

33%

48%

15%

4.334

181

7.602

13.870

8.669

Molise

33%

48%

15%

928

39

1.627

2.968

1.855

Campania

33%

48%

15%

22.328

930

39.163

71.449

44.655

Puglia

33%

48%

15%

13.687

570

24.006

43.797

27.373

Basilicata

33%

48%

15%

1.776

74

3.115

5.682

3.551

Calabria

33%

48%

15%

7.103

296

12.459

22.730

14.206

Sicilia

33%

48%

15%

18.698

779

32.795

59.832

37.395

Sardegna

33%

48%

15%

4.615

192

8.094

14.767

9.229

ITALIA

34%

49%

15%

209.311

8.721

367.131

669.794

418.621

REGIONE

ATTUALE

TARGET

Piemonte

33%

Valle d’Aosta

46%

Liguria Lombardia

Fonte: elaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT

35


In totale si passerebbe dalla copertura attuale del 26% al 49% entro

quattro anni, con 1,6 miliardi in capo allo Stato per la realizzazione di circa 4.200 asili e un aumento di 0,9 miliardi di euro annui dei costi di gestione,

per un totale di 2,5 miliardi di euro a regime. Inoltre, lo Stato spenderebbe 0,6 miliardi di euro in incentivi a fondo perduto per il finanziamento di

circa 9.400 nidi privati, come sintetizzato dalla tabella sottostante. Perciò in questo modo, aumentare la copertura della domanda potenziale

costerebbe in totale 3 miliardi di euro. Proponiamo che questo aumento avvenga entro quattro anni per ogni regione.

STATO ATTUALE

PUBBLICO AL 16%

RAGGIUNGERE IL 33%

OGNI REGIONE +15%

TOTALE

DI CUI NUOVO

355.829

58.939

58.792

209.311

682.871

327.042

26%

4%

4%

15%

49%

23%

1.611.373

516.895

--

367.131

2.495.399

884.026

Realizzazione

--

943.024

--

669.794

1.612.818

1.612.818

Incentivi

--

--

146.981

418.621

565.602

565.602

Totali

1.611.373

1.459.919

146.981

1.455.546

4.673.819

3.062.445

Strutture Posti Copertura

Costi ‘000 Gestione

Proposta 1.1.2

Asili obbligatori nelle grandi aziende e nel pubblico. Per incentivare ulteriormente l’offerta privata di servizi socioeducativi per l’infanzia, propo-

niamo di imporre a tutte le aziende con un fatturato di oltre 200 milioni

di euro di creare asili nido aziendali convenzionati. Il numero di asili per

impresa dovrà essere proporzionale al numero di lavoratori (dipendenti e atipici) e non meno di un asilo nido ogni 500 lavoratori. Alle azien-

de viene esteso lo stesso incentivo di conversione pari a 2.500 € per ogni bambino. Ipotizzando nidi di circa 24 bambini, alle imprese vengo-

no erogati quindi 60.000 € per ogni nido convenzionato che realizzano. Sono inclusi in questa proposta, oltre alle grandi aziende, anche le istitu-

zioni pubbliche, come per esempio i Ministeri e i tribunali, che avranno lo stesso obbligo di garantire l’accessibilità ad asili nido interni.

La proposta non ha costi aggiuntivi in quanto compresa nei costi della Proposta 1.1.1.

36


Proposta 1.1.3

Incentivare la creazione di asili nido in aree interne dove è difficile immaginare la realizzazione e piena occupazione di classici asili nido. Per farlo, si propone di raddoppiare l’incentivo privato di 2.500 € a bambino a 5.000

€ per la conversione di strutture private in micronidi, servizi educativi in contesti domiciliari, spazi gioco/ludoteche o centri per bambini e fami-

glie in comuni con meno di 10.000 abitanti in aree interne. Queste strut-

ture saranno soggette a controlli più rigidi e frequenti (vedi proposte 1.2). Essendoci 3.402 comuni in aree interne con meno di 10.000 abitanti, si stima che questa proposta costerà 85 milioni di euro aggiuntivi alla proposta 1.1.1, assumendo che vi siano circa 10 bambini a micronido.

Confronto con altre proposte Altre analisi stimano che per raggiungere il benchmark europeo del 33%

di copertura della domanda potenziale sono necessari stanziamen-

ti molto maggiori. Alleanza per l’Infanzia, ad esempio, prevede un costo

di realizzazione di circa 4,8 miliardi di euro (3,2 miliardi in più della nostra stima della nostra spesa infrastrutturale) considerando che tutti gli asi-

li aggiuntivi, circa 5.000, vengano realizzati solo dal settore pubblico con

un costo a bambino di circa 16.000 €1. La nostra proposta è invece com-

posta da un mix di asili nido pubblici e privati convenzionati per assicurarsi di raggiungere il target in tempi più brevi.

1 Alleanza per l’Infanzia, #educAzioni (2020) Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente

37


1.2 Migliorare l’offerta formativa Contemporaneamente all’aumento delle strutture fisiche, è necessario aumentare il numero di educatori degli asili nido e garantire che la qualità del servizio pubblico e privato sia uniforme sul territorio nazionale, lasciando liberi i nido di sperimentare forme alternative e innovative a

livello territoriale, ma creando un contesto valutativo solido e premiante.

LA SITUAZIONE OGGI-QUALITÀ FORMAZIONE

Per quanto riguarda l’offerta formativa, lo Stato non fornisce linee guida comuni a tutti i territori. Ne discende un caleidoscopio di offerte co-

munali e, quindi, una forte variazione territoriale della qualità dei servizi

all’infanzia. La legge Buona Scuola prevedeva che venissero emanate li-

nee guida comuni per i nido e che fossero implementati luoghi di coordinamento pedagogico territoriale, ma finora ciò non è avvenuto dapper-

tutto. Ciò segnala non solo un ritardo nell’attuazione della legge, dovuta in particolare alla mancanza dei nidi e dei finanziamenti per la gestione, ma anche una sottovalutazione del valore educativo assegnato ai ser-

vizi della prima infanzia. Il grafico di seguito mostra come l’Italia sia tra 38


i paesi in cui l’impatto positivo dell’educazione nelle più giovani fasce di

età sia più marcato: non garantire una qualità minima del servizio su tut-

to il territorio risulta quindi particolarmente svantaggioso per i bambini e per il loro sviluppo psico-cognitivo.

I ritorni educativi dei servizi per la prima infanzia Impatto dell’educazione per la prima infanzia sui risultati in lettura dei 15enni

% 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10

Corea

Estonia

Irlanda

Finlandia

Olanda

Turchia

Stati Uniti

Cile

Portogallo

Austria

Norvegia

Giappone

Polonia

Islanda

Canada

Media OCSE

Messico

Repubblica Ceca

Fonte: Pisa OCSE

Lussemburgo

Ungheria

Svezia

Slovacchia

Australia

Nuova Zelanda

Spagna

Germania

Grecia

Regno Unito

Svizzera

Danimarca

Italia

Francia

Belgio

Israele

0

Ulteriore fattore determinante per l’offerta di servizi socioeducativi per la prima infanzia è il personale, sia in termini di organico che in termini di qualità dell’insegnamento, come verrà meglio spiegato successivamente.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 1.2.1

Istituire linee guida pedagogiche per la prima infanzia a livello centrale. Senza imporre un programma specifico e lasciando alle strutture

libertà di metodo e di sperimentazione, saranno individuate le competenze chiave che devono essere trasmesse ai bambini. Sia le competenze sia i criteri di monitoraggio e valutazione per gli asili nido pubblici e privati saranno definiti da un gruppo di lavoro permanente del Mini-

stero dell’Istruzione, composto da educatori e accademici riconosciuti

internazionalmente nel settore della prima infanzia. Tra le competenze chiave immaginiamo quelle non cognitive (es: fiducia, autostima), co-

me promuove il Modello Reggio, e un primo avvio alle competenze motorie e linguistiche. Tra i criteri di monitoraggio e valutazione auspichiamo che gli standard si avvicinino a quelli accademici internazionali e che non solo valutino, ma forniscano linee gui

39


da per il miglioramento del servizio per ciascun istituto valutato. I luoghi di coordinamento pedagogico territoriali, anch’essi introdotti con la

legge Buona Scuola, hanno questo ruolo di orientamento pedagogico e possono essere paragonati al modello che proponiamo: come spiegato meglio successivamente, a nostro avviso è necessario che queste esperienze locali siano attuate in tutto il Paese in maniera efficace.

MODELLO REGGIO Il sistema educativo creato da Loris Malaguzzi negli

fisico della scuola, sul “fare”, sul “movimento

anni 60-70 è un modello per i servizi socio educativi

come processo formativo” e sulla trasversalità

per l’infanzia in tutto il mondo. Il metodo pedagogico

culturale. Il Reggio Emilia Approach si propone come

è incentrato su “i cento linguaggi dei bambini”:

progetto e non come programmazione didattica

i bambini hanno un’infinità di potenzialità e linguaggi

ma sono comunque forniti documenti e guida agli

(verbali, corporei, musicali, etc) e devono avere

educatori per accompagnare al meglio lo sviluppo

la possibilità di auto-formarsi grazie alla guida degli

dei bambini. Il lavoro del personale scolastico

educatori. Per fare ciò, le attività pedagogiche si

è organizzato in maniera collegiale e si completa

concentrano sulla libertà di espressione, sullo spazio

dalla partecipazione attiva delle famiglie.

Proposta 1.2.2

Potenziare il monitoraggio e l’ispezione degli asili nido, pubblici e privati. Seguendo il modello di altri paesi, come il Lussemburgo, immaginiamo che ispettori della prima infanzia visitino ciascun nido, pubblico e

privato, una volta ogni due anni. Per le strutture di cui alla Proposta 1.1.3.

(micro-nido) i controlli saranno su base semestrale. Anche questi requisiti di ispezione, ad oggi lasciati a livello comunale, saranno iscritti e dettagliati nelle linee guida nazionali per uniformare la qualità del servizio.

ESEMPIO DEL LUSSEMBURGO PER LE VERIFICHE PUNTUALI DELLE ATTIVITÀ PEDAGOGICHE

40

In Lussemburgo, gli ispettori delle strutture per l’infanzia

adatti al raggiungimento degli obiettivi pedagogici

fanno controlli 2 volte l’anno per assicurarsi

fissati dal programma del 2016, Curriculm Framework

che i metodi di insegnamento degli asili nido siano

on Non-Formal Education for Children and Youth.


Proposta 1.2.3

Potenziare i luoghi di coordinamento pedagogico. Per uniformare ul-

teriormente la qualità dell’offerta educativa, proponiamo l’attuazione su tutto il territorio italiano di luoghi di coordinamento pedagogico sia per le strutture pubbliche sia per quelle private. Inoltre, per lo stes-

so obiettivo di qualifica e uniformità del servizio, è necessaria la diffusione dei luoghi di aggregazione di diversi servizi educativi per la

fascia 0-6, definiti anche come Poli per l’Infanzia. I Poli per l’infanzia ri-

uniscono in un unico fabbricato, o in edifici a prossimità, più strutture

dedicate all’educazione per i bambini sotto i 6 anni. L’obiettivo dei Poli per l’Infanzia è di promuovere i percorsi di educazione continuativa, creando un passaggio diretto tra asilo nido e scuola dell’infanzia.

LA SITUAZIONE OGGI- EDUCATORI

La nostra proposta prevede l’apertura di 13.600 nuovi asili nido. Così tanti nido richiedono circa 47.000 nuovi insegnanti da assumere in quat-

tro anni. Se, contemporaneamente, vogliamo anche migliorare la qualità del servizio saranno necessari circa 85.000 insegnanti. Per arrivarci, proponiamo di aumentare il numero di laureati che possono insegna-

re al nido, creando corsi di abilitazione per qualsiasi laureato, consenti-

re a chi è in graduatoria pubblica di insegnare in asili privati maturando punti, e di creare tirocini universitari che aumentino l’offerta.

Attualmente in Italia ci sono circa 51.000 educatori per asili nido, ovvero

circa un educatore ogni sette bambini. Innanzitutto, questo rapporto educatore/bimbi è numericamente insufficiente. Più ricerche suggeriscono

che, nella prima infanzia, a contare sia il rapporto educatore-bambino. I bambini hanno infatti bisogno di figure di riferimento che trasmetta-

no competenze non cognitive attraverso la mimesi. Per questo un edu-

catore ogni sette bambini è un numero troppo esiguo. Pensiamo che sia necessario portare gli educatori da uno ogni sette ad almeno uno ogni cinque, ovvero circa 20.000 educatori in più rispetto a oggi. La mancanza di educatori è imputabile anche al quadro legislativo.

Fino all’introduzione della Buona Scuola non vi erano requisiti di assunzione basati su titoli di studio per il personale educativo degli asili nido. Oggi, per svolgere il ruolo è necessaria una laurea in Scienze dell’Educazione e

della Formazione. In teoria, il requisito di laurea è valido per tutti gli asili ni-

do, che siano pubblici, convenzionati o privati. In pratica, i deboli servizi di valutazione e verifica fanno sì che in molte strutture, specialmente quelle private, questo requisito non sia preso in considerazione.

Il requisito di laurea, sebbene rappresenti un buon passo verso la professionalizzazione del servizio, si è tuttavia rivelato non ottimale per almeno due motivi: 1) la scarsità di educatori ha avuto l’effetto di contrarre

41


l’offerta, almeno nel breve periodo; 2) i migliori nido non basano l’insegnamento su una sola tipologia di competenze, ma creano “squadre”

di diverse professionalità per accompagnare la formazione in tutti i suoi aspetti: buone pratiche come il Modello Reggio invece, già citato, insegnano che asili di successo per meglio sviluppare la crescita dei bambi-

ni hanno bisogno di docenti con molteplici competenze: linguistiche, artistico-espressive, logico-matematiche, verbali, musicali, di movimento.

I box seguenti spiegano come Svezia e Nuova Zelanda abbiano inserito gli obblighi senza creare scompensi nell’offerta di educatori.

SVEZIA: MINIMO UN EDUCATORE QUALIFICATO PER NIDO In Svezia, il requisito è che ci sia almeno un educatore

abilitante al mestiere di insegnante, il 19.5%

per l’infanzia in ogni asilo nido, ovvero una persona

aveva un diploma specifico in servizi per l’infanzia,

con laurea specifica per l’organizzazione di attività

lo 0.7% aveva un diploma specifico per l’insegnamento

educative. Nel 2017, il 40.1% del personale educativo

di sostegno, l’8.5% aveva completato altri percorsi

era in possesso di una laurea triennale specifica

di formazione per la pedagogia ed infine

per questo ruolo, il 1.7% era in possesso di un master

il 29.6% non aveva titoli di studio.

NUOVA ZELANDA: COME MIGLIORARE LA QUALITÀ NEL TEMPO Nel 2002, la Nuova Zelanda ha implementato un

arrivare a 100% nel 2012. In questo modo, i corsi

programma decennale per migliore la qualità dei servizi

di formazione per educatori hanno avuto la possibilità

educativi per la prima infanzia, Pathways to Future. Tra

di adattarsi e rispondere all’aumento della domanda

le misure del programma c’era il requisito di laurea

di educatori. Fino al 2011 sono anche state aumentate

per gli educatori degli asili nido da implementare in

le borse di studio per i percorsi di laurea qualificanti

modo graduale e non in un solo momento: entro il 2007

per gli educatori in modo da stimolare l’offerta di

il 50% degli educatori doveva essere in possesso della

personale. La misura è stata un successo: nel 2005 già

laurea, entro il 2010 la quota avrebbe raggiunto l’80% per

il 50% degli educatori era in possesso della laurea.

Per gli asili privati, invece, è la competizione con l’attrattività dell’impie-

go pubblico a disincentivare gli educatori: stipendi più alti e condizioni di lavoro più favorevoli nel pubblico inducono gli educatori ad inserirsi in

graduatorie aspettando il ruolo o la supplenza, ma senza poter insegnare in asili privati per non perdere il posto. Questo produce un forte disequilibrio tra educatori potenziali e educatori reali.

Infine, le occupazioni nei servizi per la prima infanzia sono caratterizzate

dalla bassa partecipazione maschile, il che può contribuire alla trasmissione di modelli di stereotipi di genere fin dalla prima età dei bambini. 42


Pochissimi uomini lavorano nel settore della prima infanzia Percentuale di personale maschile negli asili nido sul totale, 2016 %

8 7 6 5 4 3 2

Ungheria

Malta

Lettonia

Lituania

Repubblica Ceca

Fonte: “Early Childhood Workforce Profiles” di P.Oberhuemer e I.Schreyer 2018

Estonia

Paesi Bassi

Italia

Irlanda

Grecia

Francia

Regno Unito

Austria

Finlandia

Belgio

Spagna

Danimarca

Slovenia

Svezia

Germania

0

Lussemburgo

1

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 1.2.4

Ampliare la tipologia di lauree abilitate all’insegnamento al nido. Per raggiungere il numero di docenti necessari proponiamo di aumentare

il bacino di laureati aumentando il numero di educatori potenziali attraverso nuovi corsi e nuove lauree, mantenendo l’obbligo di titolo di

studio per il personale educativo ma promuovendo il lavoro collegiale. Togliere quindi l’esclusività della laurea in Scienze dell’Educazione

e della Formazione ed allargare i percorsi di formazione validi per la qualificazione degli asili nido. Per esempio, sarà permesso a chi è qua-

lificato per i ruoli di maestro dell’infanzia o pedagogista di integrare il personale educativo dell’asilo nido (aprendo quindi anche alle lauree

magistrali in Programma e gestione dei servizi educativi, Scienze pedagogiche, Teorie e metodologie dell’e-learning e della media educa-

tion). Stimiamo che l’estensione anche a queste lauree renderà dispo-

nibile un flusso di circa 5 mila educatori pronti all’insegnamento ogni anno. Prevediamo inoltre la creazione di corsi di 9 mesi per la conversione di laurea per chi ha altri percorsi di formazione. In questo modo,

anche chi ha una laurea in, per esempio, Filosofia, in Matematica o in Storia dell’Arte, può diventare educatore negli asili nido seguendo un

corso di formazione. Questa misura permetterà non solo di risolvere il

problema dovuto alla carenza di organico ma anche di migliorare la

qualità dell’offerta assicurando un personale esperto con qualificazio-

ne differenziate. Questa proposta, obbligo di requisito incluso, deve essere esteso agli asili privati.

43


Proposta 1.2.5

Equiparazione delle ore di insegnamento privato nelle graduatorie. Per risolvere lo squilibrio del personale educativo tra asili pubblici e asili

privati proponiamo di dare priorità, al momento delle selezioni per le as-

sunzioni in asili nidi pubblici, ai candidati con più ore lavorate, siano esse in asili nido convenzionati o in asili pubblici. In questo modo si può prevenire la saturazione delle graduatorie per assunzioni negli asili nido pub-

blici. Stimiamo che questa proposta renda immediatamente disponibili circa 25 mila educatori oggi fermi in graduatoria.

Proposta 1.2.6

Incentivare tirocini e apprendistati di educatori al nido in modo da aumentare l’offerta di personale di pari passo con il necessario aumento di strutture. Questo si può fare finanziando tirocini e contratti di

apprendistato per giovani che seguono corsi di laurea rilevanti per il settore (Pedagogia, Scienze dell’Educazione, Lingue, etc). Oggi è previsto un tirocinio per gli studenti in Scienze dell’Educazione e della For-

mazione: noi proponiamo di estendere la possibilità di tirocini in asili

nido per altri corsi di laurea. Il tirocinio può essere integrato durante o alla fine del ciclo di studi, diventando così un’esperienza qualificante e

permetterebbe agli asili nido di avere risorse ulteriori, così da poter diminuire il rapporto personale per bambino e fornire servizi di migliore

qualità. La Danimarca ci offre un esempio di come impostare i periodi di tirocinio integrati e finanziati in parte dallo Stato e in parte dagli asi-

li nido, per tutti gli studenti dei corsi di laurea per i servizi per l’infanzia.

DANIMARCA: ESPERIENZA LAVORATIVA PER TUTTI I FUTURI EDUCATORI

44

In Danimarca, gli educatori per l’infanzia devono

circa al tirocinio fatto dallo studente. Lo Stato

completare una laurea che si concentra in gran

copre le spese dello studente per la prima

parte (un terzo) sull’esperienza pratica. Il periodo

e la quarta fase dell’esperienza lavorativa mentre

di lavoro negli asili nido è organizzato in quattro fasi,

è prevista una remunerazione dell’asilo nido

con obiettivi di apprendimento per lo studente ben

per la seconda e terza fase. Il personale dell’asilo

definiti. La valutazione delle competenze dello

nido che fa da guida allo studente durante

studente è interna ma anche esterna: viene

l’esperienza riceve un bonus salariale (nel 2014

richiesto il parere di chi già lavora negli asili nido

era di 550 per un tirocinio di 6 mesi).


Stimiamo che dei circa 85 mila insegnanti necessari per realizzare l’aumento della quantità e della qualità degli asili nido, circa 25 mi-

la saranno immediatamente disponibili grazie allo sblocco delle gra-

duatorie (proposta 1.2.5) e circa 20 mila in quattro anni saranno i nuo-

vi laureati in pedagogia e corsi simili (proposta 1.2.4). I restanti circa 40 mila posti necessari dovranno essere coperti da laureati in altre discipline che seguono un corso di conversione e da tirocinanti (proposta 1.2.4 e 1.2.6).

Proposta 1.2.7

Incentivare la partecipazione maschile negli asili nido attraverso

l’implementazione di campagne d’informazione rivolte a giovani e studenti per far scoprire loro i mestieri della prima infanzia. L’obiettivo

si può raggiungere anche inserendo dei target di quote maschili nei mestieri per l’infanzia come ci insegna il caso Norvegese.

NORVEGIA E OCCUPAZIONE MASCHILE AL NIDO La Norvegia ha fatto grandi sforzi per incentivare

regolamentazioni per promuovere l’assunzione

l’occupazione maschile nei servizi socioeducativi per

di uomini nel settore, tra le quali la misura di favorire

la prima infanzia e ridurre così la differenza di genere

il candidato uomo su candidati di sesso diverso

che caratterizza il settore. Negli anni 90, il governo

ma identica qualifica. L’obiettivo del 20% non è stato

norvegese ha sviluppato un sistema di network per

raggiunto ad oggi ma la Norvegia è tra i paesi

il personale maschile delle strutture per l’infanzia, ha

con un vantaggio per quanto riguarda l’incremento

organizzato conferenze sul tema e ha pubblicato del

di occupazione maschile nei servizi per la prima

materiale per invitare la gente a riflettere sul tema. Nel

infanzia (al 10.3% nel 2017). Sono anche aumentati

1997, lo Stato si è dato come obiettivo il raggiungimento

gli studenti maschi nei corsi di laurea qualificanti

del 20% di occupazione maschile nelle professioni del

per i ruoli di educatori, nonostante il tasso

settore dei servizi socioeducativi per la prima infanzia

di abbandono del corso rimanga più elevato per

entro il 2000. Più recentemente, sono state introdotte

la quota di studenti maschile rispetto alla femminile.

45


1.3 Stimolare la domanda Nonostante l’evidente valore pedagogico e sociale che questi svolgo-

no, ancora oggi purtroppo poche famiglie conoscono il valore educativo del nido e, comunque, lo trovano economicamente inaccessibile.

Per incentivare l’uso del nido proponiamo di estendere la platea interessata dal bonus nido, fornire ulteriori incentivi in aree interne e cre-

are un servizio di informazione per le madri da fornire durante la maternità che aiuti a illustrare i benefici del nido.

LA SITUAZIONE OGGI

Oltre alle forti carenze nell’offerta di servizi per la prima infanzia, sia in

termini di strutture sia in termini di personale, anche la domanda rimane ben al di sotto del suo potenziale. Questo accade per una serie

di motivi tra cui i principali sono gli alti costi per le famiglie e la scarsa informazione che viene loro fornita sulla qualità e i benefici dei servizi alla prima infanzia.

I costi Nel 2018, le 348.200 famiglie che hanno dichiarato di aver avuto spese

per gli asili nido, pubblici o privati, hanno sostenuto una spesa di qua46


si 624 milioni di euro. La spesa media delle famiglie per gli asili nido nel

2015 era di 1.570 €, salito a 1.996 € nel 2017. La media livella tuttavia enormi disparità geografiche: in una città come Brescia, il nido costa all’incirca 4.450 € all’anno per bambino.

Gli elevati costi sono tra i fattori che contribuiscono al contenimento della domanda. Il grafico sottostante evidenzia infatti come le fami-

glie mediamente più ricche fanno affidamento al nido. Oltre al reddi-

to, altri fattori socioeconomici quali la grave deprivazione materiale, il

rischio di povertà e l’esclusione sociale, hanno effetti discriminanti per l’accesso dei bambini agli asili nido.

I bambini delle famiglie più svantaggiate frequentano meno l’asilo nido Percentuale di famiglie con bambini 0-3 anni che utilizzano il nido per tipologia di disagio economico - anno 2017

%

30

26,2

25 20 15

13,7

14,2

GRAVE DEPRIVAZIONE MATERIALE

RISCHIO DI POVERTÀ

15,5

10 5 0

BASSA INTENSITÀ LAVORATIVA

NESSUNA CONDIZIONE PRECEDENTE

Fonte: Eu-Silc - anno 2017

Ad oggi, la normativa italiana a livello nazionale prevede due tipi di strumenti, non cumulabili, di sostegno alle famiglie per la copertura delle spese dei servizi per la prima infanzia:

• le detrazioni del 19% per le spese di frequenza dei nidi. La misura, intro-

dotta nel 2005, prevede una detrazione del 19% delle spese dell’asilo nido con tetto di spesa massimo di 632 €. Il rimborso massimo che spetta alle famiglie è quindi di 120 € annui. Per il triennio 2020-2022, è stata stimata una spesa di 31,5 milioni l’anno per finanziare questa misura.

Il numero di beneficiari di questa misura è molto limitato: si stima che

nel 2019, i genitori di solo l’8% dei bambini tra gli 0 e i 3 anni ne abbiano usufruito. Altri paesi, come l’Austria, prevedono delle detrazioni fiscali per la cura dei bambini, con rimborsi però ben superiori ai 120 € annui

italiani. Questo paragone ci porta a pensare che in Italia la misura abbia poco successo anche a causa del limitato vantaggio per le famiglie.

47


AUSTRIA: DETRAZIONI FISCALI FINO A 2.300 € PER LE SPESE PER LA CURA DEI BAMBINI Le famiglie austriache hanno la possibilità di detrarre

le rette per gli asili nido. L’agevolazione massima

dalle proprie tasse i costi per la cura dei bambini

è di 2.300 € ma sono previste ulteriori

tra gli 0 ed i 10 anni, costi che comprendono anche

detrazioni fiscali per le famiglie monogenitoriali.

• il Bonus Asilo Nido. Il Bonus Asilo Nido propone invece alle fami-

glie un buono annuo per coprire le spese per asili nido, che siano pubblici o privati autorizzati. Nel 2017, primo anno di istituzione del-

la misura, l’importo annuo massimo del buono era pari a 1.000 € che è poi aumentato negli anni fino a raggiungere i 3.000€ nel

2020. La quota erogata ad ogni famiglia è determinata in base all’ISEE (3.000 € per le famiglie con ISEE inferiore ai 25.000 €; 2.500 per

famiglie con ISEE fino ai 40.000 e 1.500 € per famiglie con ISEE ol-

tre i 40.000 €). Il bonus viene erogato a rimborso: ogni mese o a fine anno il genitore che sostiene la spesa di retta dell’asilo nido

inoltra per via telematica la ricevuta di pagamento all’INPS che provvede al rimborso. La legge di bilancio 2020 fissa il limite di spesa a

520 milioni di euro contro i 144 milioni di euro stanziati nel 2017. Nel 2017 e nel 2018 i fondi stanziati non sono stati esauriti: sono stati spesi solo

5,8 milioni su 144 stanziati nel 2017 e 75 milioni sui 250 milioni stanziati nel 2018. Per il 2019, l’INPS ha annunciato di aver esaurito i fondi per il Bonus Asilo Nido: dichiarazione che ha stupito molti dato che a settembre 2019 erano stati spesi 163 milioni sui 300 milioni stanziati.

Il Bonus Nido ha i seguenti problemi: • La distribuzione territoriale dei beneficiari è fortemente disomoge-

nea. La maggior parte delle risorse è stata erogata a famiglie del Nord

(56%) e del Centro Italia (26%). Questo perché le famiglie che lo richiedono sono quelle che vivono laddove ci sono abbastanza strutture.

• L’importo, basato su ISEE nazionali, non tiene conto di differen-

ze di costo regionali: in alcune zone il bonus permette di copri-

re tutti i costi della retta dell’asilo nido ma in altre zone è insuffi-

ciente: questo perché i costi delle rette variano molto tra regioni.

• Il rimborso, avvenendo ex post, richiede alle famiglie più povere di

anticipare il costo: la procedura per ottenere l’incentivo è laboriosa e

dissuade molte famiglie da farne domanda perché, prima di tutto, richiedere l’ISEE è esso stesso complicato e poi perché il rimborso preve-

de che le famiglie anticipino i costi, cosa che molto spesso non può avvenire, soprattutto per le famiglie svantaggiate.

48


LE NOSTRE PROPOSTE:

L’attuale assetto fiscale che stimola la domanda di servizi all’infanzia deve essere migliorato e potenziato.

Proposta 1.3.1

Nido gratuito per la maggioranza degli italiani: potenziare e semplificare il bonus nido.

Proponiamo di rimodulare il bonus nido come segue:

• Per ovviare a differenze di costo regionali, basare l’importo del bonus

su costi medi regionali, pubblicati ogni anno sul sito della regione

per lo stesso anno.

• Per ovviare alla scarsa platea che ne fa domanda, modificare gli

scaglioni ISEE come segue:

• sotto i 25.000 € annui, il nido sarà gratuito indipendentemente dal costo medio regionale

• tra i 25.000 e 40.000 € annui, erogare una quota decrescente (lineare) del costo medio regionale fino all’azzeramento al di sopra

dei 40.000.

Con il nuovo Bonus Nido, tutte le famiglie con ISEE inferiore a 25 mila eu-

ro potranno utilizzare gli asili gratuitamente. Invece, con il vecchio Bo-

nus Nido, molte famiglie anche sotto i 25 mila euro devono pagare par-

te della spesa, dato che il costo medio annuale di un asilo è superiore a 3.000 € in 16 regioni.

• Per ovviare alla difficoltà di ottenimento, far sì che le famiglie non

debbano anticipare la retta e poi chiederne il rimborso, ma predisporre la decurtazione immediata della retta in base a quanto so-

pra. Questa procedura, che si applica in molti casi anche alle scuole primarie prevede che le famiglie presentino l’ISEE alla scuola e

che questa applichi direttamente il bonus alla retta, per poi riva-

lersi sullo Stato per l’ammontare. Con questa misura si evitano pas-

saggi e costi amministrativi inutili legati alla modalità di rimborso alle famiglie tramite la domanda INPS. In Emilia-Romagna, per esem-

pio, i comuni ricevono dei finanziamenti dalla regione dedicati inte-

ramente all’abbassamento delle rette degli asili nido per le famiglie con ISEE inferiore ai 26 mila euro.

Questa misura avrebbe un costo di circa 1,8 miliardi di euro. Dopo aver realizzato l’aumento dell’offerta di asili nido (proposta 1.1.1), stimiamo che

oltre 600 mila bambini frequenteranno gli asili nido ogni anno. Basan-

doci sul costo regionale medio e sulla distribuzione regionale dell’offerta di asili nido, i costi totali per frequentare gli asili nido dovrebbero essere intorno a 2,24 miliardi di euro. Abbiamo stimato che circa il 70%

delle famiglie ha un reddito ISEE inferiore a 25 mila euro e circa il 20% tra

25 mila e 40 mila. Di conseguenza, secondo i parametri della proposta, stimiamo che il bonus nido dovrebbe coprire una quota della spesa totale pari circa l’80%. Una volta che l’aumento dell’offerta di asili nido

sarà completato, il costo del Bonus Nido sarà quindi di circa 1,79 miliardi. Di conseguenza, rispetto ai 500 milioni stanziati in legge di bilancio

49


2020, vogliamo stanziare 1,29 miliardi aggiuntivi a regime. Con la rimodulazione del Bonus Nido proponiamo di a brogare la detrazione nido e convogliare tutte le risorse sul potenziamento del Bonus Nido.

EMILIA-ROMAGNA: ABBASSARE I COSTI ALLE FAMIGLIE AUMENTANDO I TRASFERIMENTI AI COMUNI La regione trasferisce ogni anno dei fondi territori (totali

famiglie con Isee inferiore ai 5 mila, mentre le famiglie

18,25 mln nel 2019) vincolati alla riduzione delle rette dei

con Isee tra i 14 ed i 18 mila euro pagano il 55% della

nidi per le famiglie con Isee inferiore a 26mila euro.

retta originale). In questo caso, la riduzione delle rette

Ogni comune decide come ridurre la retta per

è complementare al Bonus Asili Nido: tutte le famiglie,

le famiglie che ne hanno diritto (per esempio a

anche quelle che già beneficiano della riduzione,

Casalecchio, c’è un azzeramento delle rette per le

possono richiedere il rimborso previsto dal bonus.

Proposta 1.3.2

Bonus Nido al 110% nelle aree più svantaggiare. Per le aree interne e laddove non si raggiunga la piena occupazione dei posti nido, proponiamo di maggiorare l’importo massimo del bonus del 10% per incentivare ulteriormente le famiglie a usufruire dei servizi per l’infanzia. Il premio sa-

rebbe versato direttamente a fine mese alle famiglie che ad inizio anno

scolastico hanno inoltrato i documenti che attestino l’iscrizione del proprio figlio presso le strutture per l’infanzia.

50


Proposta 1.3.3

Campagna di promozione e comunicazione per madri e padri. Per fare

ciò, immaginiamo collegare ai servizi sanitari di maternità un programma informativo sulle opzioni educative della prima infanzia e dell’asilo

nido. Legarlo al servizio sanitario durante la maternità permetterebbe

di creare un canale informativo preferenziale con i genitori, lo rende-

rebbe automatico e ne farebbe percepire un maggior valore perché comunicato da personale medico. Questa proposta vuole trasmettere il messaggio che, anche se una famiglia non ha necessità a livello

logistico di iscrivere il proprio figlio ad un asilo nido, la mancata parte-

cipazione all’educazione infantile può creare svantaggi a lungo termi-

ne. L’obiettivo sarebbe di creare la concezione del diritto ai servizi per la prima infanzia per tutti, concetto che già esiste in alcuni paesi quali

la Danimarca. La spesa stimata per il programma informativo è di 500 mila euro l’anno.

DANIMARCA: DIRITTO AL POSTO IN ASILO NIDO PER TUTTI E LIMITE DI RETTA Danimarca: diritto al posto in asilo nido per tutti

In caso di non copertura della domanda

e limite di retta. Dal 2001, le municipalità danesi

potenziale, la municipalità deve pagare una multa.

devono assicurare un posto per tutti i bambini

La retta degli asili nido pagata dai genitori

0-3 anni nelle strutture per i servizi per l’infanzia.

non può eccedere il 25% dei costi di gestione.

51


52


NEXT GENERATION ITALIA 2. Giovani

53


2 Executive Summary In Italia, due milioni di giovani tra i 16 e i 29 anni non studiano e non lavo-

rano, mentre la maggioranza di quelli che lavorano rimangono ai mar-

gini di un mercato del lavoro che li sottopaga e li precarizza. Questa condizione non consente loro di progettare una vita.

Si tratta di una vera e propria emergenza nazionale. Sappiamo infatti che il fenomeno dei NEET (acronimo dall’inglese Neither in Employment or in Education or Training, i giovani che appunto non studiano e non la-

vorano) non ha solo un fortissimo impatto economico, ma soprattutto umano e sociale: i NEET hanno un più alto rischio di isolamento, de-

pressione e suicidio; hanno un più alto grado di instabilità relazionale

e difficoltà a emanciparsi, con possibili ripercussioni intergenerazionali.

Probabilmente è anche per questo che i NEET sono tra le categorie che votano meno.

Negli ultimi vent’anni, ovvero da quando il fenomeno è emerso, lo Stato non ha mai affrontato il problema, anzi. A più riprese, diversi esponenti

politici ne hanno attribuito la causa ai giovani stessi, in quanto svogliati,

mammoni, fannulloni o choosy. La realtà è diversa: i giovani subisco-

no un sistema di formazione che non li prepara a un mercato del lavoro in continua evoluzione, soffrono l’assenza di ammortizzatori sociali e quindi sono socialmente ed economicamente marginalizzati.

Non solo, lasciare i giovani a se stessi aumenta le disparità sociali e di classe. In assenza di sostegno e di un sistema che valuti il merito, un gio-

vane italiano ha accesso solo alle opportunità offerte dalla la sua fami-

glia. L’Italia è uno dei Paesi sviluppati con la più bassa mobilità sociale.

Questo significa che, spesso, chi nasce povero resterà povero e chi na54


sce ricco resterà ricco. Il ruolo della Repubblica è quello di garantire pari

opportunità a tutti. Riparare l’ascensore sociale partendo dai giovani è quindi necessario per contrastare le disuguaglianze e garantire il fun-

zionamento di uno Stato democratico: se la democrazia funziona per pochi, allora non funziona.

Pensiamo che il fenomeno dei NEET vada contrastato attraverso una terapia d’urto di 24 miliardi di euro, e lungo due direttrici:

• Far ripartire coloro che sono NEET già oggi attraverso un investimen-

to straordinario nella loro autonomia economica e nella loro formazione, dando loro finalmente accesso a quelle opportunità che gli sono state sistematicamente tolte. Ciò comporta:

1. la creazione di un nuovo sostegno al reddito, che consenta loro di emanciparsi, spostarsi, formarsi e quindi riacquisire quella fiducia

nel futuro che gli è stata tolta;

2. la creazione di nuovi percorsi di formazione breve e online che li

aiutino ad acquisire le competenze mancanti;

3. un supporto digitale per la ricerca del lavoro, integrato a livello

nazionale;

4. una revisione del contratto di tirocinio e sgravi per le assunzioni. • Contemporaneamente, bisogna evitare che i giovani di domani

diventino NEET garantendo loro un’educazione di qualità e formativa

per il lavoro. Per farlo vogliamo:

1. riformare il ciclo scolastico, rafforzando la didattica nelle scuole

secondarie di primo grado (scuola media) e posticipando la scelta

professionalizzante di un anno, per dare solide competenze di base

a tutti e contrastare la dispersione scolastica;

2. creare un nuovo modello di formazione professionale, molto più

vicino al mondo produttivo e alle sue esigenze, senza compromettere

la formazione di base;

3. riordinare il calendario scolastico, introducendo il tempo lungo e le

4. offrire un nuovo servizio di orientamento, supporto psicologico e di

mense in tutte le scuole;

mediazione culturale all’interno di tutte scuole;

5. attivare un piano straordinario per aree di crisi educativa;

6. aumentare le retribuzioni degli insegnanti incentivando nel

contempo un miglioramento qualitativo dell’insegnamento.

Crediamo che queste misure siano il minimo indispensabile. Non solo,

Azione ritiene che debbano essere estese a tutti quei giovani che, pur nascendo e studiando in Italia, non hanno ancora ottenuto la cittadi-

nanza. Questo anacronismo normativo è antitetico rispetto alla necessità di coltivare il talento di cui questo Paese ha bisogno. E i nuovi italiani semplicemente non possono essere esclusi da questo progetto.

Questo capitolo non affronta né il tema dell’università né il tema dell’impresa giovanile, al quale sarà dedicato un capitolo a parte. Vogliamo infatti concentrarci qui su coloro che sono NEET più per mancanza di competenze e risorse (offerta di lavoro), che per mancanza di posti di lavoro adeguatamente professionalizzanti (domanda di lavoro).

55


LA SITUAZIONE OGGI

In Italia oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione: quasi un giovane su quattro.

L’Italia è nettamente il Paese europeo in cui il fenomeno dei NEET è più diffuso, quasi 3 punti percentuali sopra alla Grecia, secondo Paese in

graduatoria. In Italia infatti i giovani laureati, statisticamente la categoria più occupata, sono comunque meno occupati dei loro coetanei senza laurea in Europa1. Ciò significa che un giovane europeo con un basso li-

vello di istruzione ha in media migliori possibilità di trovare un lavoro rispetto ad un laureato italiano.

Un giovane su quattro non studia e non lavora, un record europeo Percentuale di NEET sulla popolazione (15-34 anni), 2019 % 40 35 30 25 20 15 10

Fonte: Eurostat

La responsabilità di questa situazione non è da attribuire ai giovani italiani: circa il 70% dei NEET cerca attivamente un lavoro o fa parte delle forze di lavoro potenziali e sono quindi disponibili a lavorare2. Non solo, dal

grafico seguente vediamo come il fenomeno dei NEET sia intimamente

legato alla dispersione scolastica: il fallimento, in sostanza, è dello Stato, che non garantisce ai giovani un’offerta didattica di qualità, che sia per-

cepita come tale, inducendoli all’abbandono precoce e quindi aumentando la probabilità che diventino NEET.

1 Dati Eurostat 2 Dati ISTAT

56

Islanda

Svezia

Svizzera

Olanda

Lussemburgo

Norvegia

Austria

Slovenia

Germania

Portogallo

Malta

Danimarca

Lituania

Finalndia

Estonia

Lettonia

Regno Unito

Belgio

Itlanda

Polonia

Repubblica Ceca

Francia

Ungheria

Cipro

Croazia

Spagna

Romania

Slovacchia

Serbia

Bulgaria

Italia

Grecia

Montenegro

EU28

0

Turchia

5


Dove c’è più abbandono scolastico ci sono più NEET Percentuale di abbandono scolastico e di NEET nelle province italiane, 2017 % NEET 50 45 40 35 30 25 20 15 0

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

22

24

28

% ABBANDONO SCOLASTICO Fonte: Elaborazione Openpolis e con i Bambini su dati Svimez, Istat e Anpal.

L’Italia è infatti uno dei Paesi europei con la più alta dispersione scola-

stica. Secondo i dati Eurostat, la dispersione scolastica in Italia nel 2019 è pari al 13,5%, contro una media europea del 10,2%, e ben al di sopra del target del 10% stabilito dall’Unione Europea. Il fenomeno è ancora più preoccupante se consideriamo la disomogeneità dei dati sul territorio: in Sicilia il tasso di dispersione scolastica è pari al 22,4% mentre nella provincia di Trento è contenuta al 6,8%.

Alto tasso di dispersione scolastica in Italia Tasso di dispersione scolastica sulla popolazione 18-24 anni %

30

25

20

15

10

Croazia

Grecia

Lituania

Svizzera

Slovenia

Irlanda

Montenegro

Svezia

Polonia

Serbia

Lussemburgo

Repubblica Ceca

Olanda

Finlandia

Austria

Francia

Belgio

Slovacchia

Cipro

Lettonia

Estonia

Norvegia

Germania

Danimarca

Potogallo

Regno Unito

Italia

Ungheria

Bulgaria

Malta

Romania

Islanda

Fonte: Eurostat

Spagna

EU28

0

Turchia

5

57


La dispersione scolastica ha costi altissimi sia per l’individuo che per lo

Stato: abbandonare precocemente gli studi ha effetti a lungo termine sulla vita dei giovani, tra cui una maggiore probabilità di disoccupazio-

ne e inattività, esclusione sociale, depressione e redditi più bassi. Anche

in termini economici, questi giovani rappresentano un alto costo per lo Stato perché, essendo diffi cilmente integrabili nel mondo del lavoro, pe-

seranno probabilmente sulla spesa sociale più di quanto potranno contribuirvi.

Ma non sono NEET solo coloro che abbandonano gli studi. In Italia, la scarsità di opportunità a disposizione dei giovani non risparmia neanche i più qualificati. Infatti, il 19,5% dei laureati italiani sono NEET, rispetto

ad una media europea del 9%. Un numero sempre crescente di giovani, tra cui molti qualifi cati, emigra all’estero, dove trova un lavoro gratifi -

cante, un reddito soddisfacente, una possibilità di crescita personale e professionale.

E c’è di più: il fenomeno dei NEET e quello della dispersione scolastica

hanno un impatto sulla mobilità sociale, riducendola drasticamente.

L’Italia si posiziona al 34esimo posto a livello mondiale, con un punteggio di 67,4, nel Global Social Mobility Index1 del World Economic Forum, che

misura proprio il livello di mobilità sociale all’interno dei Paesi. Quasi tut-

ti i Paesi sviluppati superano l’Italia in questa classifica. I Paesi del nord

Europa, i migliori in questa classifi ca, registrano valori superiori ai 80, la Germania 78,8, la Francia 76,7, il Regno Unito 74,4, gli Stati Uniti 70,4, la Spa-

gna 70. Per fare un esempio, il grafi co sottostante mostra come diverse categorie di reddito si distribuiscano nelle scuole secondarie superiori. Il

trend è chiaro: chi è più abbiente riesce a frequentare il liceo classico, chi non lo è frequenta in maggioranza istituti professionali, dove la dispersione è ben più alta.

Influenza della situazione socio-economica della famiglia sulle scelte academiche dei figli Diplomati per tipo di scuola e classe sociale di appartenenza, 2016 Classe Alta

Classe media impiegatizia

Classe media autonoma

Classe del lavoro esecutivo

Non Classifi cabili

SCUOLA Liceo classico Liceo musicale e coreutico Liceo scientifico Liceo linguistico Liceo delle scienze umane Liceo artistico IT tecnologico IT economico IP servizi IP industria e artigianato Totale diplomati (2016)

0

20

40

Fonte: Alma Diploma 1

Il Global Social Mobility Index è un indice che sintetizza la mobilità sociale intergenerazionale

58

60

80

100


L’indicatore di mobilità sociale è molto signifi cativo perché è strettamente correlato all’indice Gini, che misura il livello di disuguaglianze all’interno di una società, e alla capacità di un sistema pubblico, eco-

nomico e sociale di offrire pari opportunità a tutti i suoi cittadini, in-

dipendentemente dal loro punto di partenza. Inoltre, è stato calco-

lato che una maggiore mobilità sociale è anche correlata con un più alto livello di soddisfazione dei cittadini2 e una maggiore produttività dei lavoratori, grazie a un’allocazione più effi ciente del capitale umano3. Una scarsa mobilità sociale è sia una delle cause che una con-

seguenza delle disuguaglianze crescenti all’interno della società.

La mobilità sociale e disuguaglianze Correlazione tra l’indice di mobilità sociale, l’indice di Gini e l’indice delle disuguaglianze di opportunità GINI (post taxes and transfers) 20

Svezia Finlandia

30

Norvegia Francia Canada

Danimarca

Germania Giappone

UK Nuova Zelanda Italia

Australia USA

40

Turchia

Cina

Singapore

50

Messico Brasile Indonesia

India

Arabia Saudita

60

Sud Africa

70 100

90

80

70

60

50

40

30

Global Social Mobility Index Score (0-100, best)

Global Social Mobility Index Score (0-100, best) 100 90

Finlandia

80

Germania Francia USA

70

Italia Corea del Sud

60

Messico

50

Brasile Sud Africa

40 30

0

0,05

0,10

0,15

0,20

0,25

0,30

0,35

Inequality of opportunities index (0-100, the higher the more uniqual) Fonte: The Global Social Mobility Report 2020, World Economic Forum

2 The Global Social Mobility Report 2020, World Economic Forum 3 Social mobility and economic success, Bellet et al, 2019

59


La natura circolare di questo rapporto richiede un forte intervento esogeno, strutturato e tempestivo, che spezzi questo meccanismo.

Per riassumere, le cause dell’alto tasso di NEET italiano, e quindi le storture che le nostre proposte mirano a correggere, sono:

• un sistema educativo che crea troppe diseguaglianze e non offre una conoscenza di base comune a tutti di qualità sufficiente. Infatti, i risultati educativi dei licei e degli istituti tecnici e professionali sono

molto diversi tra loro e molti lavoratori poco qualificati non possiedo-

no conoscenze di base necessarie per adattarsi alla trasformazione del mercato del lavoro. Il basso grado di istruzione aumenta la probabilità di essere NEET;

• una scuola che non fornisce adeguato supporto agli studenti più deboli e ai nuovi italiani. È necessario intervenire sull’orientamento, sul

supporto psicologico e sulla mediazione culturale per creare un ambiente scolastico più inclusivo e non lasci nessuno indietro;

• la scarsa formazione professionale, che non fornisce agli studenti le competenze richieste dal mercato del lavoro. Anche questo fenomeno risulta particolarmente critico negli istituti tecnici e professionali;

• un sistema di welfare a sostegno dei giovani pressoché assente. I

giovani, dipendenti dalle famiglie d’origine e non inseribili nel mercato del lavoro, non dispongono di risorse né per muoversi laddove ci sono opportunità di lavoro, né per formarsi;

• un sistema di ricerca del lavoro che rimane per la grande maggioranza informale, scoraggiando chi non ha un network di conoscenze;

• una scarsa mobilità territoriale che rende più difficile l’incontro tra

domanda e offerta di lavoro, particolarmente rilevante perché spesso nel nostro Paese domanda e offerta di lavoro sono concentrate in zone diverse.

60


61


2.1 Investire sui NEET oggi Prima di tutto, vogliamo creare misure a sostegno di coloro che so-

no già NEET oggi. Vanno accompagnati due milioni di giovani verso il mercato del lavoro. Vogliamo creare una dote economica che li aiu-

ti a emanciparsi, studiare e spostarsi per cercare opportunità, creare opportunità di formazione breve che offrano le competenze perse o

mai acquistate; vogliamo cambiare la contrattualistica di inserimento lavorativo, accompagnandola con incentivi per sostenere l’impiego, specialmente nella fase post-pandemia.

CONTESTO Attualmente, ci sono poche misure per i giovani e sono di scarso valore. Le misure attualmente in vigore in Italia per contrastare il fenomeno dei NEET sono due. Complessivamente costano circa 600 milioni nel 2021 e costeranno 1,1 miliardi nel 20231/2:

1. La prima e più importante è Garanzia Giovani, un’iniziativa europea

lanciata nel 2013 con l’obiettivo di fronteggiare le difficoltà di

inserimento lavorativo e la disoccupazione giovanile. Il progetto

prevede finanziamenti a tutti i Paesi con un tasso di disoccupazione

giovanile superiore al 25%. Il programma inizia con una profilazione

del giovane, seguito da un percorso di supporto all’inserimento

lavorativo, strutturato in base alle esigenze individuali. I risultati del

programma sono incoraggianti, ma non del tutto soddisfacenti. Nel

2018, solo il 12,7% dei NEET era iscritto al programma, in calo rispetto

al 13,6% del 2017 e al 14,1% del 2016. Il 69,8% degli iscritti nel 2018 ha

dovuto attendere un’offerta di lavoro per oltre un anno, rispetto

alla media UE del 19,2%. Complessivamente, è stata offerta un’effettiva

opportunità di inserimento lavorativa a circa 600 mila giovani dall’inizio

1 Fonte Camera dei Deputati 2 Fonte MEF

62


del programma. Inoltre, il programma sembra avere effetti limitati nel

sono occupati dopo 6 mesi, mentre solo il 38,6% lo è ancora dopo un

lungo termine. Infatti, il 61,1% dei giovani che lasciano il programma

anno e il 30,2% dopo un anno e mezzo. Inoltre, Garanzia Giovani ha mostrato un ulteriore limite: i percorsi di inserimento nel mercato

del lavoro sono concentrati soprattutto sui tirocini (57,5%) e

incentivi alle assunzioni (23,3%), mentre molto più marginale è

stato il ruolo delle attività di formazione3.

2. A partire dal 2018, sono stati previsti sgravi contributivi per le nuove

assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni dei contratti

a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. La legge

di bilancio 2021 ha rafforzato queste misure, prevedendo l’esonero

contributivo al 100% per un periodo massimo di trentasei mesi, nel

limite massimo di importo pari a 6.000 € annui nel biennio 2021-2022.

LE NOSTRE PROPOSTE: Aiutare i NEET oggi: stima dei costi delle proposte PROPOSTA #

DESCRIZIONE

SPESE CORRENTI INVESTIMENTI

TEMPORANEE

PERMANENTI

TOTALE

Sostegno all’autonomia 2.1.1.1

Sostegno all’autonomia educativa: 200 euro al mese a tutti i giovani che si stanno formando

1.600

1.600

2.1.1.2

Sostegno all’autonomia abitativa: 200 euro al mese a tutti i giovani in affitto fuorisede

1.600

1.600

2.1.1.3

Sostegno all’autonomia economica: zero tasse fino ai 25 anni, taglio del 50% fino ai 29 anni

5.400

5.400

Una nuova formazione breve 2.1.2.1

Nuovi programmi di formazione breve, ancorati ai bisogni produttivi del territorio

2.1.2.2

Premi ai formatori: incentivi a chi eroga corsi brevi virtuosi

2.1.2.3

Corsi gratuiti di formazione di base per competenze linguistiche e digitali

--

125

125

31

31

--

1

Far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro giovanile 2.1.3.1

Una piattaforma efficace per il lavoro giovanile: sfruttare le migliori esperienze

2.1.3.2

Bonus per le imprese che attivano contratti tramite la piattaforma

300

300 100

100

Riforma del tirocinio 2.1.4.1

--

Armonizzare la normativa sui tirocini a livello nazionale

Incentivare le assunzioni per uscire dalla crisi 2.1.5.1

Contributo statale fino all’80% per i nuovi tirocini

2.1.5.2

Contributo statale fino all’80% per i nuovi apprendistati

2.1.5.3

chi trasforma il tirocinio/apprendistato in contratto di lavoro

741

741

2.298

2.298

889

889

440

440

Potenziare il Servizio Civile 2.1.6.1

Potenziare il Servizio Civile

Totale proposte

300

13.068

156

13.525

Nota: i costi stimati del documento sono da intendersi come indicativi. Sono stimati usando dati pubblici e fonti online. Inoltre abbiamo stimato le spese solo delle principali misure, prevedendo che le misure senza stima corrispondano a spese minori. 3 Dati estratti dal rapporto della Commissione Europea sui risultati di Garanzia Giovani

63


2.1.1 Sostegno all’autonomia LA SITUAZIONE OGGI

La nostra prima proposta consiste nel ripensare il sostegno al reddito

dei giovani. I giovani sono la classe di età in cui solitamente la necessità di risorse è più alta e la disponibilità è più limitata. Questo causa vari problemi.

I giovani hanno difficoltà a seguire corsi di formazione o frequentare

l’università, durante la quale devono mantenersi ed eventualmente pagare le spese per la formazione. Incontrano difficoltà anche a spo-

starsi per cogliere nuove opportunità lavorative e formative. Avere ri-

sorse iniziali è fondamentale per aprire un’attività, separarsi dal nucleo familiare e iniziare a pensare ad avere figli.

Un altro problema tipicamente italiano è la difficoltà dei giovani di rendersi autonomi rispetto alle famiglie. I giovani italiani trovano molte

più diffi coltà ad uscire dalle famiglie rispetto ai giovani degli altri Pae-

si europei. Infatti, in Italia l’85,4% dei giovani tra i 16 e i 29 anni vive con i genitori, dato più alto d’Europa, secondo solo alla Croazia. Questa per-

centuale oscilla tra il 30% e il 40% nei Paesi scandinavi, è del 55% in Francia, il 67,4% in Germania e il 69% della media UE-27. Alcuni sondaggi

indicano che la motivazione più frequente per cui i giovani restano a vivere con i genitori è la mancanza di risorse necessarie per uscire di casa e l’elevato costo degli affi tti1.

Italia uno dei paesi in Europa dove i giovani vivono piu a lungo a casa Percentuale di giovani che vivono con la famiglia di orgine nei paesi europei, 2014 %

25-34 qnni

18-24 anni

100

80

60

40

Fonte: Eurostat 1

Sondaggio di Eurobarometro nel 2007

64

Danimarca

Finlandia

Norvegia

Svezia

Estonia

Paesi Bassi

Francia

Lettonia

Bulgaria

Romania

Lituania

EU27

Svizzera

Austria

Germania

Repubblica Ceca

Ungheria

Cipro

Belgio

Grecia

Polonia

Irlanda

Lussemburgo

Slovenia

Portogallo

Slovacchia

Croazia

Spagna

Malta

0

Italia

20


In Italia i giovani fanno affidamento pressoché esclusivo sui risparmi

delle famiglie d’origine per tutte le spese che devono sostenere. Questo

crea forti disuguaglianze tra coloro che possono disporre di tanti risparmi familiari e coloro che invece non possono, penalizzando molto la mobilità sociale.

Lo Stato deve intervenire per spezzare la forte correlazione tra risorse a disposizione della famiglia e le possibilità di successo dei figli, in modo

da garantire una maggiore uguaglianza sostanziale dei suoi cittadini.

Questo sostegno va esteso non solo ai cittadini italiani, ma anche ai giovani nati in Italia, e che hanno terminato un ciclo di studi nel nostro Paese

ai quali non è ancora stata concessa la cittadinanza per via di un anacronismo normativo, vittime di un sistema che li emargina.

LE NOSTRE PROPOSTE:

Abbiamo previsto tre misure, cumulabili tra loro:

Proposta 2.1.1.1

Sostegno all’autonomia educativa: 200 euro al mese a tutti i giovani che si stanno formando. Erogare 200 € mensili a tutti i giovani tra i 19

e i 23 anni iscritti all’università, a un ITS o a un corso di formazione breve. Questa cifra potrà essere spesa liberamente. Il sostegno sarà eroga-

to nel tempo in cui il giovane segue un percorso formativo ed è condi-

zionato alla presentazione di documenti che attestino la partecipazione attiva al corso di studi (partecipazione alle lezioni o agli esami). In que-

sto modo, incentiviamo i giovani appena usciti dalla scuola dell’obbligo

a proseguire gli studi (alla proposta 2.2.1.1 proponiamo di alzare l’obbligo

scolastico a 18 anni e di accorciare il tempo della scuola secondaria anch’esso a 18 anni; nel caso questa misura sia accolta, il sostegno alla formazione sarà valido dai 18 anni anziché dai 19).

Proposta 2.1.1.2

Sostegno all’autonomia abitativa: 200 euro al mese a tutti i giovani in affitto fuorisede. Erogare 200 € mensili a tutti i giovani che lavorano o

studiano in un Comune diverso da quello di residenza della famiglia e vivono in affitto. Anche in questo caso potranno essere spesi senza vinco-

li. Se la famiglia vive in una città metropolitana, il sostegno sarà erogato

anche nel caso in cui i giovani si spostino all’interno della stessa. Anche

in questo caso, ogni giovane potrà ricevere il sostegno per un massimo

di quattro anni. La ricerca empirica indica che questo tipo di sostegno incida significativamente sia sulla probabilità dei giovani di uscire dalle

famiglie, che sul tasso di natalità2.

Dato che la misura riguarda undici classi di età, dai 19 ai 29 anni, per i primi quattro anni i potenziali beneficiari saranno tutte le coorti attualmen-

te in queste fasce. In seguito, le coorti di giovani che usufruiranno della misura saranno in media quattro. Ipotizzando che sia i giovani in affitto che i giovani che usufruiscono del sostegno alla formazione siano il 30%, 2 Da “Fostering the Emanicipation of Young People: Evidence from a Spanish Rental Subsidy” di A.Aparicio-Fenoli e V.Oppedisano (2012)

65


tasso vicino al tasso odierno, e che i beneficiari usufruiscano del sostegno all’emancipazione il prima possibile, l’evoluzione del costo delle due misure è riassunto dalle tabelle successive.

Stimiamo che il sostegno alla formazione costi tra 1,6 e 1,7 miliardi di euro all’anno. Il sostegno all’emancipazione abitativa costerà tra i 4 ,6 e i 4,7

miliardi per i primi 4 anni, per poi stabilizzarsi intorno a 1,6 miliardi di euro annui. In questo modo, il sostegno all’emancipazione abitativa svolgerà anche la funzione di sostegno al reddito temporaneo post-pandemia per tutti i giovani under 30. Complessivamente, le due misure costeranno quindi circa 6,3 miliardi all’anno per 4 anni e circa 3,2 successivamen-

te. Queste stime sono calcolate sulla base di molte assunzioni difficili da verificare. Tuttavia, sono indicative dell’ordine di grandezza del costo del-

le misure.

Proposta 2.1.1.3

Sostegno all’autonomia economica: zero tasse fino ai 25 anni, taglio del 50% fino ai 29 anni. Defiscalizzazione totale dell’Irpef per gli under 25

(circa 1 milione di lavoratori) e defiscalizzazione parziale da 25 a 30 an-

ni (circa 1,8 milioni di lavoratori). La defiscalizzazione per le fasce di età

25-30 potrebbe essere costante (es. 50%) o decrescente con l’aumenta-

re dell’età (es. 80% se 25 anni, 60% se 26 anni, ecc.). Il costo totale stimato per questa misura è 5,4 miliardi.

Vedi tabelle a pagina 68

2.1.2 Una nuova formazione breve LA SITUAZIONE OGGI Il primo problema per i NEET è la scarsa formazione. I NEET non han-

no competenze spendibili sul mercato perché non hanno completato un ciclo di formazione, o perché sono stati formati male e con competenze che i datori di lavoro non richiedono. Proponiamo quindi di cre-

are nuovi corsi di formazione breve, strutturati sul modello organiz-

zativo degli ITS, con la collaborazione tra imprese, centri di ricerca/

università e sistema scolastico e formativo. I corsi saranno erogati da-

gli stessi ITS o da fondazioni specializzate. Questi corsi, a differenza dei corsi attualmente erogati dagli ITS, saranno mirati a fornire competen-

ze più pratiche e immediatamente spendibili sul mercato del lavoro e saranno costruiti per giovani senza particolari conoscenze pregresse3.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.1.2.1

Nuovi programmi di formazione breve, ancorati ai bisogni produttivi del territorio. Le competenze fornite dai corsi saranno stabilite sulla ba-

se dell’effettiva domanda territoriale da parte dei datori di lavoro. Propo3 Queste proposte non sono da confondere con quelle del sistema ITS, sviluppate più avanti nel capitolo. Le proposte per i corsi di formazione breve (proposte 2.2.2) sono dedicate a chi non è più nel sistema di istruzione.

66


niamo che gli istituti erogatori dei corsi di formazione professionalizzante siano fondazioni, come avviene per gli ITS (vedi paragrafi successivi).

Queste fondazioni erogatrici di corsi saranno finanziate per una quota

consistente, che può arrivare fino al 50%, dalle risorse del finanziamen-

to nazionale, sulla base delle criticità del territorio e delle performance dell’istituto (vedi proposta successiva). La valutazione degli istituti utiliz-

zata per la premialità sarà resa pubblica, in modo che i datori di lavoro possano valutare sia le competenze ottenute dai giovani, sia le qualità

dell’istituto nel quale le ha apprese. Le competenze ottenute dai partecipanti saranno certificate e registrate nella piattaforma nazionale di in-

contro fra domanda e offerta di lavoro (vedi proposta 2.1.3.1). Un corso di formazione breve dovrebbe durare 6 mesi. Vogliamo creare circa 50 mila posti per corsi di formazione breve. Stimiamo quindi che, con un

costo medio per studente pari a 2.5004 €, la misura costerà circa 125 milioni di euro all’anno.

Proposta 2.1.2.2

Premi ai formatori: incentivi a chi eroga corsi brevi virtuosi. I finanzia-

menti agli istituti che offrono corsi di formazione brevi saranno suddivisi come segue:

• una quota fissa, che dipende dal numero di giovani che completano un corso e dalla tipologia di corso completato;

• una quota variabile, che può arrivare al massimo al 50% della quota

fissa sulla base della performance dell’istituto e sulla criticità del ter-

ritorio in cui opera, calcolata tenendo conto del tasso di occupazione dei partecipanti al termine del corso, dopo 6 mesi e dopo 12 mesi, e della qualità dei placement.

• Sulla base del numero di ITS che oggi viene premiata, ovvero circa il

50%, stimiamo che la premialità per gli erogatori di corsi brevi virtuosi costerà all’incirca 31 milioni di euro al massimo.

Alcune competenze minime fondamentali per l’ingresso nel mondo del lavoro e molto richieste dalle imprese, come le competenze digitali e lin-

guistiche, spesso non sono adeguatamente insegnate a scuola e nemmeno all’università. Queste competenze potrebbero essere facilmente insegnate attraverso corsi online, con costi di organizzazione e gestione molto limitati e benefici potenzialmente molto alti per chi li frequenta.

Proposta 2.1.2.3

Corsi gratuiti di formazione di base per competenze linguistiche e digitali. Realizzare, all’interno della piattaforma EduOpen5, dei percorsi di

formazione delle competenze digitali e linguistiche, con vari livelli di difficoltà in relazione alle competenze dello studente. Questi corsi saranno

gratuiti e accessibili in via sperimentale a tutti i giovani dai 18 ai 29 anni. Saranno in seguito estesi a tutti in caso di buoni risultati. Il compito di

realizzare questi corsi sarà assegnato al Ministero dell’Istruzione. La re4 Il costo a studente per un corso di ITS è pari a 15.000 € per il triennio. Risulta che un corso breve erogato da un ITS si aggiri attorno a 2.500 €. 5 EduOpen è un progetto finanziato dal Ministero per l’erogazione di corsi definiti Mooc (Massive Open Online Courses) da parte di un network di atenei italiani e di un insieme di partner selezionati. La piattaforma è già attiva, online e gratuita.

67


Stima di costo per il sostegno alla formazione (giovani 19-23) PERSONE PER CLASSE DI ETÀ 9

554.146

10

562.764

11

569.337

12

568.025

13

569.063

14

565.871

15

572.210

16

568.006

17

565.389

2022

2023

407.080.080

411.991.200

411.991.200

408.964.320

408.964.320

408.964.320

407.080.080

407.080.080

407.080.080

413.789.040

574.707

413.789.040

413.789.040

19

590.744

425.335.680

425.335.680

20

587.458

422.969.760

21

593.017

22

590.999

23

592.782 591.632

25

598.620

26

610.326

27

636.742 1.669.174.560

Totale

2025

407.427.120

18

24

2024

1.655.169.120

1.641.824.640

1.635.462.720

Fonte: Rielaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT

Stima di costo per il sostegno all’emancipazione abitativa (giovani 19-29) PERSONE PER CLASSE DI ETÀ 9

554.146

10

562.764

11

569.337

12

568.025

13

569.063

14

565.871

15

572.210

16

568.006

17

565.389

18

574.707

19 20 21 22 23

2022

2023

2024

2025

407.427.120 411.991.200

411.991.200

408.964.320

408.964.320

408.964.320

407.080.080

407.080.080

407.080.080

407.080.080

413.789.040

413.789.040

413.789.040

413.789.040

590.744

425.335.680

425.335.680

425.335.680

425.335.680

587.458

422.969.760

422.969.760

422.969.760

422.969.760

593.017

426.972.240

426.972.240

426.972.240

426.972.240

590.999

425.519.280

425.519.280

425.519.280

425.519.280

592.782

426.803.040

426.803.040

426.803.040

426.803.040

24

591.632

425.975.040

425.975.040

425.975.040

425.975.040

25

598.620

431.006.400

431.006.400

431.006.400

439.434.720

26

610.326

439.434.720

27

636.742

458.454.240

Totale

4.703.339.520

4.653.849.600

4.626.406.080

4.602.826.800

Totale Complessivo

6.372.514.080

6.309.018.720

6.268.230.720

6.238.289.520

Fonte: Rielaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT

68


2026

2027

2028

2029

2030

405.190.080

405.190.080

398.985.120 409.922.640

409.922.640

409.922.640

408.978.000

408.978.000

408.978.000

408.978.000

409.725.360

409.725.360

409.725.360

409.725.360

407.427.120

407.427.120

407.427.120

411.991.200

411.991.200

408.964.320

1.638.108.000

1.638.121.680

1.636.053.120

1.633.816.080

2026

2027

2028

2029

1.623.075.840

2030 398.985.120

405.190.080

405.190.080

409.922.640

409.922.640

409.922.640

408.978.000

408.978.000

408.978.000

408.978.000

409.725.360

409.725.360

409.725.360

409.725.360

407.427.120

407.427.120

407.427.120

411.991.200

411.991.200

408.964.320

1.638.108.000

1.638.121.680

1.636.053.120

1.633.816.080

1.623.075.840

3.276.216.000

3.276.243.360

3.272.106.240

3.267.632.160

3.246.151.680

69


alizzazione dovrà essere fatta tenendo presente cosa esiste nel setto-

re privato (vedi app) e, se presente, attivando collaborazioni coi miglio-

ri erogatori per garantire la più alta qualità possibile. Al termine di ogni corso è previsto un test online organizzato dal Ministero e supervisionato

dagli insegnanti che si renderanno disponibili. Ipotizzando 200 mila partecipazioni ai corsi online, esami della durata di 2 ore e una retribuzione dei controllori di 50 € per esame6, stimiamo una spesa di circa 300 mi-

la euro all’anno per la gestione, ai quali aggiungiamo 400 mila euro per lo sviluppo della piattaforma, basati su costi standard di sviluppo delle app. In caso di superamento dell’esame, verrà rilasciato un certificato

delle competenze acquisite da parte del MIUR. Gli studenti che non pos-

siedono i dispositivi o la connessione per seguire i corsi o sostenere l’esame potranno farlo presso i centri per l’impiego, che saranno forniti de-

gli strumenti digitali necessari (vedi la proposta sulla digitalizzazione dei centri per l’impiego nel capitolo sul lavoro).

2.1.3 Far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro giovanile LA SITUAZIONE OGGI La rete di conoscenze è ancora oggi il canale largamente più utilizzato per trovare lavoro: nel 2017, l’87% delle persone che hanno trovato lavo-

ro in Italia lo hanno fatto con l’intermediazione di parenti, amici o conoscenti7. L’utilizzo del canale informale per le assunzioni crea disparità tra

chi ha un network di conoscenze e chi ne è privo, non permettendo una competizione basata sul merito e quindi in particolar modo i giovani alla prima esperienza lavorativa.

Inoltre, l’inefficienza di un canale formale di incontro tra doman-

da e offerta di lavoro ostacola la diffusione a livello nazionale delle in-

formazioni su posizioni lavorative disponibili, disperdendo potenziali competenze. Per questo servirebbe, e sarebbe anche auspicabile nel

ventunesimo secolo, l’utilizzo delle tecnologie disponibili per far incon-

trare chi ha bisogno di lavoro con chi ha bisogno di lavoratori, ovvero una piattaforma. Il problema è che ci proviamo dal 1992 senza succes-

so. In quell’anno venne proposto il SIL8 (Sistema Informativo Lavoro), una

piattaforma informatica gestita dal Ministero del Lavoro con il compito di monitorare il mercato del lavoro, favorire l’incontro domanda-of-

ferta su tutto il territorio nazionale ed erogare servizi di accompagnamento all’impiego. Il Portale Unico del Lavoro proposto dal Jobs Act9

del 2014 non è molto differente, così come l’attuale MyAnpal, e altri tentativi passati come ClicLavoro. Da trent’anni quindi in Italia proviamo a

dotarci di una piattaforma del genere, ma i progetti falliscono ripetutamente, costando nel frattempo centinaia di milioni di euro10. 6 Costo ipotizzato di 25 € l’ora, vicino allo stipendio orario di un insegnante di liceo. 7 Dal Rapporto ANPAL “Politiche attive del lavoro in Italia” (2019)

8 D. Lgs. 469/97

9 Decreto 150/2015

10 Fonte Corriere della Sera

70


Se al principio il problema era puramente tecnico e manageriale, oggi il problema è di coordinamento. Fallendo nei primi tentativi, lo Stato è arrivato in ritardo: regioni e privati si sono mossi e hanno creato le loro piat-

taforme. Questo è un enorme problema, per due motivi. Primo, la frammentazione è antitetica rispetto al concetto stesso di economia digitale.

Più dati ci sono meglio è, per questo creiamo piattaforme. Con tre piattaforme che competono, i vantaggi di avere una piattaforma si riduco-

no notevolmente. Secondo, integrare le molteplici piattaforme esistenti è un’impresa a questo punto quasi del tutto impossibile.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.1.3.1

Una piattaforma efficace per il lavoro giovanile: sfruttare le migliori esperienze. Invece che creare un’altra piattaforma, proponiamo che il

Team per la Trasformazione Digitale (ex Team Piacentini), assieme a un team di ricercatori economici e statistici proveniente dalla Banca d’Ita-

lia, esamini tutte le piattaforme esistenti, ne valuti i meriti tecnici e la bon-

tà del matching, nonché, se possibile, gli effetti economici, e alla fine di questo assessment scelga la migliore, sia essa pubblica o privata. Una

volta selezionata la piattaforma, lo Stato la estenderà al territorio nazio-

nale attraverso un accordo con lo Stato e poi tra lo Stato e le Regioni,

qualora questa sia privata; con un accordo tra Stato e Regioni, se pubblica. In questa fase, particolare attenzione sarà dedicata a massimizzare

la facilità di utilizzo della piattaforma per tutti gli utenti. Per raggiungere questo obiettivo, verranno consultati esperti di human computer interaction. La fase di transizione sarà seguita da un Commissario

Straordinario che abbia il solo compito di ampliare la piattaforma entro 2 anni. Per facilitare il percorso sarà creato un Fondo di incentivazione per le Regioni e i privati di 300 milioni di euro.

IL JOBNET DANESE Jobnet è una piattaforma online per datori di lavoro,

piattaforma. Se i datori di lavoro non trovano

persone in cerca di lavoro e assistenti per la ricerca

un candidato con le competenze richieste, possono

del lavoro. Jobnet riceve milioni di ricerche ogni mese,

creare un modello del CV richiesto e riceveranno

dove si possono trovare offerte di lavoro e informazioni

una notifica quando un profilo corrispondente

su datori di lavoro, opportunità di formazione e modalità

si iscriverà sulla piattaforma. La profilazione inizia

di assunzione. La piattaforma aiuta in modo particolare

con il completamento di un questionario da parte

i centri per l’impiego perché rende disponibili informazioni

dei disoccupati, che servirà a fornire informazioni

che ne facilitano il lavoro. Grazie a Jobnet, i datori

ai Centri Per l’Impiego (CPI) sul percorso più adatto

di lavoro possono diffondere velocemente e facilmente

per il disoccupato. La profilazione servirà inoltre

offerte di lavoro e cercare candidati con le competenze

a supportare le attività di ricerca sull’efficacia delle

necessarie tra gli oltre 150 mila curricula caricati sulla

politiche di contrasto alla disoccupazione.

71


IL SISTEMA INFORMATIVO SUL LAVORO DELLATOSCANA La regione Toscana ha indirizzato la digitalizzazione

riguarda informazione, formazione, consulenza

nell’ambito dei servizi al lavoro su tre direttrici.

specialistica sui servizi dei CPI per le imprese

La prima è la creazione di strumenti di supporto

(Contact Center). La terza riguarda soluzioni

dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro (sistema

informatiche per i cittadini per un miglioramento

IDOLWEB), che consente al cittadino di ricercare

dell’accesso alle opportunità di orientamento,

un’offerta di lavoro, di ricercare, in autonomia

formazione e lavoro (ad esempio tramite i Web learning

o con l’ausilio dei CPI, nella banca dati regionale

points e il progetto TRIO).

curricula attinenti al loro fabbisogno. La seconda

Proposta 2.1.3.2

Bonus per le imprese che attivano contratti tramite la piattaforma per il canale formale di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per ogni

contratto di almeno 6 mesi concluso utilizzando la piattaforma, verrà

fornito un contributo a fondo perduto di 1000 € al datore di lavoro. In via sperimentale, la proposta si riferirà inizialmente soltanto alle assunzioni degli under 30. Se la piattaforma funzionerà efficientemente e si riter-

rà opportuno incentivarne la diffusione anche tra gli over 30, il beneficio sarà esteso a tutti i contratti di lavoro. Il contributo sarà ovviamente con-

cesso solo nel momento in cui la piattaforma sarà funzionante e completamente operativa. Il beneficio dovrà inoltre essere restituito se il rap-

porto lavorativo si dovesse estinguere prima di 6 mesi dall’attivazione.

Stimiamo che i contratti stipulati attraverso un canale formale da lavoratori under 30 siano circa 400 mila l’anno. Il costo massimo della misura sarà circa 400 milioni di euro annui. Stimando che il 25% di questi con-

tratti verranno chiusi attraverso la piattaforma e soddisferanno i requisiti temporali, la misura dovrebbe costare 100 milioni di euro all’anno. Preve-

diamo che questa misura sia temporanea e non più necessaria quando l’utilizzo della piattaforma si sarà diffuso.

2.1.4 Riforma del tirocinio LA SITUAZIONE OGGI I tirocini sono programmi disegnati per lavoratori senza esperienza la-

vorativa, ovvero per i giovani che frequentano un corso di formazione o

che hanno appena terminato gli studi. Questi lavoratori necessitano in genere di un inserimento più graduale nel mondo del lavoro, attraverso

un periodo misto di lavoro e formazione, grazie al quale possono consolidare le competenze apprese.

Il tirocinio non è un vero e proprio contratto di lavoro: non prevede il ver-

samento di contributi ed è solitamente pagato poco. Il corrispettivo mi-

nimo per un tirocinante è di 300 € mensili. Sono tuttavia frequenti i casi in cui il tirocinio viene utilizzato per assumere personale con esperienza sottopagato, piuttosto che lavoratori che hanno appena terminato il percorso di formazione. 72


Attualmente, ogni Regione ha una normativa diversa in materia di tirocini. Questo crea una situazione poco chiara soprattutto per le imprese

che operano in più Regioni. Inoltre, la normativa in alcune Regioni è poco efficace e si presta maggiormente a situazioni di utilizzo distorto del

tirocinio, in cui viene scelto per il suo basso costo, e gli obblighi formativi non vengono rispettati.

TIROCINI IN EMILIA-ROMAGNA La regione Emilia-Romagna disciplina diverse tipologie

che il tirocinio presuppone, viene redatto per ogni

di tirocinio. In particolare, differenzia tra:

tirocinante un progetto formativo individuale che

• tirocinio formativo e di orientamento, rivolto

ne stabilisce gli obiettivi di apprendimento. L’Agenzia

ad accompagnare i giovani che hanno conseguito

regionale per il lavoro dell’Emilia-Romagna deve

un titolo di studio da non più di 12 mesi nella

approvare il progetto e in seguito vigilare sulla sua

transizione tra il percorso formativo e il lavoro.

applicazione in stretta connessione con la Direzione

Non può durare più di 6 mesi.

territoriale del Ministero del Lavoro. Il tirocinante

• tirocinio di inserimento/reinserimento al lavoro,

ha diritto a un’indennità di partecipazione di almeno

rivolto a inoccupati, disoccupati, persone

450€ al mese e il numero di tirocinanti è limitato sulla

in mobilità con durata massima di 1 anno.

base della dimensione del personale dell’impresa. È inoltre previsto un modello di valutazione dei tirocini

Per evitare che il tirocinante venga utilizzato come

adottato a livello regionale che consente di monitorare

lavoratore sottopagato e non riceva la formazione

i risultati della politica nel corso degli anni.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.1.4.1

Armonizzare la normativa sui tirocini a livello nazionale. Proponiamo di ri-

formare la normativa nazionale sul tirocinio e uniformarla a livello nazionale, attraverso un accordo tra Stato e Regioni. Per raggiungere questo

obiettivo, prendiamo spunto dalle regioni la cui normativa si è dimostrata più efficiente, come l’Emilia-Romagna e la Lombardia. Vogliamo che il ti-

rocinio sia uno strumento temporaneo di consolidamento delle competenze e di integrazione di un percorso di formazione. Per questo, limitiamo il periodo di tirocinio a 6 mesi, rispetto alla normativa attuale che prevede

la durata di un anno, e non sarà rinnovabile, sarà inoltre limitato ai giova-

ni under 30 che hanno completato un percorso di formazione da meno

di 2 anni. Per l’inserimento lavorativo dei disoccupati di lunga durata predisporremo un altro strumento normativo (vedi la proposta sul contratto di reinserimento nel capitolo Lavoro). La nuova normativa nazionale dovrà prevedere maggiori tutele per i tirocinanti e l’indennità minima sarà alzata a €400 mensili rispetto agli attuali €300.

73


2.1.5 Incentivare le assunzioni per uscire dalla crisi LA SITUAZIONE OGGI Il Governo ha inserito nella Legge di bilancio 2021 una norma che prevede sgravi contributivi alle imprese per le assunzioni a tempo inde-

terminato dei giovani. Questa norma aiuta sicuramente alcuni giovani

a inserirsi nel mondo del lavoro, tuttavia, la maggior parte dei giovani necessita di ulteriori esperienze e competenze prima di poter compe-

tere per un contratto a lungo termine. I giovani che vengono assunti a tempo indeterminato sono quindi quelli più pronti ad inserirsi nel mon-

do lavorativo. Di conseguenza, la misura del Governo non aiuta chi ne avrebbe più bisogno. Per questo vogliamo estendere gli aiuti alle as-

sunzioni ai tirocini e agli apprendistati. Questi contratti sono i più indi-

cati per il primo inserimento nel mondo del lavoro perché mirano anche alla formazione del giovane, che quindi potrà beneficiare anche a medio e lungo termine delle competenze acquisite.

La nostra proposta prende spunto dai modello australiano e inglese. Il

beneficio verrà erogato tramite un contributo a fondo perduto mensi-

le pari o superiore a metà dello stipendio del tirocinante o dell’apprendista, e sarà crescente rispetto al livello di criticità regionale, fino ad un

massimo dell’80%. Oltre a favorire la creazione di nuovi contratti, questo incentivo favorirà l’emersione del lavoro nero tra i giovani, perché i datori di lavoro dovranno formalizzare le posizioni per ottenere il beneficio che, così strutturato, incentiverà anche l’aumento degli stipen-

di dei giovani, poiché il costo per le imprese di aumentare il compenso

di un tirocinante o di un apprendista sarà abbattuto di un ammontare compreso tra il 50% e l’80%. L’incremento dei compensi dei giovani po-

trebbe avere ulteriori ricadute positive sull’emancipazione dalle famiglie, la mobilità territoriale dei giovani e la natalità. Queste misure saranno temporanee, in vigore per 3 anni.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.1.5.1

Contributo statale fino all’80% per i nuovi tirocini. Il beneficio ai datori di lavoro sarà costituito da una quota fissa pari a 50% dell’indennità del ti-

rocinante e da una parte variabile a livello regionale, crescente rispetto

alla quota di NEET tra 18 e 29 anni presenti sul territorio regionale, fino ad

un massimo dell’80%. In ogni caso, il beneficio non potrà essere superiore a 8.000 € annui. Parte del beneficio si estinguerà quindi con il progres-

sivo abbassamento del tasso di NEET tra 18 e 29 anni a livello regionale. Stimando circa 335 mila attivazioni di tirocini extracurricolari all’anno, considerando la distribuzione regionale delle attivazioni e la durata dei tirocini non superiore a 6 mesi (proposta 2.1.4.1), stimiamo che la misura costerà circa 742 milioni di euro all’anno.

74


Proposta 2.1.5.2

Contributo statale fino all’80% per i nuovi apprendistati. Il beneficio ai

datori di lavoro sarà costituito da una quota fissa pari a 50% dello stipendio dell’apprendista e da una parte variabile a livello regionale, cre-

scente rispetto alla quota di NEET tra 18 e 29 anni presenti sul territorio re-

gionale, fino ad un massimo dell’80%. In ogni caso, il beneficio non potrà

essere superiore a 8.000 € annui. Parte del beneficio si estinguerà quindi

con il progressivo abbassamento del tasso di NEET tra 18 e 29 anni a livel-

lo regionale. Stimando circa 380 mila attivazioni di apprendistati all’anno e considerando la distribuzione regionale delle attivazioni, stimiamo che la misura costerà circa 2,3 miliardi di euro all’anno.

Proposta 2.1.5.3

Bonus per chi trasforma il tirocinio/apprendistato in contratto di lavoro. Per ognuno dei contratti di tirocinio o apprendistato trasformati in con-

tratti di lavoro a tempo determinato lunghi almeno un anno o a tempo indeterminato, lo Stato offre 2.000 mila euro a fondo perduto. Le azien-

de sono tenute a restituirlo se le assunzioni vengono terminate nell’arco di un anno dalla data di assunzione. Stimando circa 380 mila attivazio-

ni di apprendistati all’anno e 355 mila di tirocini extracurricolari e la per-

centuale di trasformazioni pari a 70% per gli apprendistati e 50% per i tirocini, valutiamo che la misura costerà circa 889 milioni di euro all’anno.

Il costo complessivo di queste tre misure è quindi stimato in circa 3,9 mi-

liardi di euro annui per un periodo di 3 anni. Pensiamo che questo sia uno sforzo minimo richiesto per aiutare i giovani, duramente colpiti dalla pandemia.

Vedere tabella alla pagina successiva

IL CASO AUSTRALIA INCENTIVI PANDEMICI:

che incrementano il numero dei lavoratori.

incentivare la creazione di nuovi posti per apprendisti

2020. Le imprese che dimostrano di aver aumentato

attraverso il rimborso all’impresa del 50% del salario

il numero complessivo degli occupati ricevono

dell’apprendista fino a $7000 per trimestre,

un credito di $200 a settimana se il neoassunto

per un massimo di 100 mila apprendisti.

ha tra i 16 e i 29 anni e $100 se ha tra i 30 e i 35 anni.

Incrementare i sussidi per l’apprendistato (Australia):

Credito per le assunzioni (Australia): Accelerare

Il credito è disponibile per un anno a partire da ottobre

L’ammontare massimo del credito è di $10400 per posizione lavorativa aggiuntiva. Il lavoratore

la crescita dell’occupazione tra gli under 35 attraverso

deve lavorare almeno 20 ore a settimana.

un credito per le assunzioni riservato alle imprese

Il costo stimato è di $4 miliardi in tre anni.

75


BONUS TIROCINI IN GERMANIA Bonus per evitare riduzione/cancellazione tirocini.

di formazione appena concluso, che viene erogato

Le PMI che non riducono il numero di posti di formazione

dopo la fine del periodo di prova. Le aziende che

nel 2020 rispetto ai tre anni precedenti riceveranno

addirittura aumentano l’offerta ricevono 3.000 €

un premio una tantum di 2.000 € per ogni contratto

per i contratti di formazione aggiuntivi.

UK KICKSTART SCHEME Il Kickstart Scheme del Regno unito prevede fondi per

un periodo massimo di 6 mesi. La misura vale per tutti

creare nuovi posti di lavoro per i giovani dai 16 ai 24

contatti che iniziano prima di dicembre 2021. La misura

anni. Le imprese possono chiedere fondi che coprono

prevede uno stanziamento di £2 miliardi, che dovrebbe

il 100% del salario minimo per 25 ore a settimana per

coprire più di 250 mila posizioni lavorative.

Incentivi fiscali per contratti di tirocinio e apprendistato REGIONE Piemonte Valle d'Aosta

Apprendistati (dati 2016)

Tirocini (dati 2019)

Percentuale NEET 18-29

Percentuale beneficio

Sgravio Apprendistati

Sgravio Tirocini

Sgravio Trasformazioni

Sgravio Totale

33.234

33.415

19,1%

52%

€ 186.642.144

€ 62.552.880

€ 79.942.600

€ 329.137.624

1.406

466

17,0%

50%

€ 7.592.400

€ 838.800

€ 2.434.400

€ 10.865.600

68.045

74.137

17,0%

50%

€ 367.443.000

€ 133.446.600

€ 169.400.000

€ 670.289.600

Bolzano

4.828

2.885

11,2%

50%

€ 26.071.200

€ 5.193.000

€ 9.644.200

€ 40.908.400

Trento

4.848

2.227

14,9%

50%

€ 26.179.200

€ 4.008.600

€ 9.014.200

€ 39.202.000

Veneto

49.697

38.441

14,5%

50%

€ 268.363.800

€ 69.193.800

€ 108.016.800

€ 445.574.400

Friuli

7.723

4.443

16,2%

50%

€ 41.704.200

€ 7.997.400

€ 15.255.200

€ 64.956.800

Liguria

12.106

11.160

20,9%

54%

€ 70.602.192

€ 21.695.040

€ 28.108.400

€ 120.405.632

Emilia-Romagna

41.364

30.551

17,0%

50%

€ 223.365.600

€ 54.991.800

€ 88.460.600

€ 366.818.000

Toscana

32.810

15.342

18,6%

51%

€ 180.717.480

€ 28.167.912

€ 61.276.000

€ 270.161.392

Lombardia

Umbria

8.214

5.658

17,8%

50%

€ 44.355.600

€ 10.184.400

€ 17.157.600

€ 71.697.600

Marche

14.729

10.096

17,7%

50%

€ 79.536.600

€ 18.172.800

€ 30.716.600

€ 128.426.000

Lazio

38.598

34.480

24,2%

59%

€ 245.946.456

€ 73.235.520

€ 88.517.200

€ 407.699.176

5.600

6.810

26,0%

62%

€ 37.497.600

€ 15.199.920

€ 14.650.000

€ 67.347.520

Abruzzo Molise

668

1.543

29,4%

67%

€ 4.833.648

€ 3.721.716

€ 2.478.200

€ 11.033.564

Campania

16.972

23.672

39,9%

80%

€ 146.638.080

€ 68.175.360

€ 47.432.800

€ 262.246.240

Puglia

13.722

22.685

35,2%

76%

€ 112.630.176

€ 62.066.160

€ 41.895.800

€ 216.592.136

Basilicata

1.764

3.274

30,8%

69%

€ 13.145.328

€ 8.132.616

€ 5.743.600

€ 27.021.544

Calabria

5.278

12.437

41,1%

80%

€ 45.601.920

€ 35.818.560

€ 19.826.200

€ 101.246.680

Sicilia

16.437

13.626

44,6%

80%

€ 142.015.680

€ 39.242.880

€ 36.637.800

€ 217.896.360

Sardegna

3.494

7.526

33,1%

73%

€ 27.546.696

€ 19.778.328

€ 12.417.600

€ 59.742.624

TOTALE

381.537

354.874

26,0%

€ 2.298.429.000

€ 741.814.092

€ 889.025.800

€ 3.929.268.892

76


2.1.6 Potenziare Servizio Civile LA SITUAZIONE OGGI Il Servizio civile si realizza attraverso la partecipazione a progetti predisposti e gestiti da varie organizzazioni, sia pubbliche sia private, molte non-profit, iscritte a un apposito albo, ed è rivolto a giovani dai 18 ai 28 anni. Il Servizio civile può essere importante per avvicinare i giovani al mon-

do del lavoro, fare esperienza pratica in vari contesti lavorativi e incrementare il proprio bagaglio di esperienze e competenze. Il giovane che

partecipa al servizio civile riceve inoltre un compenso di 600 € mensili, che possono garantire una minima autonomia dalle famiglie.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.1.6.1.

80.000 nuovi posti per il Servizio Civile. Proponiamo di estendere il servi-

zio civile per coprire le domande che attualmente restano insoddisfatte,

stimate in circa 80 mila annue. Il costo annuo medio stimato per giovane è di circa 5500 €. I costi per soddisfare la domanda attuale dovrebbero quindi essere circa 440 milioni di euro1. Si prevede inoltre una cam-

pagna di informazione e promozione con l’obiettivo di incrementare le domanda in futuro.

1 Questa stima di costo è tratta dalla scheda 102 Servizio Civile del Piano Colao

77


2.2 Prevenire i NEET di domani Se le misure precedenti mirano a far ripartire i NEET di oggi, le misure che proponiamo di seguito mirano a limitare il numero di NEET futuri.

Misure emergenziali come quelle precedenti servono solo a ridurre lo stock di NEET, ma vanno accompagnate da misure che ne riducano

contemporaneamente anche il flow. Non solo, queste misure sono essenziali per riattivare l’ascensore sociale, garantendo a tutti pari accesso alle opportunità alle quali hanno diritto.

Per farlo vogliamo diminuire la dispersione scolastica, aumentare le competenze e avvicinarle alle reali esigenze del mercato del lavoro. Proponiamo:

1 una riforma del ciclo scolastico che rafforzi la didattica e le competenze

di base, soprattutto alle medie;

2 una riforma della formazione professionale che avvicini i giovani al

mondo del lavoro in maniera efficace, prendendo a modello gli ITS;

3 una riforma del calendario scolastico, ed estendere tempo lungo e

mense a tutte le elementari e medie;

4 un consolidamento della scuola dell’obbligo inserendo un’equipe

dedita al supporto psicologico, linguistico e di orientamento in tutte le

scuole, e innalzando la scuola dell’obbligo a 18 anni;

5 un piano per le aree di crisi educativa complessa che aiuti ragazze e

ragazzi in luoghi e condizioni di particolare svantaggio;

6 l’aumento dello stipendio dei docenti, portandolo in linea con gli altri

Paesi europei.

In questo documento non sono incluse le proposte per l’Università alle quali è dedicato un capitolo a parte insieme alla Ricerca. Abbiamo comunque incluso le proposte per la formazione professionale terziaria, ovvero le proposte per il potenziamento del sistema ITS, perché le riteniamo particolarmente rilevanti rispetto al fenomeno dei NEET non laureati.

78


Prevenire i NEET di domani: stima dei costi delle proposte PROPOSTA #

DESCRIZIONE

SPESE CORRENTI INVESTIMENTI

TEMPORANEE

PERMANENTI

TOTALE

690

690

(1.380)

(1.380)

Riordino dei cicli – scuola primaria e secondaria 2.2.1.1

Portare la scuola dell’obbligo a 18 anni

2.2.1.2

Concludere la scuola a 18 anni

2.2.1.3

Addolcire la transizione tra le elementari e le medie

--

2.2.1.4

Sostituire la bocciatura con corsi di recupero alle elementari e medie

--

Riforma della formazione professionale secondaria e terziaria 2.2.2.1

Formazione professionale secondaria ancorata ai bisogni del territ

2.2.2.2

Aumentare il numero di diplomati ITSS

2.2.2.3

Potenziamento Fondo per ITS virtuosi

2.2.2.4

Formazione degli operatori ITS

39

2.2.2.5

Dotazioni logistiche ITS

41

2.2.2.6

Incentivi a ITS fuori sede per mobilitare l’offerta di lavoro

-811

245

1.056

65

65 39 41

60

60

Estensione del calendario scolastico 2.2.3.1

--

Ripartire meglio le vacanze durante l’anno

Tempo lungo e mense 2.2.4.1

Istituire il tempo lungo nelle scuole primarie

2.2.4.2

Fondo Scuole Aperte: contrasto alla dispersione scolastica

2.2.4.3

La mensa in tutte le scuole d’Italia

2.2.4.4

La mensa come diritto per ogni bambino

1.989

1.989

77

77 --

3.647

3.647

Potenziare il supporto scolastico 2.2.5.1

Mediatori culturali, in tutte le scuole

400

400

2.2.5.2

Supporto psicologico, in tutte le scuole

600

600

2.2.5.3

Servizio di orientamento nelle scuole

2.2.5.4

La formazione dei Career Advisor

155

155

-

Combattere la dispersione: le aree di crisi sociale complessa 2.2.6.1

Dove sono le aree di crisi complessa? Idee per una mappatura

--

2.2.6.2

I migliori insegnanti, dove ce n’è più bisogno

--

2.2.6.3

Più insegnanti nelle aree di crisi complessa

--

2.2.6.4

Piani Studio innovativi e sperimentali per le aree di crisi complessa

--

2.2.6.5

Più dialogo con le famiglie

--

Valorizzare i docenti 3.571

3,571

2.2.7.1

Portare gli stipendi a livelli europei, garantire la qualità dell’insegnamento

2.2.7.2

Incentivo agli insegnanti nelle aree di crisi complessa

-

2.2.7.3

La formazione dei nuovi insegnanti

-

2.2.7.4

Più tirocini per i nuovi insegnanti

-

2.2.7.5

Tempi certi per i concorsi

TOTALE PROPOSTE

891

--

10.119

11.011

Nota: i costi stimati del documento sono da intendersi come indicativi. Sono stimati usando dati pubblici e fonti online. Inoltre abbiamo stimato le spese solo delle principali misure, prevedendo che le misure senza stima corrispondano a spese minori.

79


2.2.1 Riordino dei cicli - scuola primaria e secondaria LA SITUAZIONE OGGI

In Italia il ciclo scolastico funziona bene fi no alla fi ne della scuola elementare. Dopodiché le ragazze e i ragazzi italiani soffrono un ciclo di for-

mazione secondaria, inferiore e superiore, di minor qualità rispetto agli

altri Paesi sviluppati. Come mostra il grafi co, l’istruzione secondaria ita-

liana è in media la peggiore tra i paesi sviluppati e soffre anche del terzo più alto gap tra istruzione secondaria e istruzione secondaria superiore. La mancanza di formazione adeguata è uno dei principali fattori che genera i NEET, da qui la necessità di incidere sulla scuola per eliminare alla radice le cause del fenomeno.

In Italia risultati peggiori nella scuola secondaria inferiore Competenze degli studenti per ciclo di istruzione e differenza risultati tra cicli 600 500 400 300 200

Scuola secondaria inferiore (ISCED2)

Italia

IBelgio

Francia

Canada

Germania

Australia

Corea

0

Estonia

100

Scuola secondaria superiore (ISCED3)

Fonte: PISA OCSE Nota: ISCED 0: istruzione pre-primaria; ISCED 1: istruzione primaria; ISCED 2: istruzione secondaria; ISCED 3: istruzione secondaria superiore; ISCED 4: istruzione post-secondaria non-terziaria; ISCED 5: primo stadio di istruzione terziaria; ISCED 6: secondo stadio di istruzione terziaria.

Vogliamo concentrarci su due riforme chiave. Da un lato, riordinando i cicli di studio, rafforzando tutto quel percorso scolastico che inizia con le medie e finisce con il diploma, ed estendendo il periodo della scuo-

la dell’obbligo fino ai 18 anni. Dall’altro, riformando la formazione professionale (proposte 2.2.2), che molti dati ci dicono non funzionare.

Vogliamo estendere il primo ciclo di studi (che per noi comprende elementari e medie) di un anno, rimandando così la scelta professiona-

lizzante di un intero anno scolastico. Al contempo, vogliamo rafforzare la didattica nelle competenze essenziali, portando chi esce dal nuo-

vo ciclo primario (elementari più medie) ad avere la stessa preparazio-

ne acquisita al termine del biennio dei licei. In più, vogliamo addolcire la transizione tra elementari e medie inserendo laboratori di didattica dif-

fusa. Infi ne, vogliamo rivedere il piano di studi per eliminare le ripetizio-

ni tra i cicli di studi e creare un unico piano di studi per l’intero nuovo ciclo primario.

80


Perché rimandare la scelta professionalizzante di un anno, rafforzan-

do il ciclo di studi precedente? La scelta rispetto a cosa fare nella propria vita è estremamente complessa; scegliere la strada sbagliata può

portare alla demotivazione e all’abbandono scolastico. Non solo, questa scelta sarà sempre più complessa. Se è vero che l’automazione ci

costringerà a cambiare lavoro più frequentemente, i ragazzi e le ra-

gazze del futuro dovranno acquisire competenze nel corso della loro vita. In questo contesto è necessario che la scuola rafforzi ancora di più le competenze di base trasferibili. Inoltre, aumentare l’obbligo, ritar-

dare la scelta e innalzare la qualità può efficacemente contrastare la dispersione scolastica e aumentare la mobilità sociale.

• Dispersione scolastica: allungare il periodo della scuola dell’obbligo

a 18 anni è una misura che contrasta radicalmente la dispersione

scolastica, perché in questo modo tutti gli studenti saranno obbligati a frequentare la scuola secondaria di secondo grado fino all’otteni-

mento del diploma o di una qualifica abilitante. Inoltre, ritardare la

scelta professionalizzante, eliminare le bocciature e intervenire nelle aree di crisi complessa con misure ad hoc aiuterebbe i giovani a

ritrovare quel valore nella scuola, la perdita del quale porta spesso all’abbandono scolastico.

• Mobilità sociale: la scelta di specializzazione così precoce è spesso in-

fluenzata dal parere delle famiglie. I genitori tendono a consigliare ai fi-

gli percorsi simili ai propri, come si può notare dall’elevata correlazione tra l’istruzione dei genitori e dei figli1. Ritardare la scelta di un anno può

incentivare i giovani a seguire percorsi diversi rispetto a quelli dei propri genitori. L’abbandono scolastico al termine della scuola dell’obbligo è più frequente tra gli studenti delle famiglie più svantaggiate: allungare

il termine della scuola dell’obbligo incentiverebbe anche questi stu-

denti ad ottenere il diploma della scuola secondaria di secondo grado, con ricadute positive sulle loro prospettive lavorative e reddituali.

I diagrammi a seguire mostrano come in molti sistemi scolastici europei

il passaggio tra scuola secondaria di primo e di secondo grado avvenga più tardi.

1 Banca d’Italia, Istruzione, reddito e ricchezza: la persistenza tra generazioni in Italia, Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio, 2018.

81


I sistemi scolastici in Francia, Germania e Italia a confronto FRANCIA ETÀ DEGLI STUDENTI 0

1

2

3

4

DURATA DEL PROGRAMMA 5

École maternelle

6

7

8

9

10

École élémentaire

11

12

13

14

15

Collége

16

17

18

19

20

21

22

0

Lycée général et technologique

1

2

3

4

5

6

7

8

Universités

Lycée professionnel

CPGE

Centre de formation d’apprentis

Section de Techniciens Supérieurs (STS)

Ensignement pré-universitaire (Diplôme d’Accès auz Études Universitaries; Diplôme de capacité en driot)

Grandes Ecoles

Istituts Universitarie de Technologie (IUT)

Nota: nelle CPGE (Classes préparatoires aux Grand Écoles), è previsto un anno aggiuntivo (cfr. Legenda) per studenti universitari o per quelli degli IUT o delle STS, che intendono accedere alle Grand Écoles tramite una “ammissione parallela” (i.e. gli studenti vengono ammessi alle Grand Écoles sulla base di una registrazione e dopo aver sostenuto un concorso e/o un colloquio, senza dover passare per il livello CPGE).

GERMANIA ETÀ DEGLI STUDENTI 0 1 2 3 4

Krippe

5

Kindergarten

6

7

8

9

10

11

Grundschule

12

13

14

15

16

17

18

19

20

21

DURATA DEL PROGRAMMA 0 1 2 3 4 5 6

22

Gymnasium

Universität Gymnasiale Oberstufe

Vorklasse Schulkindergarten

Kunsthochschule/Musikhochschule

Schularten mit drei Buildingsgängen Fachobersschule

Fachhochschule

Berufsoberschule

Realschule

Berufsakademie Schularten mit zwei Buildingsgängen

Abendgymnasium/Kolleg Berufsfachule

Hauptschule

Verwaltungsfachhochschule

Fachschule/Fachakademie

Duale Berufsausbildung

Educazione e cura della prima infanzia (responsabilità del Ministero dell’istruzione) Educazione e cura della prima infanzia (responsabilità non del Ministero dell’istruzione) Istruzione primaria

ISCED 1 ISCED 2 ISCED 3

Istruzione secondaria generale

Corsi combinati scuola-lavoro

Istruzione secondaria professionale

ISCED 4

Istruzione post-secondaria non terziaria Istruzione terziaria (tempo piene)

Fonte: Eurydice-Indire

82

ISCED 0

ISCED 5 ISCED 6 ISCED 7

Possibile anno aggiuntivo

7

8


ETÀ DEGLI STUDENTI 0 1 2 3 4

ITALIA

5

6

7

8

9

10

ETÀ DEGLI STUDENTI 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Nido d’infanzia Scuola d’infanzia Scuola primaria

11

12

13

14

15

12 13 14 15 16 Scuola secondaria di primo grado

17

16

17

18 19 Liceo

18

20

19

21

20

22

21

22

DURATA DEL PROGRAMMA 0 1 2 3 4 5 6

DURATA DEL PROGRAMMA 0 1 2 3 4 5 6

7

8

Università Nido d’infanzia Scuola d’infanzia

Scuola primaria

Scuola secondaria di primo grado

Liceo

Istituto tecnico professionale Università

Istituto tecnico professionale Istruzione e formazione professionale (IFP)

Istruzione e formazione professionale (IFP)

Istruzione e formazione tevnica superiore (IFTS) Istruzione e formazione tevnica superiore (IFTS)

Alta formazione artistica/ musicale/coreutica (AFAM)

Alta formazione artistica/ musicale/coreutica (AFAM)

Scuola superiore per mediatori lingu

Scuola superiore per mediatori linguistici

Istituto tecnico superiore Istituto tecnico superiore

Nota: nido d’infanzia è segnato com ISCED 0 sulla bese dell legge n. 107/2015, implementata a partire dall’a.s. 2017/2018

LEGENDA Educazione e e cura prima infanzia Educazione curadella della prima infanzia (responsabilità del dell’istruzione) (responsabilità delMinistero Ministero dell’istruzione) Educazione e cura della prima infanzia

Educazione e cura della primadell’istruzione) infanzia (responsabilità non del Ministero (responsabilità non del Ministero dell’istruzione) Istruzione primaria

Istruzione primaria

Istruzione secondaria generale

Istruzione secondaria generale

Istruzione secondaria professionale

ISCED 0 ISCED 0

ISCED 4

ISCED 1

ISCED 5

ISCED 2 ISCED 3

ISCED 1 ISCED 2 ISCED 3

Corsi combinati scuola-lavoro

Corsi combinati scuola-lavoro

ISCED 6 ISCED 7

ISCED 4 ISCED 5 ISCED 6 ISCED 7

Possibile anno aggiuntivo

Possibile anno aggiuntivo

Istruzione secondaria professionale Istruzione post-secondaria non terziaria Istruzione non terziaria Istruzione post-secondaria terziaria (tempo piene) Istruzione terziaria (tempo piene)

83


Proposta 2.2.1.1

Portare la scuola dell’obbligo a 18 anni. Estendendo l’obbligo scolastico

dai 16 ai 18 anni, la fine della scuola obbligatoria coinciderebbe con la conclusione del ciclo di educazione secondaria di secondo grado (ve-

di proposta 2.2.1.2). Stimiamo che realizzare questa proposta aumenterebbe il numero di studenti delle scuole secondarie di circa 77 mila

nel primo anno e di circa 154 mila considerando anche il secondo anno. Per mantenere il rapporto studenti/insegnanti costante servirebbe-

ro quindi 17.250 insegnanti aggiuntivi. Il costo di questa misura, a partire dalla sua entrata in vigore, sarebbe di circa 690 milioni di euro a partire dal secondo anno1.

Proposta 2.2.1.2

Concludere la scuola a 18 anni. Prolungare la scuola secondaria di pri-

mo grado (medie) da 3 a 4 anni, in modo da rimandare di un anno la

prima scelta di specializzazione e migliorare la qualità della preparazione comune degli studenti italiani. Al contempo, prevediamo di ridurre ulteriormente di un anno la scuola secondaria di secondo grado,

passando così dai 5 anni attuali ai 3 anni (mantenendo quindi il triennio dei licei intatto, per la formazione professionale vedi capitolo seguente). Stimiamo che questa proposta farebbe risparmiare 1,380 miliardi di euro all’anno2, poiché si eliminerebbe un intero anno scolastico.

Proposta 2.2.1.3

Addolcire la transizione tra le elementari e le medie. Nel passaggio

dalla scuola primaria alla scuola secondaria gli alunni passano tra due

sistemi educativi radicalmente diversi: dal lavoro omogeneo della primaria alla frammentazione disciplinare della secondaria. La modalità didattica delle scuole secondarie, costituita interamente da lezioni frontali, è di difficile adattamento per molti studenti, soprattutto se la

transizione avviene in modo non graduale.

Proponiamo di uniformare l’insegnamento e il modello educativo del-

la scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado (medie) creando un nuovo piano studi integrato, affinché l’insegnamento della

scuola media sia la naturale prosecuzione di quello della scuola primaria, e porti tutti gli studenti ad acquisire le competenze che oggi vengo-

no insegnate al biennio dei licei. Definiamo una nuova offerta formati-

va nazionale delle competenze di base essenziali (italiano, matematica, scienze, informatica, inglese, pensiero critico, problem solving) che ogni studente deve possedere al termine dei primi due cicli di studio. Que-

ste competenze devono essere scelte sulla base di cosa serve davvero affinché gli studenti siano preparati per lo scenario culturale, sociale e

produttivo, attuale e futuro.

1 Considerando 40.000 euro ad insegnante

2 Fonte: Maturità in quattro anni”, Sole 24 Ore

84


85


Proponiamo anche di integrare nella didattica delle scuole medie progetti e laboratori che mirino allo sviluppo del senso critico e della

capacità di problem solving degli alunni. Alcuni esempi di queste attività sono:

• Attività di «information problem solving»: attività didattiche che si pongono l’obiettivo di sviluppare la capacità di acquisire, compren-

dere e giustificare informazioni. L’obiettivo è quello di riflettere su come i nuovi media influenzano la ricerca di informazioni attendibili, la

loro selezione e la loro condivisione. Agli studenti saranno esposte una varietà di fonti di informazione, anche contrastanti e saranno discussi criteri di valutazione e applicati in casi pratici. Saranno ap-

prese e applicate le tecniche usate da esperti per valutare docu-

menti e sarà incoraggiata la riflessione sulle proprie assunzioni di base, anche implicite.

• Attività «inquiry based» nell’educazione scientifica: attività basate

sull’esplorazione, l’indagine e la scoperta, coinvolgendo gli studenti

nella progettazione e realizzazione di indagini per acquisire conoscenze su un determinato fenomeno, favorendo lo sviluppo di competenze nell’applicazione del metodo scientifico.

Proponiamo di rafforzare l’insegnamento dell’informatica con un

nuovo curriculum, insegnanti preparati e nuove strutture digitali nelle scuole (vedi capitolo sull’edilizia scolastica). Le competenze informatiche non si fermano alla capacità di utilizzare applicazioni e tecno-

logie. Occorrono infatti anche competenze logiche, computaziona-

li, argomentative, semantiche e interpretative. I nostri studenti, come raccomandato anche dall’OCSE, devono trasformarsi da consumatori

in «consumatori critici» e «produttori» di contenuti e architetture digitali. Proponiamo infine di inserire nel piano di studi corsi per acquisire

competenze economiche e finanziarie di base, sia per poter eseguire consapevolmente molte attività quotidiane1 sia per essere in grado

di interpretare fenomeni complessi che ci riguardano come cittadini,

quali l’economia. È stato calcolato che c’è una forte correlazione tra il reddito e l’istruzione delle famiglie e la conoscenza finanziaria dei fi-

gli2. Quindi, la mancanza dell’educazione finanziaria nelle scuole incre-

menta la disuguaglianza tra gli studenti che possono ricevere la stessa istruzione delle famiglie e coloro che non ne hanno la possibilità. Il seguente grafico prodotto da un’indagine PISA sulle competenze finan-

ziarie dei giovani di 15 anni di 20 Paesi mostra che l’Italia sotto la media OCSE e registra risultati peggiori della maggior parte dei Paesi europei.

1 PISA 2018 results. Are students smart about money?

2 Financial Literacy among the Young, Lusardi, Mitchell e Curto, 2010

86


In Italia oltre il 20% degli studenti non ha sufficienti competenze finanziarie Risultati PISA in Educazione Finanziaria per paese, 2018 PAESI

STUDENTI AL LIVELLO 1 O INFERIORE

STUDENTI AL LIVELLO 2 O SUPERIORE

Estonia

Canada Polonia

Finlandia Lettonia

Portogallo Lituania Russia

Media OCSE Spagna

Australia

Stati Uniti Italia

Slovacchia Cile

Serbia

Bulgaria Brasile Perù

Georgia

Indonesia

100%

Livello 5

80%

60%

40%

20%

Livello 4

Livello 3

Livello 2

Livello 1

0

20%

40%

60%

80%

100%

Livello inferiore 1

Fonte: PISA OCSE

Proposta 2.2.1.4

Sostituire la bocciatura con corsi di recupero alle elementari e alle medie. Nella scuola primaria e secondaria di primo grado le bocciatu-

re saranno sostituite con corsi integrativi nelle singole materie in cui lo

studente risulta insuffi ciente. Ripetere un intero anno anche quando si è insuffi cienti in poche materie non ha senso: è il retaggio di una cul-

tura punitiva che non fa altro che demotivare gli studenti, portandoli all’abbandono. Far ripetere solo quelle materie nelle quali si è insuf-

fi cienti, in estate o durante l’anno seguente, sarebbe una misura che offre a tutti l’opportunità di correggere il tiro senza perdere un anno essenziale della propria vita e di crescita formativa.

2.2.2 Riforma della formazione professionale secondaria e terziaria LA SITUAZIONE OGGI

I risultati dell’indagine PISA dell’OCSE mostrano come la maggioranza dei percorsi di formazione professionale sia inadeguata sia per for-

nire competenze essenziali per inserirsi subito nel mondo del lavoro,

sia per proseguire gli studi nell’istruzione terziaria. Il primo grafi co evidenzia come la formazione professionale e gli istituti professionali sia-

no ben al di sotto della media italiana e OCSE per quanto riguarda i ri-

sultati ottenuti dagli studenti in ambito di lettura. Gli istituti tecnici sono migliori, ma comunque ben al di sotto della media OCSE.

87


Gli istituti professionali sono molto al di sotto della media in lettura, i licei ben sopra Risultati PISA lettura per tipo di scuola, 2018

600

500

400

300

200

Formazione professionale

Istituto professionale

Istituto tecnico

Liceo

Italia

Media OCSE

Fonte: INVALSI

Il secondo grafico mostra come, riguardo alle competenze in matematica, la formazione professionale e gli istituti professionali siano anche qui ben al di sotto dei risultati attesi, mentre quelle raggiunte dagli Istituti Tecnici si avvicinano alla media OCSE.

Gli istituti professionali sono molto al di sotto della media in matematica, i licei ben sopra Risultati PISA matematica per tipo di scuola, 2018 600

500

400

300

200

Formazione professionale

Istituto professionale

Istituto tecnico

Liceo

Italia

Media OCSE

Fonte: INVALSI

Ma non è tutto. La scarsa formazione di base è accompagnata da una bassa preparazione al mercato del lavoro. Sappiamo infatti che la

maggior parte dei NEET non frequentano l’università e la maggioranza

di questi ha frequentato corsi di formazione professionale. L’Italia si distingue per l’alto tasso di “skills mismatch” per via delle poche compe-

tenze acquisite a scuola, fattore altrettanto correlato all’elevato tasso di NEET nel Paese1. Non è quindi un caso che la formazione professionale

sia caratterizzata da più alti tassi di abbandono (1,8% nei licei contro il

7,7% delle scuole di formazione professionale e il 4,3 degli istituti tecnici2): non forma, e quando forma non lo fa per acquisire competenze richieste dal mercato del lavoro.

1 “Unemployment and skill mismatch in the italian labor market” Università Bocconi e J.P.Morgan. 2017 2 MIUR, 2019

88


In Italia, tuttavia, abbiamo esempi di successo di formazione e inseri-

mento nel mercato del lavoro: gli Istituti Tecnici Superiori. Gli ITS sono

l’opzione di educazione terziaria per la formazione professionale che si basa sulla sinergia tra istruzione, formazione e lavoro. Secondo il MIUR,

l’80% dei diplomati degli ITS ha trovato un lavoro entro un anno dal diploma, e nel 90% dei casi questo lavoro è coerente con il percorso di studi. Le lauree triennali e magistrali non ottengono gli stessi risultati

in termini di inserimento nel mondo del lavoro. Infatti, secondo i dati di AlmaLaurea, solo il 68% degli studenti delle lauree triennali e il 70% degli studenti delle lauree magistrali hanno trovato un lavoro entro un anno

dalla laurea e, in entrambi i casi, quasi uno studente su due non giudica efficace il proprio titolo di studio.

Pensiamo quindi che uniformare la formazione professionale secon-

daria su modello degli ITS sia la scelta opportuna. Questi hanno tre fondamentali vantaggi : 1) i percorsi di formazione sono sviluppati in sinergia con il mondo produttivo, garantendo così che gli studenti siano

formati effettivamente sulle competenze richieste dal mercato; 2) i do-

centi si dividono in due categorie, tra chi insegna materie prettamente teoriche e professionisti, che accompagnano gli studenti nel mondo del lavoro e trasmettono competenze concrete; 3) gli ITS sono finanziati in base al merito, ovvero il grado di competenze e occupazione che

generano, e sono incentivati a mantenere la formazione legata agli

obiettivi. Replicare questo modello nel ciclo di studi precedente aiuterebbe molto ad allineare le competenze dei giovani a quelle richieste dal mercato del lavoro.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.2.2.1

Formazione professionale secondaria superiore ancorata ai bisogni del territorio. Proponiamo di sostituire gli attuali istituti di Istruzione e

formazione professionale statale quinquennale (leFP) con un sistema di formazione professionale triennale. I “pre-ITS” saranno sostanzialmente simili agli ITS in quanto ad alternanza scuola-lavoro, modalità di

finanziamento e premialità, ma si concentreranno maggiormente sulla

formazione di base. In primo luogo, come per gli ITS, si configureranno come Fondazioni partecipate dal MIUR, dagli enti territoriali e dalle

imprese locali. Questo schema di governance, combinato a una forte autonomia, assicura che i piani formativi siano sviluppati in aderenza

con le necessità produttive del territorio. Secondo, per non forzare una

decisione professionale troppo in anticipo rispetto ai tempi di sviluppo di una persona, proponiamo che, accanto all’autonomia formativa,

si mantenga una percentuale di didattica generale che consenta agli studenti di seguire percorsi alternativi in futuro. Terzo, immaginiamo

che i “pre-ITS” siano anch’essi finanziati in parte in base al numero di

studenti e in parte attraverso una quota di premialità, basata sui risultati. Il nostro modello di istituti tecnico-professionali può essere considerato

un’estensione dei Centri di Formazione Professionali (CFP) pubblici e/o privati che, dopo il primo ciclo, erogano corsi triennali o quadriennali di

89


istruzione e formazione professionale gestiti dalle Regioni in un accordo quadro di qualifiche e profili siglato in conferenza Stato-Regioni. L’ac-

cordo quadro Stato-Regioni permette almeno in linea teorica la permeabilità dei sistemi, la mobilità con il riconoscimento dei titoli a livello

nazionale e un sistema di abbreviazione dei percorsi di studio nel caso di accesso all’istruzione per il conseguimento di un diploma quinquennale e/o accesso all’università in momenti differenti della vita.

Proposta della struttura dei nuovi Pre-ITS/Istituti tecnico professionali (ITP) 1° ANNO

2° ANNO

3° ANNO

Istruzione generale: matematica, italiano e lingue

CHI LO INSEGNA?

60%

40%

30%

Docenti

Arte del mestiere e teorie*

10%

20%

20%

Professionisti e lavoratori

Orientamento professionale e ASL**

30%

40%

50%

Aziende

Fonte: rielaborazione Centr Studi Azione

Accanto alla riforma della formazione professionale secondaria, vogliamo rafforzare la formazione professionale terziaria, convogliando risorse su un sistema che già funziona.

Oggi, in Italia ci sono 104 ITS con 312 percorsi attivi nel solo 2018. Nello stes-

so anno, i diplomati degli ITS sono 3.907, in aumento del 255,8% rispetto al 2013, quando erano 1.098. Sono risultati sicuramente molto soddisfacenti

ma, secondo le analisi Istat e di Unioncamere, per colmare il fabbisogno delle imprese sono necessari circa 13.000 diplomati dai percorsi ITS. Per usare al meglio il potenziale degli ITS è fondamentale quindi aumentare il numero di iscritti.

Proposta 2.2.2.2

Aumentare il numero di diplomati ITS. Per rispondere al fabbisogno di tecnici diplomati dai percorsi ITS per le aziende bisogna accompagnare l’aumento del numero di diplomati incrementando quello degli iscritti.

Considerando che dei 4.606 iscritti agli ITS nel 2016, 3.536 (il 77,35%) si sono diplomati degli ITS nel 2018 ipotizziamo una crescita di fattore 6 entro il 2025 rispetto alle iscrizioni del 2016 per raggiungere i 21.000 diplomati nel 2025. Ad oggi, il costo standard di un percorso ITS è di 330.000 per

una classe composta, in media, da 22 alunni, con costo medio a stu-

dente di 15.000 €. Ciò implica che per aumentare a 21.000 il numero di studenti ITS il costo stimato ammonterebbe a 315 milioni di euro di cui

245 milioni circa aggiuntivi. Oltre ai costi standard devono essere poi considerati i corsi di struttura dei percorsi ITS che stimiamo in 811 milio-

ni. Il costo totale dell’aumento degli ITS è quindi di 1.056 miliardi di euro.

Proposta 2.2.2.3

Potenziamento Fondo per ITS virtuosi. Di pari passo con l’aumento degli studenti iscritti, proponiamo di incrementare di un fattore 6 il Fondo

a cui hanno accesso gli ITS che rispondono a vari criteri tra i quali il numero di studenti diplomati e con un lavoro. Infatti, questo sistema 90

* - **

*Attività teorica e culturale legata all’indirizzo di specializzazione scelto. ** Attività di orientamento, pianificazione carriera, alternanza scuola lavoro


di premialità è tra i fattori che garantiscono la qualità e il successo

degli ITS, ed è essenziale che rimanga uno strumento valido anche con

l’ampliamento dei percorsi ITS. Ad oggi, il Fondo dispone di 13 milioni e la

nostra proposta è quella di potenziarlo affinché raggiunga i 78 milioni di cui quindi 65 milioni aggiuntivi.

Proposta 2.2.2.4

Formazione degli operatori ITS. Per calcolare quanti operatori ITS ci so-

no, dobbiamo considerare l’aumento previsto degli iscritti. Nei 104 ITS di

oggi operano altrettanti direttori, 200 coordinatori di corsi e 7.000 do-

centi. Per rispondere all’aumento previsto i coordinatori e i docenti dovranno aumentare (non prevediamo aumentare il numero di strutture

ITS, i direttori possono quindi rimanere 104) in proporzione all’aumento

di studenti, quindi di 6 volte: 1.200 coordinatori e 42.000 docenti. Il costo stimabile per l’aumento dell’organico è quello dei costi di formazione. Tuttavia, rimane da stabilire quale sarà il costo della formazione di qualità per tutti gli operatori:

• Direttori e coordinatori: 1000 unità devono ricevere un corso di for-

mazione minimo di 25 ore con un costo di 60 € l’ora. Il costo della formazione di questi 1000 operatori è quindi di 1,5 milioni di euro;

• Docenti: prevediamo corsi di formazione di 9 ore con un costo di 60

€ l’ora e deve essere completato 2 volte. Il costo di questa formazione è stimato a 37,8 milioni di euro.

Il piano di formazione degli operatori ITS ha quindi un costo stimato di 39,3 milioni di euro.

Proposta 2.2.2.5

Dotazioni logistiche ITS. Per assicurare il successo degli ITS a lungo ter-

mine è necessario incrementare le dotazioni strumentali, logistiche e organizzative. Gli ITS sono un modello di istruzione superiore ma con

carenza nella qualità dell’offerta formativa. Il MISE ha stimato che per

migliorare le dotazioni infrastrutturali e i laboratori degli ITS sono necessari 400.000 € a struttura: sulla base di questi dati proponiamo di stanziare i fondi necessari per migliorare la condizione degli attuali 104 ITS. Questa misura ha un costo stimato di 41.600.000 €.

In Italia il mercato del lavoro è fortemente differenziato su base terri-

toriale. Spesso, i surplus di domanda e offerta sono concentrati in zone

diverse del Paese. Tuttavia la mobilità territoriale è molto limitata. Per

migliorare l’incontro tra domanda e offerta è necessario stimolare la mobilità territoriale. Per raggiungere questo obiettivo, incentiviamo gli

ITS a cercare studenti anche in altre regioni, qualora vi sia un eccesso di domanda di lavoro nel loro territorio.

91


Proposta 2.2.2.6

Incentivi a ITS fuori sede per mobilitare l’offerta di lavoro. La nostra

proposta è quella di dotare gli ITS di un finanziamento aggiuntivo al

fine di istituire la creazione di sportelli in altre Regioni e offrire corsi di

formazione breve o lunga, online o in presenza. Per favorire la creazione di sedi decentrate, i Comuni si impegneranno a mettere a disposizione edifici, come per esempio i beni confiscati. Il finanziamento per

questi corsi sarà del 20% più alto rispetto a quanto previsto di norma.

L’ITS organizzerà i corsi di formazione in base alle competenze richieste dal mercato del lavoro all’interno del territorio dove ha la sede princi-

pale. In questo modo verrà offerta una possibilità lavorativa fuori dal proprio territorio agli studenti che frequentano questi corsi, favorendo

il matching di competenze e la mobilità interterritoriale. Stimiamo di

realizzare circa 10 mila posti per corsi di formazione fuori sede. Con una spesa di 6.000 € per studente (5.000 € come costo annuale più la maggiorazione), la misura costerà circa 60 milioni di euro.

2.2.3 Estensione del calendario scolastico LA SITUAZIONE OGGI Come mostra il grafico seguente, l’Italia è tra i Paesi europei dove le vacanze estive sono più lunghe. La pausa estiva determina molte criticità, sia per gli studenti che per i genitori, soprattutto per le famiglie più

svantaggiate. Prima di tutto la letteratura accademica1 è ricca di studi

che documentano l’impatto negativo delle vacanze estive sull’appren-

dimento che colpisce maggiormente, gli studenti delle famiglie meno benestanti. L’evidenza empirica mostra che durante la pausa estiva i bambini con alto status socio economico migliorano la propria istruzio-

ne attraverso canali di apprendimento alternativi come corsi di lingua, di musica, viaggi o altre forme di arricchimento socioculturale a cui i bam-

bini delle famiglie a più basso reddito non accedono. Inoltre, la lunga

pausa estiva è problematica per conciliare lavoro e cura dei figli per le

famiglie in cui i genitori lavorano: nessun familiare può occuparsi dei figli

e non hanno le risorse economiche per assumere qualcuno che si prenda cura dei figli.

1 Lasting Consequences of the Summer Learning Gap, Karl L. Alexander, Doris R. Entwisle, Linda Steffel Olson; Investment in Summer Learning Programs Can Help Stop the ‘Summer Slide’, RAND

92


L’Italia tra I paesi con le più lunghe vacanze estive Vacanze scolastiche estive in settimane nei paesi europei, 2018/2019 15

12

9

6

Paesi Bassi

Regno Unito

Germania

Danimarca

Norvegia

Lussemburgo

Francia

Austria

Slovacchia

Belgio

Bosnia

Svezia

Rep. Ceca

Polonia

Croazia

Slovenia

Serbia

Montenegro

Cipro

Ungheria

Spagna

Finlandia

Bulgaria

Estonia

Svizzera

Grecia

Portogallo

Nord Macedonia

Irlanda

Islanda

Italia

Fonte: Eurydice-Indire

Malta

Romania

Turchia

Lettonia

0

Albania

3

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.2.3.1

Ripartire meglio le vacanze durante l’anno. Rimodulare i calendari sco-

lastici di tutto il ciclo della scuola dell’obbligo, allineandolo a quello in

vigore nella gran parte dei Paesi europei. I giorni complessivi di scuola

resteranno invariati, ma le vacanze estive saranno ridotte fino a 8 setti-

mane. I giorni di vacanza sottratti all’estate saranno distribuiti nel corso dell’anno. Il termine dell’anno scolastico sarà quindi posticipato all’inizio

di luglio, garantendo una maggiore continuità nell’apprendimento. Per realizzare questa misura, le strutture scolastiche saranno dotate di aria condizionata (vedi nel capitolo sull’edilizia scolastica).

2.2.4 Tempo lungo e mense LA SITUAZIONE OGGI Passare tempo a scuola è fondamentale non solo per acquisire le com-

petenze necessarie per garantire tutte le opportunità a cui un giovane ha diritto, ma anche incentivare la coesione sociale e l’integrazione.

Primo, sappiamo che passare più tempo a scuola riduce la dispersione scolastica e aumenta la mobilità sociale: una scuola dotata di infra-

strutture adeguate e quindi in grado di erogare i servizi essenziali, tra cui mensa ed estensione dell’orario scolastico, a tutti gli studenti aumenta

del 167% la probabilità dei ragazzi di emanciparsi da situazioni di disagio socioeconomico. Infatti, questi servizi sono alla base dell’inclusione e

della socializzazione, dei fattori che contribuiscono alla lotta alla disper93


sione scolastica e alla promozione della mobilità sociale. Nelle stesse regioni in cui si concentra il mancato accesso al servizio mensa e al tempo

pieno, osserviamo un elevato tasso di dispersione scolastica. La regione

in cui il fenomeno è più diffuso è la Sicilia, dove circa il 21% dei ragazzi abbandona gli studi precocemente. Nella stessa regione, le percentuali

di studenti che non usufruiscono del servizio mensa e del tempo pieno sono relativamente dell’81,05% e del 91,84%2.

Rapporto tra dispersione scolastica e assenza tempo pieno Correlazione tra dispersione e assenza tempo pieno

% abbandono scolastico, 2017 25

SAR

20

SIC CAM PUG CAL

15 VdA

BAS LIG MOL

LOM TRE

10

VEN

PIE

LAZ

FVG

MAR UMB

EMR

TOS

ABR

5

0

20

40

60

80

% Classi senza tempo pieno a.s. 2016/2017

100

Fonte: Save the Children e ISTAT

Rapporto tra dispersione scolastica e assenza di servizio mensa Correlazione tra dispersione e assenza servizio mensa % abbandono scolastico 25

SAR

20

SIC CAM PUG CAL

15 VdA LIG

BAS TOS MOL

LOM TRE

10

VEN

PIE FVG

EMR

LAZ

MAR UMB ABR

5

0

20

40

60

80

100

Secondo, sappiamo che aumentare leservizio ore, frontali e non, ha un forte % Alunni che non usufruiscono del mensa 2016/2017 Fonte: Save the Children e ISTAT 2 Tutti i dati citati nella premessa sono tratti dal rapporto (Non) tutti a Mensa 2018 di Save the Children

94


impatto sul rendimento scolastico: le ricerche scientifiche conferma-

no che il tempo pieno ha effetti positivi sul rendimento scolastico degli alunni, particolarmente evidenti nelle bambine, negli studenti con basso status socioeconomico e per gli italiani con diversi background linguistici e culturali3.

Terzo, aumentare il tempo a scuola aiuta anche i genitori a perseguire

le proprie opportunità e conciliare vita lavorativa e familiare. Chi è co-

stretto a lavorare part-time per poter accudire i figli nel pomeriggio non ha questo ostacolo con il tempo pieno e il servizio mensa.

Il tempo prolungato4 Il tempo prolungato prevede l’estensione dell’orario scolastico a 40 ore

settimanali, rispetto alle 24, 27 o 30 ore settimanali previste dal tempo normale alla scuola primaria e alle 30 o 36 previste alla scuola secondaria di primo grado. GRADO

NORMA ORARI DI FUNZIONAMENTO

Scuola d’infanzia

40 per tutti

Scuola primaria

24, 27 o 30 senza tempo pieno; 40 con tempo pieno

Scuola secondaria di 1° grado

30 o 36 ore; 40 con tempo prolungato

5

Negli ultimi anni, la possibilità di usufruire del tempo pieno si sta dif-

fondendo maggiormente nelle scuole italiane, ma il servizio rimane carente in molte aree geografiche. Secondo i dati del MIUR, nell’anno

scolastico 2019/20, solo il 36,2% delle classi della scuola primaria, ovvero 46.403 classi su 193.265, ha il tempo pieno6. I bambini della scuola pri-

maria che non frequentano il tempo pieno si trovano principalmente nel Sud Italia. Infatti, la mancanza di accesso al tempo pieno riguarda

il 94% degli alunni in Molise, il 92% in Sicilia, l’85% in Campania, l’84% in Abruzzo e l’83% in Puglia.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.2.4.1

Istituire il tempo lungo nelle scuole primarie. Proponiamo di diffondere

l’obbligo del tempo pieno a livello nazionale per la scuola primaria. Tutti i bambini delle scuole primarie statali avranno quindi diritto a 40 ore di scuola ogni settimana. Stimiamo che il costo totale per il potenziamento del tempo pieno in tutto il territorio nazionale è di circa 2,3 miliardi.

• Stima costi Docenti: come citato nella premessa, su 128.148 classi

3 Do Differences in Schools Instruction time explain international achievement gaps? Evidence from developed and developing countries di V. Lavy 4 Per tempo pieno, o tempo prolungato, si intendono 40 ore di scuole settimanali 5 Pagina “Orari di funzionamento nelle scuole” MIUR 6 TuttoScuola

95


della scuola primaria, 81.745 non hanno il tempo pieno. Per implementare il tempo pieno in queste ultime è necessario un aumento dell’or-

ganico. Considerando che alle 46.403 classi funzionanti a tempo pieno oggi corrispondono 87.731 docenti7 ne deduciamo che per ogni classe

di scuola primaria a tempo pieno saranno necessari 1,89 insegnanti.

Per colmare la mancanza di tempo pieno nelle 81.745 classi che non hanno il tempo pieno, sono quindi necessari 154.499 docenti in più. A questa cifra deve essere sottratto il numero di insegnanti che già

lavora nelle classi non a tempo pieno, ovvero 105.534 docenti. Stimia-

mo quindi che l’aumento dell’organico utile a coprire le ore aggiuntive previste con il tempo pieno obbligatorio è di 48.965 insegnanti. Il co-

sto previsto per l’assunzione di un’insegnante è di 40.000 €8. Perciò, il

costo stimato per le assunzioni dei nuovi docenti necessari al tempo pieno in tutte le classi della scuola primaria è di 1.958.600.000 €.

• Stima costi ATA: facendo riferimento ad analisi già esistenti, imple-

mentare il tempo pieno in tutte le scuole primarie statali richiede un incremento di 1.213 collaboratori scolastici. Lo stipendio lordo annuo

per di un collaboratore scolastico è di 24.252 €9. Quindi, il costo an

nuale per l’incremento dell’organico ATA è di 29.417.676 milioni di euro.

Costi totali: 1,99 miliardi di euro.

Proposta 2.2.4.2

Fondo Scuole Aperte: contrasto alla dispersione scolastica. Proponiamo

di estendere ulteriormente il tempo a scuola creando dei laboratori di

attività extra-curriculari per lo sviluppo personale e sociale dei ragazzi. Questo è possibile con i patti di collaborazione o patti di comunità: accordi tra le scuole e associazioni o genitori degli alunni per organizzare

all’interno delle prime delle attività fuori dall’orario scolastico. Per questa proposta facciamo riferimento a modelli già esistenti, come quello proposto dal Movimento di volontariato italiano10. Oggi la maggior parte

dei progetti di patti di collaborazione riescono ad autofinanziarsi. Pro-

poniamo di creare un Fondo che incentivi le scuole a stipulare i patti di collaborazione. Alla fine di ogni anno scolastico, il Fondo premia le scuole

che hanno attivato dei patti di collaborazione. Il finanziamento al quale

avrebbe accesso ogni scuola è di 5.000 €. Considerando che sul territo-

rio italiano ci sono 15.429 scuole primarie, il costo massimale della proposta è di 77.145.000 €. Per il suo avviamento ognuna delle 15.429 scuole del territorio riceverà un documento redatto dal MIUR in collaborazio-

ne con le scuole che già hanno sperimentato il progetto Scuole Aperte per descrivere il processo e fornire degli esempi su modelli già attivi.

Il servizio mensa 7 Dati MIUR

8 Come previsto a p23 del documento dell’ Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza 9 TuttoScuola

10 Il documento completo di presentazione della proposta è disponibile sul sito di MOV

96


In Italia, solo 1 bambino su 2 ha accesso al servizio mensa. La disponibilità del servizio è particolarmente scarsa al Sud: non è disponibile per l’81%

degli alunni in Sicilia, l’80% in Molise, il 74% in Puglia, il 67% in Campania e il 64% in Calabria11.

Il primo ostacolo alla diffusione del servizio di mensa è la normativa. In-

fatti, secondo la legge, la mensa è un servizio a domanda individuale. Sono quindi i Comuni a decidere se garantire o meno il servizio in base

ai loro bilanci. Ciò priva molti ragazzi di un servizio fondamentale per la lotta alla povertà educativa.

Oltre alla carenza dell’offerta, c’è anche un problema di accessibilità economica. Per finanziare il servizio mensa, la compartecipazione della

singola famiglia può raggiungere l’80% del costo totale e in alcuni comuni le agevolazioni per sostenere le famiglie meno abbienti a coprire i costi del servizio non sono sufficienti e/o sono disponibili solo per i resi-

denti. A causa di ciò, alcune famiglie non riescono a coprire il costo. Eppure, è proprio per i bambini delle famiglie economicamente svantag-

giate che il servizio è particolarmente importante perché hanno minori

risorse per garantire ai figli una corretta alimentazione. Inoltre, in alcu-

ne regioni il 40% delle famiglie è in ritardo con i pagamenti del servizio mensa. A causa di questo, alcuni bambini vengono esclusi dal servizio.

L’ostacolo dei costi può creare degli effetti distorsivi che involontariamente contribuiscono alla disparità tra bambini e all’esclusione sociale. Infatti, alcuni comuni applicano la regola dell’esclusione del bam-

bino in caso di morosità della famiglia. Essere separato dai compagni al momento del pasto può essere vissuto come un’umiliazione. Paradossalmente si aumentano le disuguaglianze economiche e sociali anziché ridurle.

Proposta 2.2.4.3

La mensa in tutte le scuole d’Italia. La nostra proposta è di garantire un

pasto giornaliero 5 giorni a settimana al 100% degli studenti di tutte le scuole primarie e scuole secondarie di primo grado. A livello ammini-

strativo, vogliamo cambiare la normativa rendendo il servizio mensa un livello essenziale delle prestazioni e non più un servizio a domanda individuale, in modo da garantire un accesso equo ed uniforme in tutto il Paese.

• Incrociando le percentuali regionali riguardo alla disponibilità del ser-

vizio mensa e i numeri di bambini iscritti nelle scuole possiamo stabilire che per ampliare l’offerta del servizio bisognerebbe assicurare circa 2 milioni di pasti giornalieri aggiuntivi in modo che tutti i 4,2 milioni di alunni delle scuole italiane possano beneficiare del servizio.

11 Dal rapporto(Non) tutti a Mensa 2018 di Save the Children

97


ALUNNI ISCRITTI A SCUOLA

ALUNNI CHE GIÀ HANNO SERVIZIO MENSA

PASTI AGGIUNTIVI PER GARANTIRE SERVIZIO MENSA PER TUTTI

4,211,000

2,148,873

2,062,126

100%

51%

49%

• Costo di aumentare l’offerta del servizio: assegnando a ogni pasto di mensa scolastica un costo medio di 5,50 €1, assicurare i pasti al 100%

dei bambini iscritti a scuola costerebbe ogni anno2 4,6 miliardi, di cui 2,2 aggiuntivi. Ad oggi, questi costi sono in carico o al comune o alle

famiglie. Noi proponiamo che tutti i costi diventino a carico dello Stato,

a meno della quota che lasciamo in capo alle famiglie più abbienti (vedere proposta successiva).

Iscritti Costo medio pasto giornaliero

TOTALE

AGGIUNTIVI

4,211,000

2,062,127

5.5

5.5

23,160,500

11,341,698

Costo mensile (20 giorni) mensa

463,210,000

226,833,963

Costo annuale (10 mesi) mensa

4,632,100,000

2,268,339,633

Costo giornaliero mensa

Proposta 2.2.4.4

La mensa come diritto per ogni bambino. Vogliamo sostenere le fami-

glie meno abbienti in modo che il servizio mensa sia accessibile a tutti. Perché ciò sia possibile e monitorabile a livello nazionale, proponiamo:

• Per tutte le famiglie: una compartecipazione tra pubblico e famiglie dei costi stabilita a livello nazionale. La percentuale a carico delle famiglie non deve superare il 50% dei costi totali per il servizio mensa,

in modo tale da allinearci con la proposta dell’Autorità Garante per

l’Infanzia e l’Adolescenza3. Il costo della mensa può comunque variare

tra Comuni; è la percentuale pagata dalle famiglie che deve essere uguale su tutto il territorio.

• Per le famiglie con meno disponibilità prevediamo un sostegno aggiuntivo a carico dello Stato, calante al crescere del reddito. Oggi, nel-

la maggior parte dei Comuni, le esenzioni massime sono applicate alle famiglie con ISEE inferiore ai 5.000 €. Proponiamo di innalzare il

l’ISEE per ricevere il maggior sostegno a 15.000 €. Le famiglie con ISEE fino a 15 mila euro non pagheranno nessun costo di servizio mensa, le

famiglie con ISEE tra i 15 mila e i 25 mila euro avranno un costo del ser-

vizio mensa pari al 50% del costo standard. Ne consegue che dei costi totali per il servizio mensa, pari a 4,6 miliardi, 2,3 sono in capo allo Sta-

to come contributo del 50% a tutte le famiglie, 1 miliardo è in capo allo

Stato come contributo aggiuntivo per rendere gratis il servizio per ISEE

al di sotto di 15.000, e ulteriori 300 milioni sono a carico dello Stato per

1 In linea con stima con documento di Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza

2 Per fare il calcolo annuale prendiamo come periodo di riferimento 200 giorni (10 mesi composti da 4 settima ne di 5 giorni). In questo modo consideriamo anche il riordinamento del calendario scolastico 3 Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza

98


famiglie tra i 15.000 e i 25.000 € di ISEE. Lo Stato, quindi prenderebbe in carico un totale di 3,6 miliardi, pari al 76% del costo totale.

TOTALE Iscritti

4,211,000

Costo annuale (10 mesi di mensa)

4,632,100,000

Costo finanziato dal pubblico considerando compartecipazione delle famiglie al 50%

2,316,050,000

Costo finanziato dal pubblico per ISEE inferiori a 15.000

1,019,062,000

Costo finanziato dal pubblico per ISEE inferiori da 15.000 a 25.000 Costo totale a carico dello Stato % del costo totale a carico dello Stato

312,666,750 3,647,778,750 79%

• Assicurare che le agevolazioni siano disponibili per tutte le famiglie,

che siano residenti o meno. La legge applicata oggi da molti Comuni, secondo la quale i figli delle famiglie non residenti non hanno accesso

alle esenzioni per le mense scolastiche è di per sé un fattore discriminante.

• Garantire che in nessun caso il ritardo nei pagamenti della mensa comporti l’esclusione dei bambini dal servizio. I bambini infatti non devono essere coinvolti né discriminati a causa di un mancato paga-

mento di cui non sono responsabili. La scuola deve assicurarsi che il problema della morosità dei genitori sia gestita tramite altri canali.

2.2.5 Potenziare il supporto scolastico LA SITUAZIONE OGGI La scuola deve essere un luogo di formazione che va oltre l’acquisizione di competenze accademiche, contribuendo anche allo sviluppo per-

sonale dei giovani. Molto spesso, invece, problematiche come l’inseri-

mento sociale, disturbi psicologici, comportamentali e di apprendimento, e l’orientamento professionale sono di per sé trascurate dal sistema scolastico e lasciate quindi agli stessi giovani. Anche in questo caso gli

studenti provenienti da famiglie più abbienti possono permettersi una maggiore attenzione che si traduce nella fruibilità di servizi simili, mentre coloro che provengono da contesti svantaggiati, e ne hanno quindi un maggiore bisogno, sono abbandonati a loro stessi.

Proponiamo quindi una rivisitazione del modello educativo, creando nelle scuole un’equipe di professionisti che aiuti i giovani in tutto quello che non rientra tipicamente nella didattica, ma resta comunque essenziale all’ottenimento di tutte quelle opportunità di cui hanno diritto.

Gli studenti provenienti da altri Paesi hanno più difficoltà ad integrarsi

nel sistema scolastico italiano, a causa di barriere linguistiche ed econo-

miche. Nel 2017, il tasso di abbandono scolastico per gli studenti stranieri ha raggiunto il 33,1%, rispetto ad una media per gli studenti italiani del

99


12,1%. La partecipazione al sistema scolastico rappresenta un’opportunità unica per l’integrazione degli studenti stranieri e offrire loro eguale

accesso alle stesse opportunità dei loro coetanei italiani. È necessario quindi rafforzare i programmi di supporto per gli studenti e le famiglie straniere, offrendo servizi di mediazione culturale nelle scuole.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.2.5.1.

Mediatori culturali, in tutte le scuole. Attualmente la figura del mediato-

re culturale non è assunta dall’Amministrazione pubblica e non ci sono qualifiche minime per poter esercitare questa professione. Proponiamo

di assumere nell’amministrazione pubblica le figure professionali più qualificate che attualmente svolgono la professione di mediatore cul-

turale presso istituti privati e del terzo settore. Allo stesso modo, vogliamo potenziare e riformare il piano di studi dei corsi di laurea triennale

e magistrale in mediazione culturale e linguistica, in modo da formare

nuovi mediatori culturali qualificati. Questi lavoreranno principalmente

nelle scuole a supporto degli alunni stranieri con difficoltà di integrazione, ma anche in altre strutture pubbliche e private. È importante sotto-

lineare che assumere mediatori culturali è un investimento per lo Stato. Infatti, integrare nuovi italiani significa formare cittadini che in futuro la-

voreranno e arricchiranno il capitale umano e sociale del nostro paese.

Stimiamo che sia necessario assumere un mediatore culturale di riferi-

mento per ogni scuola. Di conseguenza, essendoci circa 15.500 scuole sul territorio italiano, dovremo assumere altrettanti mediatori culturali, per

un costo annuo di circa 400 milioni di euro (25.800 € annui a mediatore). Tra i fattori più importanti che portano all’abbandono degli studi c’è la

scarsa motivazione scolastica. Molti giovani si sentono poco coinvolti dallo studio, spesso a causa dell’insuccesso accademico, registrato co-

me un fallimento, una delusione e un segno di inadeguatezza al sistema scolastico. Inoltre, molto spesso, gli studenti con più difficoltà cognitive

provengono da ambienti familiari fragili che non li tutelano adeguata-

mente e hanno ricadute enormi sulle loro chance di apprendere e di

avere accesso a opportunità. Per questo, il sistema di istruzione deve ridare motivazione, fiducia e sostegno ai ragazzi a rischio di abbandono.

Fornire percorsi di supporto psicologico, come accade in molti altri Paesi, aiuterebbe a risolvere il problema.

Proposta 2.2.5.2

Supporto psicologico in tutte le scuole. Ogni scuola dovrà fornire uno sportello di supporto psicologico permanente per studenti, famiglie e insegnanti, i quali potranno usufruire liberamente del servizio in ogni mo-

mento. Questo si concentrerà principalmente sui rapporti tra i soggetti precedentemente citati. Verranno predisposti incontri individuali obbligatori per tutti gli studenti, almeno uno ogni semestre, dopo i quali lo psicologo, a sua discrezione, potrà fissare ulteriori incontri individuali o

con famiglie e insegnanti. Stimiamo che ogni scuola avrà bisogno di 1 o

2 psicologi, a seconda della domanda e del numero degli studenti. Ciò 100


risulterebbe nell’assunzione di circa 20 mila psicologi per un costo complessivo di circa 600 milioni di euro annui.

Scegliere che carriera intraprendere è una scelta complessa. Ed è ancora più complessa in un mondo del lavoro poco intellegibile e in costante

evoluzione. In mancanza di un servizio di orientamento efficace, i giovani

vengono spesso condizionati nelle loro scelte dalle famiglie, attraverso

dei suggerimenti che sono a loro volta influenzati dall’ambiente sociale in cui i genitori si sono formati e che frequentano abitualmente. Offri-

re invece un efficace servizio di orientamento (career service) contrasta la dispersione scolastica, aiuta lo sviluppo di migliori competenze

lavorative, migliora l’autostima e guida verso scelte professionali più consapevoli. Per questo, le scuole devono potenziare il servizio di orien-

tamento, soprattutto nelle fasi in cui gli studenti prendono una decisione sul percorso di studi che influenzerà la loro vita a lungo termine.

Proposta 2.2.5.3

Servizio di orientamento in tutte le scuole. Ogni scuola secondaria dovrà fornire un servizio di orientamento sempre a disposizione degli studenti, o comunque in misura sufficiente a soddisfare la domanda settimanale

degli studenti. Per gli studenti degli ultimi anni, si prevede di creare uno sportello fisso, che si occupi anche di accogliere e profilare i parteci-

panti a Garanzia Giovani. Inoltre, sarà obbligatorio almeno un incontro individuale con ogni studente durante l’ultimo anno di ogni ciclo scolastico. L’advisor per il career service dovrà inoltre organizzare incontri per

informare gli insegnanti delle scuole secondarie sugli sbocchi professio-

nali ed educativi degli studenti. L’importanza del servizio di orientamento sarà comunicata a studenti e famiglie con specifiche campagne di

informazione.

Proposta 2.2.5.4

La formazione dei Career Advisor. Il successo del servizio di orientamen-

to dipende in primo luogo dalla formazione e dalle esperienze del personale addetto all’orientamento. Il personale deve essere a conoscenza di tutte le opportunità a disposizione dell’assistito e deve essere in grado di

fornire un’opinione indipendente ed oggettiva, dopo averne valutato attentamente le capacità e le inclinazioni. Proponiamo di istituire un corso di abilitazione che sarà accessibile a tutti coloro che hanno ottenuto un titolo di studio almeno pari alla laurea triennale. Il corso, della durata di

un anno, sarà erogato dalle università. Sul modello di quanto avviene in Svizzera, le competenze fornite ai nuovi advisor saranno: psicologia individuale e dello sviluppo, studio delle opportunità formative e professionali di ogni livello e sbocchi di carriera disponibili, studio del mercato del

lavoro italiano a livello territoriale e dei suoi trend previsti, etica professionale e metodi di lavoro. Abbiamo stimato che saranno necessarie circa 6000 assunzioni per un costo totale di circa 155 milioni di euro annui.

101


FORMAZIONE DEI CAREER SERVICE ADVISORS IN SVIZZERA I career service advisors in Svizzera sono formati dalle

lavoro (il sistema educativo, l’educazione e la scelta

università o da altri istituti riconosciuti. Il percorso

professionale, psicologia occupazionale, mercato del

di formazione è concentrato su cinque ambiti:

lavoro), metodi di lavoro ed etica, identità e qualità

sviluppo individuale (psicologia dello sviluppo e

professionale. Successivamente, il programma prevede

dell’apprendimento), individuo nella società (sociologia,

un tirocinio di 12 mesi prima di esercitare la professione.

legge ed economia), individuo nel mondo del

2.2.6 Combattere la dispersione: le Aree di crisi sociale complessa1 LA SITUAZIONE OGGI Pensiamo che le proposte illustrate sinora possano contribuire fortemente ad abbattere il divario scolastico tra i diversi territori, ma non le

riteniamo sufficienti. In alcuni contesti critici, dove le condizioni di par-

tenza sono molto diverse, la scuola deve non solo formare i giovani, ma

anche contribuire alla crescita economica e sociale del territorio diventando sostanzialmente un attivatore di politiche pubbliche virtuose.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 2.2.6.1

Dove sono le aree di crisi complessa? Idee per una mappatura. Le principali vittime della dispersione scolastica sono ragazzi che vivono in aree

con le maggiori concentrazioni di famiglie in situazione di povertà socio-economica. Proponiamo di rilevare le aree di crisi sociale comples-

sa basando l’individuazione sui tassi di abbandono scolastico, risultati

scolastici e dati occupazionali a livello comunale. Per le città metropolitane, invece, le aree di crisi sociale complessa saranno individuate

a livello municipale o circoscrizionale per incentivare il focus educativo sulle aree metropolitane più complesse.

Proposta 2.2.6.2

I migliori insegnanti, dove ce n’è più bisogno. La figura dell’insegnante

ha un ruolo ancora più fondamentale nelle aree di crisi sociale complesse. Inoltre, in queste zone, i docenti sviluppano delle competenze che vanno oltre quelle insegnate nei normali curricula dei corsi formativi. Pro-

poniamo che i migliori docenti del Paese dedichino alcuni anni ad inizio

carriera ad insegnare nelle scuole delle aree di crisi complesse. Ogni do-

cente selezionato dovrà poi seguire un corso di formazione breve creato specificatamente per questo programma. Oltre ad un riconoscimento di merito, i docenti selezionati per insegnare nelle aree di crisi complesse

1 Non siamo in possesso di informazioni fondamentali per stimare i costi di queste misure, quali il numero di istituti in aree di crisi, l’organico necessario a coprire il conseguente aumento di classi e gli interventi edilizi necessari

102


avrebbero accesso ad uno stipendio più alto di quanto riceverebbero nelle altre scuole. Inoltre, lo Stato coprirebbe i costi di vitto e alloggio oltre

ad offrire delle agevolazioni per i trasferimenti (es. copertura dei costi viaggio per tornare nelle città di residenza). Questa proposta è comple-

mentare alla proposta 3.7.2 “Docenti migliori nelle aree di crisi sociale complessa”.

Proposta 2.2.6.3

Più insegnanti nelle aree di crisi complesse.Ridurre il numero degli stu-

denti per classe porta ad un aumento del tempo che ciascun docente riesce a dedicare al singolo studente, comportando in molti casi un sensibile miglioramento dell’attività didattica dovuto ad una maggiore personalizzazione dei processi di apprendimento. Benché sia difficile, se non impossibile, identificare il numero ottimale di studenti per classe, la

ricerca suggerisce che per ottenere un miglioramento dell’attività didat-

tica la riduzione del numero di alunni deve portare a classi tra i 13 e i 17

alunni, non superando comunque i 202. Proponiamo di ridurre il numero

di studenti per classe a 15 nelle scuole primarie, dove i benefici sono più dimostrati, fino a un massimo di 18 nelle secondarie.

Proposta 2.2.6.4

Piani Studi innovativi e sperimentali per le aree di crisi complessa. Data la situazione emergenziale di crisi educativa e le specificità di ogni territorio, il programma di educazione nazionale potrebbe non essere il mi-

glior modello per lo sviluppo delle scuole delle aree di crisi. Proponiamo quindi di consentire maggiore autonomia nella sperimentazione della

didattica in queste scuole, garantendo nel contempo la qualità della

sperimentazione. Pensiamo infatti che, sulla falsa riga del Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile, e l’Osservatorio sui dati che lo accompagna, possano essere erogati bandi a enti di ricerca, enti del terzo settore e scuole stesse, che vogliano sperimentare programmi di contrasto alla dispersione in aree di crisi sociale complessa. La qualità sarà garantita da bandi erogati solo in presenza di sperimentazioni che

sottostiano a standard di ricerca internazionali (peer reviewed journals).

Se la valutazione dimostrerà un impatto positivo dei programmi, questi verranno presi come benchmark, promossi a livello nazionale e applicati alle altre aree di crisi educativa, sempre tenendo conto delle peculiarità delle singole scuole e assicurando autonomia alle scuole.

Proposta 2.2.6.5

Più dialogo con le famiglie. Il modello di scuola che vogliamo promuove-

re deve permettere a tutti i bambini di avere pari opportunità educative, sia nel tempo scuola che nel tempo dopo scuola. Non pretendiamo che

gli operatori scolastici abbiano la facoltà di intervenire nella vita privata dei ragazzi ma crediamo sia essenziale che siano al corrente della situazione familiare dei propri alunni nelle aree di crisi complesse. Non è raro

2 Progetto STAR, “What have researchers learned from project STAR?” di Diane Whitmore Schanzenbach (2007), “The Effectiveness of Class size Reduction” di William Mathis (2017)

103


che i contesti familiari in queste aree siano segnati da instabilità e pre-

carietà, caratteristiche che possono pesare sulla vita e sul rendimento scolastico dei figli. È importante che ci siano dei canali di comunicazione

tra le famiglie e l’istituzione scolastica, per aiutare i bambini e se neces-

sario anche le famiglie. Proponiamo quindi che in ogni scuola delle aree

di crisi complesse sia individuata una figura professionale incaricata di gestire i rapporti con le famiglie. A svolgere questo ruolo saranno delle persone qualificate per i servizi di assistenza sociale. In pratica, il rap-

porto tra il mediatore e i genitori si svilupperebbe con incontri mensili,

e comunicazioni settimanali. Il responsabile dei rapporti con le famiglie oltre a trasmettere il valore educativo, dovrebbe avere un’ottima conoscenza delle politiche di welfare in modo da poter aiutare le famiglie a richiedere sostegni quando necessario.

2.2.7 Valorizzare i docenti LA SITUAZIONE OGGI Qualunque discorso sulla scuola e sui NEET non può prescindere da un ragionamento sui docenti: sono loro la miglior garanzia della qualità

dell’insegnamento, il miglior presidio perché la scuola sia un diritto e

dia pari accesso a opportunità, la miglior garanzia per il futuro dei giovani. Motivare, formare e retribuire i docenti in linea con questo ruolo essenziale è una priorità assoluta se si vuole contrastare l’aumento dei

NEET. Essendo in maggioranza dipendenti pubblici, massimizzare il po-

tenziale dei docenti è nell’interesse di tutti, studenti in primis, e compito dello Stato.

Ad oggi, la situazione del corpo docente non è ottimale. I dati ci mostrano che:

1. I docenti italiani sono meno soddisfatti dei loro colleghi residenti in altri Paesi sviluppati, soprattutto per quanto riguarda il salario e la

considerazione che ha di loro la società. Solo il 21% dei docenti ita-

liani si dichiara appagato dal proprio stipendio e la percentuale di docenti che si ritiene apprezzato dalla società in Italia è stabile al 12% dal 2013.

104


Soddisfazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici

Risultati basati sulle risposte degli insegnanti e dei dirigenti della scuola secondaria di primo grado Italia

Media OCSE

% 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Insegnanti Insegnanti “d’accordo Insegnanti “d’accordo o molto o molto d’accordo” “d’accordo o molto d’accordo” che la che nel complesso d’accordo” di essere loro professione è sono soddisfatti soddisfatti del apprezzata nella del loro lavoro loro salario società

Dirigenti scolastici “d’accordo o molto d’accordo” di essere soddisfatti del loro salario

Fonte: OCSE

Insegnanti “d’accordo o molto d’accordo” di essere soddisfatti con i termini del loro contratto (a parte il salario)

Dirigenti scolastici “d’accordo o molto d’accordo” di essere soddisfatti con i termini del loro contratto (a parte il salario)

L’insoddisfazione salariale dei docenti italiani si concentra tra gli inse-

gnanti con più esperienza. Osserviamo infatti che il 48% dei docenti con

meno di 5 anni di esperienza si dichiara soddisfatto del proprio salario, in

linea con la media OCSE, ma la percentuale scende al 14% per i docenti con più di cinque anni di insegnamento (contro media OCSE del 38%). Questo tipo di calo si registra in tutti i sistemi educativi caratterizzati,

come quello italiano, da una scala salariale relativamente piatta. Come mostra il grafi co seguente, realizzato prima della Buona Scuola, si per-

cepisce l’appiattimento dei salari italiani rispetto a quelli inglesi. Infatti, in Italia gli aumenti salariali seguono unicamente un criterio di anzianità e,

soprattutto, manca un qualsiasi sistema volto a ricompensare i docenti più meritevoli. Non siamo provvisti né di indicatori sulla performance indi-

viduale, né di un sistema di controllo esterno per valutare gli insegnanti. Le

valutazioni sono spesso ritenute utili dai docenti. Infatti, l’83% (media OCSE) dei docenti che hanno ricevuto una valutazione considerano che essa ri-

fl etta effettivamente la loro performance e il 78% ritiene che la valutazione li abbia aiutati nel loro sviluppo professionale.

Lo stipendio dei docenti Italiani cresce molto meno di quello dei loro colleghi britannici Differenza scala salariale Italia - Regno Unito Stipendio annuale in euro 45.000 45.000 40.000 40.000 35.000 35.000 30.000 30.000 25.000 25.000 20.000 20.000 15.000 15.000 25 25

27 27

29 29

31 31

33 33

35 35

37 37

39 39

41 41

43 43

45 45

47 47

49 49

51 51

53 53

55 55

57 57

59 59

61 61

63 63

65 65

Età docente

Insegnante elementare Docente laureato Ist. sec II grado Gran Bretagna (progressione regolare) Insegnante elementare Docente laureato Ist. sec II grado Gran Bretagna (progressione regolare) Gran Bretagna (solo main scale) Gran Bretagna (main and upper scale) Gran Bretagna (solo main scale) Gran Bretagna (main and upper scale)

Fonte: LaVoce.info

105


2. I docenti sono abbandonati a loro stessi, non adeguatamente for-

mati per far fronte a una didattica complessa, soprattutto in scuole bisognose.

Per partecipare ai concorsi nazionali per insegnare nelle scuole se-

condarie di I e II grado in Italia, oltre a conseguire un titolo di secondo livello universitario nella facoltà relativa alla classe di concorso in cui

si desidera insegnare, si devono acquisire solo 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche ed in metodologie e tecnologie didattiche. Una volta assunti, per essere confermati è necessario completare con successo un periodo annuale di formazione e prova. Questo percorso non è specificamente dedicato alla professione dell’insegnamento,

come invece avviene per le scuole primarie, e non prevede nessuna attività di tirocinio nelle scuole. L’anno di prova infatti risulta quasi sempre in una mera formalità, avvenendo dopo l’abilitazione e l’as-

sunzione in prova. Il risultato è che mentre i docenti italiani sono mediamente ben preparati nelle materie di insegnamento, non hanno una sufficiente preparazione all’insegnamento come professione.

3. Il corpo docenti italiano è il più vecchio d’Europa. Solo l’1% dei docenti

ha meno di trent’anni e poco più del 40% ne ha meno di cinquanta. Più della metà degli insegnanti italiani, quindi, ha più di cinquanta o

sessanta anni. La media di insegnanti con più di 50 anni in Europa è del 37%, mentre in Italia, considerando il liceo, la stessa percentuale arriva addirittura al 63%.

Il sistema di reclutamento è infatti poco attrattivo per i giovani. È difficile prevedere le aperture dei concorsi, passarli non assicura l’as-

sunzione e in caso di assunzione è estremamente difficile sfuggire al

precariato. Basti pensare che l’86% degli insegnanti con meno di 30 anni ha un contratto dalla durata inferiore all’anno e che, ad inizio anno scolastico, il 20% delle cattedre sono sistematicamente vacanti. È

difficile impegnarsi nell’insegnamento con queste scarse prospettive di carriera e, soprattutto, con la consapevolezza che la scuola dove si insegna è destinata con ogni probabilità a cambiare più volte.

In Italia pochi docenti under 30 Percentuale di docenti under 30, 2018 15 12 9 6

Fonte: OCSE

106

Grecia

Portogallo

Italia

Lituania

Spagna

Ungheria

Polonia

Slovenia

Finlandia

Germania

Svezia

Rep. Ceca

Estonia

Lettonia

Slovacchia

Francia

Danimarca

Austria

Lussemburgo

Irlanda

Belgio

0

Paesi Bassi

3


In Italia record di docenti over 50 Percentuale di docenti over 50, 2018 60 50 40 30 20

Irlanda

Belgio

Polonia

Francia

Slovenia

Spagna

Danimarca

Lussemburgo

Fonte: OCSE

Slovacchia

Svezia

Finlandia

Paesi Bassi

Ungheria

Germania

Portogallo

Austria

Rep. Ceca

Lettonia

Estonia

Lituania

Grecia

0

Italia

10

LE NOSTRE PROPOSTE: Per ovviare a questi problemi proponiamo di agire su due versanti: in primis, aumentando i salari dei docenti e portandoli in linea con quelli

dei nostri partner europei; al contempo, legando questi aumenti a una valutazione di merito che incorpori valutazioni individuali, scolastiche e formative.

Proposta 2.2.7.1

Portare gli stipendi a livelli europei, garantire la qualità dell’insegna-

mento. Vogliamo aumentare il salario dei docenti, portandolo in linea

coi partner europei, ma dando scatti salariali più alti di quelli attuali ai docenti migliori. Gli scatti di anzianità verranno quindi sostituiti da scat-

ti di merito che dipenderanno da una valutazione complessiva del loro lavoro, che riceveranno ogni 3 anni alla fine dell’anno scolastico. La valutazione è composta da 3 parti qui elencate:

1. Una valutazione individuale composta da tre ispezioni esterne, integrate con un controllo del dirigente scolastico e un questionario sottoposto agli studenti, sul modello del sistema di valutazione francese.

a. Le tre ispezioni esterne, una all’anno per tre anni, sono svolte rispet-

tivamente da tre ispettori provenienti da una regione diversa da

quella dell’istituto. La data dell’ispezione è scelta casualmente e consiste nell’osservazione di due lezioni, tre se ritenuto necessario dagli ispettori, e un colloquio individuale con il docente. Gli ispettori

devono essere dotati di una preparazione accademica adeguata

(es. laurea in valutazione delle organizzazioni/della performance) e svolgere un esame di Stato abilitante.

b. Il dirigente scolastico si limita a controllare il rispetto del regola-

mento dell’istituto e delle pratiche di condotta generale, informando adeguatamente gli ispettori.

107


c. Il questionario degli studenti ha due funzioni. La prima è segnalare agli ispettori particolari criticità o aspetti positivi percepiti colletti-

vamente dalla classe. La seconda è incentivare iniziative extra didattiche da parte del docente, che sarebbero inserite nel questionario e propriamente considerate dagli ispettori.

2. A integrazione della valutazione individuale, sarà anche considerata la partecipazione ai corsi di formazione. Gli esiti delle valutazioni si innalzeranno con il numero degli attestati di partecipazione e dei

risultati di un docente ai corsi di aggiornamento e di formazione permanente.

3. Una valutazione dell’istituto: viene mantenuto il Sistema di Valutazione Nazionale (SNV), che deve però coprire tutti gli istituti. Rientrando nella

valutazione del docente, si crea un incentivo perché i docenti, insieme, concorrano al miglioramento della loro scuola, evitando quindi di cre-

are un sistema perverso di competizione individuale a scapito della scuola.

La valutazione complessiva sarà composta per il 65% dalla valutazio-

ne individuale, partecipare e superare i corsi di formazione influirà per

il 20% e la valutazione dell’istituto concorrerà per il 15%. La valutazione individuale potrà essere positiva, intermedia o standard, comportando

uno scatto salariale annuo rispettivamente di 3.000€, 2.200€ e 1.500€. Si vengono così a creare tre diverse scale salariali che riflettono il merito

del singolo docente. Per rafforzare ulteriormente il sistema di valutazione

e per evitare che, nel tempo, vi siano troppe valutazioni negative o positive, le valutazioni dovranno rispettare la seguente distribuzione: solo il

15% dei docenti, su scala nazionale, potrà ricevere un giudizio positivo, il 55% intermedio e il restante 30% standard.

Per non creare disparità di trattamento il nuovo sistema si applicherà

al singolo docente non appena avrà compiuto lo scatto di anzianità a cui è più prossimo. È da notare che con questo sistema aumenteranno gli stipendi di tutti i docenti rispetto al mantenimento dello status-quo. Lo stipendio resterà approssimativamente uguale ad oggi solo per gli

insegnanti che riceveranno valutazioni standard durante tutta la loro

carriera. La pagina 110 illustra la stima dei costi, che si assesta intorno ai 3,4 miliardi totali.

Costo stimato degli ispettori: circa 130 milioni di euro, considerando una necessità di almeno 2.000 ispettori [insegnanti/(giorni di scuola x 2 inse-

gnanti da ispezionare al giorno)] con stipendio mensile di 5.000 € per 13 mensilità. Sono da aggiungere spostamenti, vitto e alloggio da pagare con rimborso spese, la cifra dipenderà dalla distanza dello spostamento e dalla permanenza nella regione, potremmo prevedere un tetto massimo di 100€ giornalieri esclusi week-end per un massimo di 2.000€ al mese, non forfettario. Arriveremo così ad un massimo di 40 milioni).

108


MODELLO FRANCESE DI PAY-FOR-PERFORMANCE In Francia docenti sono sottoposti ad una doppia

La prima vale 60 punti, la seconda 40, per un totale

valutazione. La prima è sulla didattica, effettuata da

massimo di 100 che misura il valore professionale di

un ispettore competente ogni 6/7 anni, consistente

ciascun insegnante e gli permette di far valere i suoi

nell’osservazione di una sequenza didattica, seguita da

diritti in materia di avanzamento di scaglione. Di fatto,

un colloquio individuale con l’insegnante. La seconda

le diverse tappe della progressione di carriera degli

è amministrativa ed è effettuata ogni anno dal capo

insegnanti (promozione di scaglione, di grado, o di

d’istituto, in base a criteri quali l’assiduità, la puntualità,

corpo) si basano tutte, più o meno in larga misura, su

l’autorità e l’ascendente sugli alunni e sui colleghi.

questo voto.

Proposta 2.2.7.2

Incentivo agli insegnanti nelle aree di crisi complessa. Un docente che ottiene una valutazione positiva per due tornate valutative consecuti-

ve può decidere di trasferirsi in un’area di crisi sociale complessa. Se si trasferisce, i due scatti salariali successivi saranno aumentati del 50%. Il

suo stipendio sarà aumentato di €2.250 in caso valutazione standard, €3.300 in caso di valutazione media e €4.500 in caso di valutazione

alta. In seguito, gli scatti torneranno all’ammontare normale. In questo modo si crea un incentivo economico, per i docenti migliori a trasferirsi

per un minimo di tre anni in aree di crisi complessa. Questa proposta è complementare alle proposte per le Aree di Crisi Complessa.

Proposta 2.2.7.3

La formazione dei nuovi insegnanti. Proponiamo di rivedere il percor-

so formativo degli insegnanti delle scuole secondarie per uniformarle

a quelle delle scuole elementari prevedendo quindi la scelta di diventare insegnante già al termine della laurea triennale. Alla fine del percorso di laurea triennale disciplinare, gli studenti potranno decidere di

seguire il percorso di formazione di insegnante con dei corsi di laurea magistrale specificamente dedicati alla didattica delle varie discipline; tali corsi, di carattere fortemente professionalizzante, dovrebbero fornire una formazione pedagogica e relazionale orientata alla didattica, integrata da consistenti attività di tirocinio sul campo (vedi pro-

posta successiva). Il modello di formazione parallela, anche chiamato “concurrent”, in cui si intrecciano formazione accademica e formazio-

ne professionale, è molto diffuso in Europa. Alla fine del percorso for-

mativo sarà possibile iscriversi ad un albo nazionale degli insegnanti

dal quale si attingerà per i concorsi che porteranno all’assunzione. In questo modo, gli insegnanti saranno selezionati tra un gruppo di gio-

vani motivati ad intraprendere questa carriera professionale, che hanno seguito un percorso di studi con questo obiettivo.

109


Stima dei costi per docenti della scuola secondaria AUMENTO PER SCATTO SCATTI

ANZIANITÀ

STANDARD

STIPENDI PER SCATTO MEDIO

ALTO

STANDARD

QUOTA DI SCATTI VALUTATIVI MEDIO

ALTO

STANDARD

0

0

€ 34.400

€ 34.400

€ 34.400

30%

1

3

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 35.900

€ 36.600

€ 37.400

30%

2

6

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 37.400

€ 38.800

€ 40.400

30%

3

9

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 38.900

€ 41.000

€ 43.400

30%

4

12

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 40.400

€ 43.200

€ 46.400

30%

5

15

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 41.900

€ 45.400

€ 49.400

30%

6

18

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 43.400

€ 47.600

€ 52.400

30%

7

21

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 44.900

€ 49.800

€ 55.400

30%

8

24

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 46.400

€ 52.000

€ 58.400

30%

9

27

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 47.900

€ 54.200

€ 61.400

30%

10

30

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 49.400

€ 56.400

€ 64.400

30%

11

33

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 50.400

€ 58.600

€ 67.400

30%

12

36

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 52.400

€ 60.800

€ 70.400

30%

TOTALE Fonte: Rielaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT e Ragioneria di Stato

Stima dei costi per docenti della scuola primaria AUMENTO PER SCATTO SCATTI

STIPENDI PER SCATTO

QUOTA DI SCATTI VALUTATIVI

ANZIANITÀ

STANDARD

MEDIO

ALTO

STANDARD

MEDIO

ALTO

STANDARD

0

0

€ 31.900

€ 31.900

€ 31.900

30%

1

3

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 33.400

€ 34.100

€ 34.900

30%

2

6

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 34.900

€ 36.300

€ 37.900

30%

3

9

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 36.400

€ 38.500

€ 40.900

30%

4

12

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 39.700

€ 40.700

€ 43.900

30%

5

15

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 39.400

€ 42.900

€ 46.900

30%

6

18

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 40.900

€ 45.100

€ 49.900

30%

7

21

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 42.400

€ 47.300

€ 52.900

30%

8

24

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 43.900

€ 49.500

€ 55.900

30%

9

27

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 45.400

€ 51.700

€ 58.900

30%

10

30

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 46.900

€ 53.900

€ 61.900

30%

11

33

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 48.400

€ 56.100

€ 64.900

30%

12

36

€ 1.500

€ 2.200

€ 3.000

€ 49.900

€ 58.300

€ 67.900

30%

TOTALE Fonte: Rielaborazione Centro Studi Azione su dati ISTAT e Ragioneria di Stato

110


MEDIO

ALTO

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

MEDIO

ALTO

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

55%

15%

DISTR. DOCENTI

NUOVI COSTI (MN) STANDARD

MEDIO

ALTO

TOTALE

VECCHI COSTI (MN)

DIFFERENZA (MN)

2,8%

€ 150

€ 281

€ 78

€ 509

€ 480

€ 29

22,4%

€ 1.327

€ 2.582

€ 751

€ 4.460

€ 4.319

€ 341

20,4%

€ 1.300

€ 2.598

€ 775

€ 4.673

€ 4.342

€ 331

22,8%

€ 1.555

€ 3.178

€ 969

€ 5.702

€ 5.313

€ 389

26,7%

€ 1.940

€ 4.043

€ 1.254

€ 7.238

€ 6.745

€ 493

4,9%

€ 378

€ 801

€ 252

€ 1.431

€ 1.295

€ 136

497,892

€ 6.649

€ 13.483

€ 4.080

€ 24.212

€ 22.494

€ 1.719

STANDARD

MEDIO

ALTO

TOTALE

VECCHI COSTI (MN)

DIFFERENZA (MN)

3,9%

€ 111

€ 208

€ 58

€ 376

€ 353

€ 23

15,9%

€ 503

€ 983

€ 287

€ 1.773

€ 1.584

€ 189

22,0%

€ 752

€ 1.511

€ 453

€ 2.717

€ 2.410

€ 306

28,7%

€ 1.054

€ 2.168

€ 665

€ 3.888

€ 3.364

€ 523

19,8%

€ 778

€ 1.632

€ 509

€ 2.919

€ 2.529

€ 390

9,6%

€ 402

€ 857

€ 271

€ 1.530

€ 1.281

€ 250

283,827

€ 3.600

€ 7.359

€ 2.244

€ 13.203

€ 11.521

€ 1.682

DISTR. DOCENTI

NUOVI COSTI (MN)

111


Proposta 2.2.7.4

Più tirocini per i nuovi insegnanti. I tirocini nelle scuole per gli insegnanti

delle scuole secondarie, previsti con la proposta precedente, avranno

un ruolo importante per la formazione perché permetteranno ai fu-

turi insegnanti di avere un’esperienza professionale. Si svolgeranno in scuole attrezzate a tale funzione, dotate di insegnanti esperti ai quali sarà istituzionalmente attribuito un ruolo di tutor dei tirocinanti. Tali insegnanti avrebbero anche un ruolo importante del coordinamento

fra università e scuole come richiesto dal modello concurrent citato precedentemente come modello di riferimento per la formazione dei

docenti della scuola secondaria. Questa proposta presuppone l’istituzione di percorsi di carriera per gli insegnanti, fra cui un percorso che conduca al ruolo di tutoraggio dei candidati all’insegnamento.

Proposta 2.2.7.5

Tempi certi per i concorsi. Le proposte precedenti sulla formazione dei docenti semplificherebbero molto la fase che conduce dalla laurea

all’assunzione, soprattutto se il processo di assunzione fosse programmato sul fabbisogno reale di docenti. Anche i corsi magistrali, citati pre-

cedentemente, saranno a numero stabilito sulla base di una programmazione periodica del fabbisogno di insegnanti nelle varie discipline. Per

la programmazione proponiamo un protocollo di intesa tra MIUR e Ragioneria Generale dello Stato finalizzato a mettere a sistema proiezioni

statistiche, andamenti demografici e parametri rilevanti per la previsio-

ne del fabbisogno reale di corpo docenti. In particolare, proponiamo di

considerare tutti i parametri considerati in Paesi come la Germania e la Finlandia, in ordine di importanza:

1. l’evoluzione del numero di insegnanti per livello di istruzione e materia

insegnata (incluso il numero di insegnanti prossimi all’età pensionabile e il tasso di pensionamento anticipato e/o di insegnanti che abbandonano la professione);

2. evoluzione del numero di studenti per livello di istruzione;

3. introduzione di riforme educative che modificano l’orario scolastico o introducono nuove materie;

4. tendenze demografiche generali;

5. residualmente, i tassi di disoccupazione e il tasso di emigrazione.

112


113


114


NEXT GENERATION ITALIA 3. Donne

115


3.0 Executive Summary Le disparità di genere hanno radici profonde che originano da disu-

guaglianze sociali e economiche e si riversano in una diseguale distribuzione delle opportunità tra donne e uomini. Nascono nelle famiglie,

maturano durante l’infanzia, si consolidano a scuola, si perpetuano

all’università e si cementano nel mercato del lavoro. Per esempio, sappiamo che sin dall’infanzia alle bambine viene spesso ancora offerto

un modello femminile che ricalca i ruoli ricoperti dalle donne in passato. Numerose ricerche e i riscontri empirici ci dicono che proporre questo tipo di modello dedito all’accudimento famigliare invece che

proteso all’indipendenza economica e al raggiungimento delle proprie ambizioni, disincentiva le bambine a frequentare facoltà scientifiche.

Non sorprende quindi che, nonostante le donne laureate siano più degli

uomini, le studentesse iscritte alle materia STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono pochissime, come le donne che lavorano in questi settori1. Ma parlare solo di STEM è sottostimare il problema:

le differenze di genere sul lavoro in Italia sono tra le più alte in Europa. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro femminile è pari al 56,5% in Italia, ultimo in Europa; per fare un esempio, la Francia, è 12 punti per-

centuali sopra, la Germania 18. Numerose anche le donne disoccupate: il tasso di disoccupazione femminile nel 2019 era all’11,3%, contro il

9,3% degli uomini2. E anche quando lavorano, le donne sono schiacciate

ai margini del mercato del lavoro: in maggioranza lavorano part time,

spesso non volontario, o in contesti precari; e pochissime raggiungono

i vertici. Inoltre, per quanto sia complesso calcolare il divario salariale

tra uomini e donne in Italia, sappiamo che le donne guadagnano meno 1 Da dati ISTAT

2 Da dati Eurostat

116


degli uomini a parità di posizione lavorativa. Secondo gli studi, in Italia è

come se le donne lavorassero tutto l’anno ma cominciassero a guadagnare da metà febbraio, e non da inizio anno come i colleghi uomini3.

Poche donne nel mercato del lavoro...

...e ai vertici...

Partecipazione femminile al mercato del lavoro (%, 15-64 anni)

Percentuale femminile dei manager, 2018

%

%

80

50

70 40

60 50

30

40 20

30 20

Fonte: OCSE

Corea

Giappone

Olanda

Danimarca

Italia

Germania

Spagna

OCSE

Francia

Gran Bretagna

Italia

Corea

OCSE

Francia

USA

Spagna

Giappone

Austrialia

Gran Bretagna

Gemania

Danimarca

Olanda

0

Austrialia

0

USA

10

10

Fonte: OCSE

... e molte rimangono ai margini del mercato del lavoro senza volerlo Tasso di occupate in part-time non volontario, 2018 % 20

15

10

5

% USA

Germania

Olanda

Danimarca

OCSE

Gran Bretagna

Fonte: OCSE

Giappone

Francia

Australia

Spagna

Italia

0

Il lavoro femminile, già in situazione critica, è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria. L’occupazione femminile si concentra in set-

tori a medio e alto rischio rispetto all’esposizione al virus o per prossimità al virus stesso (assistenza sanitaria e di cura, istruzione, etc…) o in settori

più colpiti dal virus (turismo, commercio, etc...). Inoltre, con la modalità di

lavoro da casa e la chiusura delle scuole è aumentato lo squilibrio degli impegni domestici e familiari, tradizionalmente a carico delle donne. Ci-

tiamo per esempio il fatto che il Congedo Covid (congedo indennizzato per astenersi dal lavoro durante il periodo di quarantena del figlio) è stato richiesto da donne nel 76% dei casi4.

3 Stima di Job Pricing 4 Da Il Sole 24 Ore

117


Questi dati, drammatici, non raccontano episodi isolati, ma un gap sistemico e sistematico che non è più tollerabile. Per due motivi. Innanzi-

tutto, la parità di genere è un diritto umano e universale. Perseguirlo è

un dettato costituzionale. Ma non solo: raggiungere la parità di genere e integrare pienamente le donne nel tessuto economico e sociale del Pa-

ese darebbe una spinta propulsiva che ha pochi precedenti. Secondo la

Banca d’Italia, se l’occupazione femminile raggiungesse il 60%, il PIL crescerebbe di 7 punti percentuali1. E per di più queste stime non tengono

conto dell’arricchimento culturale e innovativo che una piena partecipazione delle donne darebbe al nostro Paese.

Le proposte per raggiungere la parità di genere incluse nel Piano di Rilancio e Resilienza del passato Governo si concentrano sul creare asili nido. Dal nostro punto di vista questa proposta è molto parziale e, stando alla ricerca, inefficace. Studi dimostrano2

3

infatti che la maternità è

sì la causa principale delle differenze di genere, ma creare servizi per la prima infanzia non ha un effetto significativo sul gender gap nel merca-

to del lavoro. Ovvero, senza un intervento per le donne, per la loro carriera, il loro salario e per le pari opportunità saremo sempre lontani dall’ottenere la giusta parità.

Per raggiungere questo obiettivo ed eliminare la disparità di genere, servono azioni più profonde che incidano lungo tutto l’arco di vita di

una donna, correggendo le disuguaglianze strutturali e garantendo loro una scelta autonoma e libera.

Per farlo secondo noi servono: 1

congedi di genitorialità che equiparino uomo e donna, senza i quali le

aziende preferiranno sempre assumere uomini, a parità di competenze.

per favorire il ritorno delle donne nel marcato del lavoro dopo la

2

3

4

5

strumenti di promozione dell’occupazione femminile, in particolare maternità.

trasparenza obbligatoria nelle retribuzioni e negli organici, per conoscere dove si annidano le disuguaglianze e combatterle.

percorsi di eradicazione degli stereotipi di genere nelle scuole, nelle università e nelle aziende.

un fortissimo potenziamento della rete antiviolenza e delle case

rifugio che agisca non solo da organismo reattivo, ma preventivo,

attraverso un aumento delle sue strutture, del suo personale e della conoscenza con campagne di informazione coordinate.

6 introduzione di corsi di educazione sessuale, che includano anche

nozioni relative alla parità di genere, in tutte le scuole pubbliche del territorio italiano.

1 Half of it - Lettera al Governo (2020)

2 Children and Gender Inequality: Evidence from Denmark, Henrik Kleven, Camille Landais e Jakob Egholt Søgaard, 2019 3 Do family policies Reduce Gender inquality? Evidence from 60 years of policy experimentation, H.Kleven, C.Landais, J.Posch, A.Steihauer, J.Zweimüelle, 2021

118


Donne: stima dei costi delle nostre proposte PROPOSTA #

DESCRIZIONE

SPESE CORRENTI INVESTIMENTI

TEMPORANEE

PERMANENTI

TOTALE (milioni di euro)

Congedi 3.1.1

Congedo parentale iniziale

600

600

3.1.2

Congedo parentale complementare

800

800

3.1.3

Estendere la riforma dei congedi a tutti i lavoratori

415

415

3.1.4

Congedi nei casi di interruzione spontanea o terapeutica

24

24

3.1.5

Voucher di formazione per genitori

120

120

3.600

3.600

Promozione dell’occupazione femminile 3.2.1

Incentivi post maternità

3.2.2

Incentivi post pandemia

--

Trasparenza 3.3.1

Obbligo di trasparenza su retribuzioni, organici e promozioni

3.3.2

Incentivo per raggiungere l’equità salariale

-1.500

1.500

Stereotipi di genere 3.4.1

--

Contrasto agli stereotipi di genere nell’insegnamento

3.4.2

Role model femminili

3.4.3

Incentivi per frequenza a facoltà sottorapresentate

-295

295

Potenziamento delle reti anti violenza 219

219

3.5.1

Potenziamento della rete dei Centri Anti Violenza

3.5.2

Potenziamento della rete dei Centri Anti Violenza

3.5.3

Formazione delle forze dell’ordine

--

3.5.4

Prevenzione e coordinamento nazionale

--

3.5.5

Fondo per le campagne di prevenzione

30

1

30

1

Educazione sessuale e relazionale 3.6.1

Programma di educazione sessuale e relazionale nelle scuole

1

1

3.6.2

Gruppi di sostegno per le giovani madri

2

2

7.093

7.607

Totale proposte

219

295

Nota: i costi stimati nel documento sono da intendersi come indicativi: possiamo solo stimare i costi usando dati pubblici e fonti online. Inoltre abbiamo stimato le spese solo delle principali misure, prevedendo che le misure senza stima corrispondano a spese minori.

119


3.1 Riforma dei congedi di genitorialità LA SITUAZIONE OGGI

Attualmente, in Italia le donne beneficiano di un congedo obbligato-

rio di cinque mesi retribuito all’80%. Gli uomini, invece, beneficiano di un congedo obblilgatorio di soli 10 giorni, retribuiti al 100%, da usufruire entro e non oltre il 5º mese di vita del bambino. Dopodiché entrambi

i genitori possono prendere un periodo di congedo facoltativo per ulteriori 10 mesi, che diventano 11 se il padre usufruisce di almeno 3 me-

si di congedo. Il congedo parentale è retribuito al 30% del reddito1 fino

agli 8 anni del figlio mentre tra gli 8 e 12 anni il congedo è valido sen-

za indennità.

Finché la legislazione rimarrà tale, sarà difficile raggiungere la parità di genere, e questo per due motivi: 1) se la durata del congedo ob-

bligatorio rimane così diversa tra uomo e donna, le imprese saranno sempre incentivate a assumere uomini e non donne, a parità di

competenze; 2) la legge già sottende una discriminazione, portando il compenso dell’uomo al 100% e quello della donna all’80%. Inoltre, offre un sostegno limitato, pari a solo il 30% del reddito, per coloro che chiedono il congedo parentale.

Le lavoratrici autonome hanno diritto ad un congedo maternità di 5 mesi retribuito all’80% del reddito giornaliero. Le lavoratrici parasubordi-

nate o libere professioniste beneficiano di congedi di maternità ugua-

li a quelli previsti per le lavoratrici dipendenti. Per le lavoratrici para-

subordinate il congedo maternità è obbligatorio mentre per le libere professioniste non sussiste l’obbligo di astensione dall’attività. L’indennità prevista per i congedi maternità di lavoratrici autonome, parasu-

bordinate e libere professioniste è pari all’80% del reddito medio gior-

1 Contratti Nazionali del Lavoro possono prevedere una percentuale di rimborso maggiore.

120


naliero. L’indennità è riconosciuta se la lavoratrice è in regola con il pagamento dei contributi.

Le lavoratrici autonome, parasubordinate e libere professioniste hanno diritto a congedi parentali più brevi e non hanno giorni di riposo per

l’allattamento. Infatti sono 3 i mesi di congedo parentale, da usufruire entro il primo anno di vita del figlio. Il congedo parentale per queste

categorie di lavoratrici è di 3 mesi da usufruire entro l’anno di vita del bambino coperto al 30% del reddito giornaliero. Il requisito di contributi è valido anche per l’indennità del congedo parentale che è pari al 30% dell’ultima retribuzione

Per quanto riguarda i padri lavoratori parasubordinati, liberi professio-

nisti o autonomi, essi possono usufruire del congedo di paternità retri-

buito all’80% per i periodi non fruiti dalla madre. Non si applica invece

il congedo di paternità obbligatorio per legge della durata di 10 giorni previsto per i padri lavoratori dipendenti.

Si differenzia invece il congedo parentale. Per lavoratori parasubordinati e liberi professionisti, esiste la possibilità di avvalersi del congedo

di 3 mesi al 30% della retribuzione, ma solo per i periodi non fruiti dalla madre e solo se si sono già avvalsi del congedo di paternità; mentre i padri lavoratori autonomi non ne hanno diritto2.

Per questo molti Paesi, tra cui ad esempio i Paesi del nord Europa, il Portogallo e la Corea, si sono mossi per bilanciare i congedi per donna e

uomo, in termini di reddito e tempo, in modo da incentivare la coppia a

una condivisione del tempo di congedo parentale e rimuovere alla base lo stereotipo che sia la donna a doversi occupare dei figli.

I congedi per i padri sono poco valorizzati in Italia Settimane di congedo riservate i padri 60 50 40 30 20

Malta

Olanda

Cile

Grecia

Turchia

Messico

Ungheria

Republica Ceca

Italia

Cipro

Lettonia

Regno Unito

Irlanda

Fonte: OCSE

Polonia

Estonia

Danimarca

Bulgaria

Australia

Lituania

Spagna

Slovenia

Romania

Eu average

Media ocse

Austria

Croazia

Germania

Finlandia

Islanda

Norvegia

Svezia

Belgio

Lussemburgo

Francia

Portogallo

Giappone

0

Corea

10

2 Tutti le informazioni e i dati relativi ai congedi per lavoratori autonomi, parasubordinati e liberi professionisti sono stati ripresi dal sito dell’INPS.

121


LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 3.1.1

Prolungare il congedo iniziale per i padri. Proponiamo un congedo parentale che sia composto da un congedo riservato alla madre e un

congedo riservato al padre. Questo, che chiamiamo congedo parentale iniziale, dev’essere fruibile entro il primo anno di vita del figlio, con-

giuntamente o separatamente. Il congedo è diviso come segue:

• 20 settimane di congedo obbligatorio riservate alla madre ripren-

dendo la stessa struttura dell’attuale congedo maternità;

• 20 settimane di congedo riservate al padre di cui 4 sono obbligatorie e 16 facoltative.

Le settimane di congedo riservate alla madre e quelle riservate al pa-

dre possono essere usate in contemporanea. Per entrambi i genitori il congedo parentale iniziale è retribuito all’80%.

Rispetto alla situazione attuale, questa proposta mantiene il congedo maternità così com’è ma modifica il congedo paternità: diminuendo la

quota di retribuzione del congedo, allungando il periodo messo a di-

sposizione e rendendolo in parte obbligatorio e in parte facoltativo. Per entrambi i congedi di genitorialità proponiamo la copertura dell’indennità da parte dello Stato al fine di equiparare per le imprese i costi dei

congedi di maternità e paternità.

Proposta 3.1.2

Un nuovo congedo complementare per riequilibrare i ruoli all’interno della famiglia. Oltre al congedo iniziale, necessario per seguire i primi me-

si di vita del bambino, proponiamo ai genitori un periodo di congedo parentale facoltativo fruibile fino ai 12 anni di vita del bambino. Questo con-

gedo parentale complementare è composto da 3 parti: • 12 settimane per la madre • 12 settimane per il padre

• 12 settimane bonus ottenibili se e solo se sia la madre sia il padre

hanno esaurito interamente i loro periodi di congedo facoltativo. Queste 12 settimane bonus possono essere divise tra madre e padre come preferito dai genitori e possono essere prese congiuntamente (se i genitori vogliono usare tutto il congedo bonus simultaneamente avranno quindi a disposizione 6 settimane ognuno).

Il congedo parentale complementare è retribuito al 60% del reddito per entrambi i genitori.

122


Sommando i due congedi: • Per la madre sono disponibili 11 mesi di congedo circa, di cui 5 all’80% e fino 6 al 60% del reddito. Rispetto al sistema vigente, quello proposto sostanzialmente aumenta la retribuzione del congedo facoltativo da 30 a 60%. • Per il padre, viceversa, sono disponibili fino a 11 mesi di congedo, di cui i primi cinque all’80% e i restanti al 60%. Rispetto al sistema vigente, la nostra proposta aumenta il congedo obbligatorio, portandolo a un mese, e incentiva la condivisione con congedo di maternità, distribuendo più equamente il congedo tra i due genitori. Il diagramma a seguire è un paragone tra la copertura temporale dei con-

gedi come previsti dalla legge attuale e quella dei congedi da noi proposti.

Congedo iniziale, entro 1° anno Oggi Donna 5 mesi obbligatori all’80%

Uomo 10 giorni obbligatori al 100%

La nostra Proposta Donna 5 mesi obbligatori all’80%

Uomo 1 mese obbligatorio all’80%

Uomo 4 mesi facoltativi all’80%

Congedo parentale complementare, entro i 12 anni Oggi 10 mesi facoltativi al 30% 1 mese facoltativo se il padre prende almeno 3 mesi di congedo parentale La nostra proposta Donna 3 mesi facoltativi al 60%

Uomo 3 mesi facoltativi al 60%

3 mesi bonus se e solo se entrambi i genitori prendono i rispettivi 3 mesi facoltativi

Congedo totale Oggi 16 mesi e 10 giorni totali

La nostra proposta 19 mesi totali

123


Per le coppie che adottano un figlio alla nascita i congedi iniziali saran-

no sommati e saranno disponibili a entrambi i genitori indifferentemente, che potranno dividerli come preferiscono. I genitori potranno quindi usufruire di 40 settimane di congedo retribuiti all’80%, 24 obbligatorie e 16

facoltative. Ogni genitore non potrà utilizzare più di 20 settimane di congedo. I congedi parentali complementari resteranno invece uguali.

I genitori single, indipendentemente dal sesso, potranno usufruire di 20

settimane di congedo iniziale obbligatorio (come è nel nostro modello il congedo iniziale per la donna) retribuito all’80% e dell’intero ammontare del congedo complementare facoltativo, quindi fino ad un massimo di 36 settimane retribuite al 60%.

Costo: Attualmente, l’INPS rimborsa circa 1,4 miliardi di euro per congedi, di cui secondo le nostre stime circa 990 milioni per i congedi obbligatori e circa 410 per i facoltativi.

Le nostre proposte, il congedo parentale iniziale e il congedo parentale complementare, implicherebbe ovviamente un maggior costo a cari-

co dello Stato sia perché si innalza la quota di retribuzione per il congedo facoltativo rispetto all’attuale congedo parentale (dal 30% al 60%) sia

perché allunghiamo il periodo di congedo iniziale per il padre (con la no-

stra proposta si passa da 10 giorni obbligatori al 100% a 4 settimane obbligatorie e 16 facoltative all’80%). Stimando che i padri usufruiscano del

50% delle settimane facoltative all’80% del reddito, stimiamo il costo totale del congedo iniziale in 1,6 miliardi di euro all’anno, ovvero circa 600 milioni di euro aggiuntivi rispetto all’attuale congedo obbligatorio. Stimando inoltre che la domanda per le settimane di congedo complementare

aumentino del 50% rispetto alle attuali settimane di congedo facoltativo, stimiamo il costo totale del congedo complementare in circa 1,2 miliardi

di euro all’anno, ovvero circa 800 milioni di euro in più di quanto attual-

mente previsto per i congedi facoltativi. Il costo totale aggiuntivo della nostra misura sarà quindi di 1,4 miliardi di euro all’anno.

IL MODELLO COREA

124

In Corea, il congedo maternità è di 90 giorni,

i genitori di fruire di 1 anno di congedo entro gli 8 anni

di cui almeno 45 devono essere fruiti dopo il parto.

di vita del figlio, periodi individuali e non trasferibili.

Il congedo è retribuito al 100% del reddito dal datore

I primi tre mesi del congedo parentale sono retribuiti

di lavoro. Per alleggerire il costo alle PMI, le imprese

all’80% del reddito dopodiché la retribuzione è del 50%.

possono richiedere che sia l’Employment Insurance Fund

Se i genitori decidono di fruire del proprio congedo

a finanziare 60 dei 90 giorni del congedo. Il congedo

parentale in periodi diversi, i primi tre mesi sono retribuiti

paternità, fruibile entro il primo mese di vita del figlio,

al 100%. Quest’ultima variazione è stata introdotta

è di una durata compresa tra i 3 e i 5 giorni,

per incoraggiare i padri a fruire del congedo parentale

retribuiti dal datore di lavoro al 100% del reddito.

mettendo a disposizione benefici più generosi

Il congedo parentale permette invece a entrambi

se entrambi i genitori usano il periodo a disposizione.


IL MODELLO PORTOGALLO

In Portogallo esistono 3 tipi di congedi genitoriali: • Il congedo parentale iniziale (Licença Parental Inicial)

• Il congedo paternità (Licença Parental Inicial exclusiva do Pai), che si estende su 25 giorni

di 120 giorni retribuiti al 100% o di 150 giorni retribuiti

dei quali 15, sono obbligatori. Questo tipo

all’80%. Subito dopo il parto, la madre è obbligata

di congedo è retribuito al 100% del reddito.

a usufruire di 42 giorni del periodo di congedo

• Il congedo parentale complementare,

parentale iniziale (Licença Parental Inicial exclusiva

propone ulteriori 3 mesi facoltativi di congedo

da Mãe). Se vuole usufruire del congedo prima del

per ogni genitore. Se questi 3 mesi sono presi

parto può farlo per un periodo di massimo 30 giorni.

subito dopo il congedo parentale iniziale sono

Il restante dei giorni è condivisibile tra entrambi i

retribuiti al 25% del congedo iniziale, ma non

genitori. I genitori non possono usufruire del congedo

possono essere presi congiuntamente tra i due

congiuntamente. Sono previsti 30 giorni aggiuntivi da dividere se entrambi usufruiscono di almeno un

genitori. Invece, se i genitori preferiscono usufruire di questo congedo in un altro momento, non

periodo di 30 giorni consecutivi o di due periodi di

è retribuito ma possono usufruirne congiuntamente.

15 giorni consecutivi del congedo iniziale. I 30 giorni

Il congedo parentale complementare è disponibile

aggiuntivi possono essere divisi in modo che i genitori

fino ai 6 anni di età del bambino.

ne usufruiscono simultaneamente.

Proposta 3.1.3

Estendere la riforma del congedo a tutte le categorie di lavoratori. Alle lavoratrici e ai lavoratori autonomi, partite IVA e professionisti pro-

poniamo che sia riconosciuto un congedo equivalente a quello dei dipendenti, sia in termini temporali, che di obbligatorietà, che di inden-

nizzo, che sarà calcolato percentualmente sulla media degli ultimi tre redditi dichiarati.

Stima dei costi3: considerando l’attuale numero di lavoratori autonomi

e in gestione separata che già usufruiscono di congedi maternità, pa-

ternità e parentali, il costo aggiuntivo massimale per implementare la riforma dei congedi che proponiamo ammonta a circa 415 mln di euro.

3 La stima dei costi è stata realizzata usando i dati INPS del 2015 relativi al numero di lavoratori autonomi, parasubordinati e liberi professionisti che usufruiscono di congedi maternità, paternità e parentali. (https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=46863). Il reddito medio dei lavoratori autonomi è ripreso da documenti del MEF (https://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/comunicati/2020/documenti/comunicato_0083.pdf).

125


Proposta 3.1.4

Congedi nei casi di interruzione spontanea o terapeutica entro i primi

180 giorni di gravidanza. Secondo l’Istat, ogni anno in Italia ci sono circa 40 mila aborti spontanei4. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha

sottolineato l’importante ruolo del congedo in caso di aborto per preservare la salute psicofisica delle madri. Oggi in Italia le donne hanno

accesso solo al congedo per malattia in caso di interruzione sponta-

nea o terapeutica nei primi 180 giorni, ma non esiste quindi un congedo specifico per queste situazioni5. La malattia inoltre si rivolge unicamen-

te alle madri, mentre in un momento così delicato sarebbe opportuno

offrire ad entrambi i genitori la possibilità di astenersi dal lavoro. Proponiamo quindi un congedo di una settimana, disponibile per entram-

bi i genitori e retribuito al 100%, nei casi di interruzione spontanea o terapeutica entro i primi 180 giorni di gravidanza.

Stima dei costi: Considerando che oggi le donne hanno accesso al

congedo malattia in caso di interruzione spontanea o terapeutica, la stima dei costi aggiuntivi per questa proposta è di circa 24 mln di euro.

IN NUOVA ZELANDA, TRE GIORNI DI CONGEDO PARENTALE NEI CASI DI ABORTO SPONTANEO In Nuova Zelanda, tre giorni di congedo parentale nei

o durante il parto. Importante segnalare che la legge

casi di aborto spontaneo

di applica ad ogni momento della gravidanza e per

La nuova legge neozelandese prevede un congedo

entrambi i genitori. Il congedo non è invece valido in

pagato di 3 giorni per i genitori che vivono l’esperienza

caso di aborto volontario.

di un aborto spontaneo o di un nascituro morto prima

REGNO UNITO CONGEDI PARENTALI TRADIZIONALI E CONGEDI PARENTALI DI LUTTO In caso di aborto spontaneo o di morte del neonato

avranno diritto al periodo di congedo così come

alla nascita, la donna ha, secondo la legge britannica,

previsto. Non è invece garantita tutela se il periodo

diritto alla tutela completa prevista dai congedi

di congedo non era stato concordato in precedenza.

di maternità. Lo stesso ragionamento è valido per l’uomo

Nel caso di aborto la legge è poco chiara ma è poco

in caso di morte alla nascita del bambino.

probabile che sia concesso il congedo parentale

Il congedo paternità deve essere usato entro i 56 giorni

condiviso. Entro il primo anno dopo la morte del figlio,

dalla nascita. Se prima della morta del nuovo nato

entrambi i genitori hanno diritto ad un congedo

i genitori hanno informato lo Stato e il datore di lavoro

parentale di lutto di 2 settimane che può essere

di voler usufruire del congedo parentale condiviso,

retribuito.

4 Dati Istat al 2018, sono registrati i soli casi assistiti presso una struttura sanitaria.

5 Se l’interruzione avviene invece dopo il 180esimo giorno, essa viene considerata analoga al parto e pertanto la donna ha accesso al congedo di maternità.

126


Proposta 3.1.5

Voucher di formazione per i genitori che prendono un congedo. Ai genitori che decidono di seguire dei corsi di formazione durante il periodo di

congedo parentale, sarà concesso un rimborso fino a 500 euro. In questo modo, i congedi possono rappresentare un’opportunità di formazio-

ne per il lavoratore che deve assentarsi dal lavoro durante il periodo.

Assumendo che ci siano, in Italia, circa 400.000 nuovi nati all’anno e stimando che il 30% dei genitori fruirà del voucher (tasso simile alla formazione terziaria), la proposta costa all’incirca 120 milioni di euro a regime.

127


3.2 Strumenti di promozione dell’occupazione femminile 3.2.1 Incentivi post maternità LA SITUAZIONE OGGI

La maternità e la cura dei figli sono ancora dei fattori condizionanti per

la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Nel 2019, il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 34 anni era pari a 54,1% mentre per le

madri nella stessa fascia di età era solo il 32,5%. Questa differenza è ancora più evidente al Sud. Le donne non nubili tra i 25 e i 34 anni che hanno

dovuto interrompere l’attività lavorativa almeno una volta per la nasci-

ta dei figli sono il 16,2%, ma salgono quasi al 20% per le donne con tre figli1. Dimissioni/risoluzioni convalide distribuite per sesso. Anni 2011-2019. 40.000 35.000 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0

2011

2012

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

Donne

Fonte: Bilancio di Genere 2019

Uomini

1 ISTAT (2016)

128


Secondo i dati Inps, 1 donna su 5 lascia il proprio lavoro entro due anni dalla maternità. Le donne con contratti a tempo determinato e/o part-time hanno maggiore probabilità di lasciare il mercato del lavoro.

La figura 2 mostra cosa accade al reddito da lavoro di una donna nei

mesi precedenti e successivi alla nascita del figlio, ponendo a zero il red-

dito del mese precedente all’inizio del congedo di maternità: dopo il crol-

lo nei mesi di congedo obbligatorio (durante i quali l’Inps corrisponde un’indennità pari all’80% del salario), il ritorno a livelli di reddito simili a

quelli pre-maternità avviene solo dopo circa venti mesi. Ma rimane un gap sostanziale di circa il 35% rispetto ai salari potenziali in assenza di maternità. 2.000

1.500

1.000

500

0

-36

-30

-24

-18

-12

-6

0

6

12

18

24

30

36

42

48

Fonte: “The Labor Cost of Motherhood: is a shorter leave helpful?” di Enrica Maria Martino (2018).

Questo calo, che possiamo definire il “costo della maternità”2 riflette due

fenomeni:

1. da un lato, il 20% delle donne non rientra a lavorare ad un anno dalla

nascita del figlio;

2. dall’altro, per coloro che rientrano a lavoro, i salari si riducono del 12%.

Questo è dovuto a una riduzione delle ore lavorate: la probabilità di

la vorare con un contratto a tempo pieno, infatti, si riduce del 16%,

mentre in media i giorni lavorati diminuiscono del 5%. La penalità

reddituale raddoppia fra le donne senza un contratto a tempo

indeterminato.

2 Questo termine è usato nelle ricerche scientifiche vedere “The Labor Cost of Motherhood: is a shorter leave helpful?” di Enrica Maria Martino (2018)

129


La figura 3 mostra invece il confronto tra quello che accade ai reddi-

ti delle madri, rispetto ai padri. È evidente dalla figura come il reddito dei padri non venga penalizzato.

2.500

2.000

1.500

1.000

500 -24

-20

-16

-12

-18

-4

0

4

8

Fonte: “The Labor Cost of Motherhood: is a shorter leave helpful?” di Enrica Maria Martino (2018).

12

16 Madre

La contrazione del lavoro e del reddito per le donne sono causati dal fatto che, all’interno delle coppie, gran parte delle incombenze legate alla cura dei figli rimane a carico della madre piuttosto che del padre. Sono

infatti le donne a modificare le proprie condizioni lavorative per farse-

ne carico: nel 2018, il 38,3% delle donne con figli minori di 15 anni rispet-

to all’11,9% degli uomini nelle medesime condizioni. La maggior parte di

queste modifiche – fino al 60% - consistono nella riduzione del numero di ore lavorate. Da questi dati risulta chiaramente la tendenza delle donne a mettere in secondo piano la propria vita lavorativa mentre i com-

pagni, percependo spesso anche stipendi più alti, sono meno orientati

al dedicarsi alla dimensione domestica e concepiscono il proprio contributo all’andamento della vita familiare come legato al sostentamento economico.

Servono misure strutturali e urgenti per trasformare quello che oggi è il

costo della maternità in un’opportunità sociale capace di assicurare un

trattamento paritario delle lavoratrici e incoraggiare l’occupazione femminile. Le misure attuali non sono adeguate a raggiungere questi obiettivi, per due motivi:

1. sono troppo brevi (il bonus infanzia durava solo 6 mesi);

2. non sono legate alla partecipazione al mercato del lavoro delle

donne (bonus asilo nido, detrazioni fiscali).

130

20

24 Padre


ATTUALI BONUS PER CONCILIAZIONE MATERNITÀ-LAVORO E ALTRE MISURE DI AGEVOLAZIONI FISCALI Il “bonus infanzia” dal 2013 al 2018 ha fornito voucher

Il riconoscimento delle agevolazioni fiscali supporta

per l’acquisto di servizi di babysitting o contributi

quindi i membri della famiglia, in particolare quelli

per il pagamento dei servizi per l’infanzia alle madri

di sesso femminile, nello svolgimento di un’attività

lavoratrici che decidono di rinunciare al congedo

lavorativa. Purtroppo, le agevolazioni non raggiungono

parentale. Dal 2017 è, invece, attivo il “bonus asilo nido”

famiglie con redditi talmente bassi da non avere

che ha carattere permanente e può essere fruito

passività fiscale (soggetti cosiddetti “incapienti”).

anche da famiglie in cui la madre non lavora. Aldilà dei

Le detrazioni delle spese per addetti all’assistenza

bonus, nel sistema italiano si prevede un’articolata serie

personale e le deduzioni dei contributi per addetti

di agevolazioni fiscali, con l’obiettivo di minimizzare

ai servizi domestici e familiari sono utilizzate

le differenze di genere perseguono principalmente

prevalentemente da donne (63 per cento). Al contrario,

l’obiettivo di conciliazione tra la vita privata e la vita

la detrazione delle spese per la frequenza di asili nido

professionale:

risulta essere utilizzata prevalentemente da soggetti di

- deduzione dei contributi previdenziali e assistenziali

genere maschile. Questi risultati vanno considerati alla

per gli addetti ai servizi domestici e all’assistenza

luce del minor tasso di occupazione femminile che, per

familiare fino all’importo di 1.549,37 euro, introdotta

definizione, riduce per le donne le percentuali di utilizzo

dalla legge n. 342 del 2000.

delle detrazioni e delle deduzioni. L’attuale sistema

- detrazioni dall’imposta personale sui redditi rientra

non riconosce, infatti, forme di sostegno specifiche

pari al 19 per cento delle spese sostenute per la

alle cosiddette “mamme lavoratrici”, attraverso

retribuzione di addetti all’assistenza, anche tramite

misure riservate alle donne che dopo la nascita di un

colf e badanti, per le persone non autosufficienti.

figlio continuano a lavorare con regolarità. Le attuali

- detrazione pari al 19 per cento delle spese

misure fiscali a sostegno dei figli (detrazioni), possono

sostenute per il pagamento delle rette degli asili

infatti essere fruite da entrambi i genitori (se la donna

nido.

non lavora ne fruisce per intero l’uomo), così come gli assegni al nucleo familiare, quando spettanti, prescindono dalla posizione lavorativa della donna.

131


LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 3.2.1

Incentivo per rientrare al lavoro dopo la maternità. Proponiamo un incentivo post-maternità per le lavoratrici che rientrano al lavoro o inizia-

no un nuovo impiego dopo aver usufruito del congedo di maternità, entro il compimento del primo anno di età del bambino. L’incentivo durerà

fino a 30 mesi, e consterà di un sostegno al reddito, erogato direttamente dall’INPS, pari al 30% della retribuzione mensile al primo figlio, con tetto a

5.000 euro, al 35% al secondo figlio, con tetto a 6.500 euro e al 40% dal terzo

figlio, con tetto a 8.000 euro.

Le lavoratrici con uno stipendio annuo inferiore a circa 17.000-20.000 euro

(17.000 per il primo figlio, 19.000 per il secondo, 20.000 dal terzo) avranno un

forte incentivo ad aumentare le ore di lavoro perché il sussidio che ricevono aumenta all’aumentare del reddito. Stime di Costo:

Per 200,000 madri l’anno circa il costo complessivo a regime è stimato a max 3,6 mld anno (200 mila * 18 mila) - circa un quinto del costo degli “80 euro”.

“CHILDCARE ELEMENTS” NELL’AMBITO DEL “WORKING TAX CREDIT” DEL SISTEMA BRITANNICO Nel sistema britannico di sussidi alle famiglie,

determinate spese per la tutela dei figli. Il beneficio

viene prevista una quota a copertura dei costi

copre il 70 per cento delle spese di assistenza

per l’assistenza all’infanzia: tale agevolazione

all’infanzia dichiarate, fino a un limite massimo

è destinata a nuclei mono e biparentali con figli

riconosciuto per queste ultime, assicurando in questo

al di sotto di una certa età, in cui entrambi i genitori, o il

modo la possibilità per i coniugi di continuare

solo presente, lavorino per un numero minimo

a lavorare, sostenendo parte delle spese necessarie

di ore a settimana e che effettivamente sostengano

all’assistenza dei figli (asili, mense, trasporti…).

3.2.2 Incentivi post-pandemia LA SITUAZIONE OGGI

La crisi economica causata dalla pandemia Covid-19 ha colpito maggiormente le donne rispetto agli uomini. Un dato riassume chiaramente que-

sta disparità: dei 444 mila occupati in meno a fine 2020 rispetto a fine 2019, oltre il 70% (312 mila) sono donne.

La Legge di Bilancio 2021 ha reintrodotto la decontribuzione “Fornero 2012”

per le assunzioni nel biennio 2021-2022. Questa misura consiste in una decontribuzione alle imprese che assumono donne. L’ammontare della contribuzione, pari al 50% nel 2012, è stato incrementato fino al 100%. L’incentivo

dura per 12 mesi per le assunzioni a tempo determinato e per 18 mesi per 132


quelle a tempo indeterminato. L’incentivo non si applica a rapporti di tipo intermittente o occasionale.

Il beneficio è riservato alle imprese che assumono “donne lavoratrici

svantaggiate”, ovvero donne che stanno fuori dal mercato del lavoro da

un certo numero di mesi, che varia a seconda dei criteri nella seguente tabella:

SOTTO I 50 ANNI

SOPRA I 50 ANNI

Residente in una regione che percepisce fondi strutturali o impiegata in una professione con accentuata disparità di genere

6 mesi

6 mesi

Residente in una regione che non percepisce fondi strutturali o occupata in una professione priva di accentuati divari di genere

24 mesi

12 mesi

La decontribuzione, nel periodo 2013-2018, ha avuto effetti significativi e

positivi sull’occupazione femminile di oltre il 5% e ha aumentato anche la

durata dei contratti di lavoro delle donne assunte sfruttando la decontribuzione.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 3.2.2

Sgravi fiscali per le imprese che assumono donne. Proponiamo di esten-

dere i requisiti temporali per la decontribuzione completa lato impresa, dimezzando i requisiti minimi in termini di durata del periodo di disoc-

cupazione al fine di coprire una platea molto più ampia di donne soste-

nendo la loro piena partecipazione nel mercato del lavoro. Le donne che potranno beneficiare della decontribuzione saranno quindi coloro che

sono fuori dal mercato del lavoro da almeno:

SOTTO I 50 ANNI

SOPRA I 50 ANNI

Residente in una regione che percepisce fondi strutturali o impiegata in una professione con accentuata disparità di genere

3 mesi

3 mesi

Residente in una regione che non percepisce fondi strutturali o occupata in una professione priva di accentuati divari di genere

12 mesi

6 mesi

133


3.3 Trasparenza nelle retribuzioni e negli organici - Certificazione Equità salariale LA SITUAZIONE OGGI

Secondo i dati INPS, nelle imprese con più di 15 dipendenti le donne guadagnano in media tra i 200-300 euro al mese in meno degli uomini, a parità di qualifica, contratto e rapporto di lavoro1.

Per risolvere i problemi che impediscono alle donne di avere le stesse opportunità degli uomini sul mercato del lavoro è necessario avere

una fotografia chiara della situazione attuale. In Italia tuttavia questa non è facile da realizzare a causa di una grave mancanza di dati

e di trasparenza, come hanno già segnalato più istituzioni (es. il Comitato Europeo per i Diritti Sociali). Per ovviare a questa mancanza

di dati che impedisce di individuare le zone di più grande disuguaglianza che vanno corrette, proponiamo un forte impulso di trasparenza per il mondo privato e pubblico2;3.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 3.3.1

Obbligo di trasparenza su retribuzioni, organici e promozioni. Proponiamo di creare un Certificato di Equità salariale su organico, retribu-

zioni e promozioni per tutte le aziende private e tutti gli organi della Pubblica Amministrazione. Questo certificato sarà prodotto dall’INPS

1 Per maggiori dettagli, si veda il lavoro “What Firms Do: Gender Inequality in Linked Employer-Employee Data” di A. Casarico e S. Lattanzio, 2019. 2 Più ricerche evidenziano l’effetto positivo delle misure di trasparenza per contrastare il divario di genere. Tra questi citiamo Do Firms Respond to Gender Pay Gap Transparency? di M.Bennedsen, E.Simintzi, M.Tsoutsoura 3 Link Utili - vedi qui https://www.lavoce.info/archives/63364/divari-di-genere-la-trasparenza-aiuta-a-limitarli/

134


(che ha già accesso a tutte le informazioni necessarie), in modo da

evitare di imporre alle imprese il costo amministrativo di fornitura dei dati. Il certificato conterrà informazioni su:

• il numero di donne in azienda, il numero di assunte per livello e la

ripartizione dell’organico;

• le retribuzioni medie di uomini e donne per livello, e la loro differenza,

su base annua e ripartita tra ruoli;

• le promozioni assegnate a lavoratrici donne in rapporto a quelle

degli uomini. Laddove vi fossero differenze significative, è necessario

spiegarne la motivazione;

proponiamo poi la creazione di un osservatorio all’interno del Ministero

del Lavoro che pubblichi informazioni aggregate sulle certificazioni, ed

in particolare una classifica delle imprese che registrano i più alti livel-

li di equità salariale, nonché informazioni sulle imprese che decidono di attuare misure per ridurre i gap a seguito delle informazioni ricevute.

• Il numero di donne in azienda, il numero di donne assunte per livello e la ripartizione dell’organico;

• Le retribuzioni medie di uomini e donne, e la loro differenza, su base annua e ripartita per ruoli;

• Le promozioni assegnate a lavoratrici donne in rapporto a quelle degli uomini. Laddove vi fossero differenze significative, a spiegarne la

motivazione.

• L’accesso a strumenti di flessibilità lavorativa Questi dati vengono inviati all’Agenzia per la parità di genere che sviluppa analisi sullo stato della parità di genere e, laddove sarà carente, lavorerà con le imprese e le associazione di categoria per incentivarla.

Proposta 3.3.2

Incentivo per raggiungere l’equità salariale. Proponiamo una decon-

tribuzione completa lato impresa per il primo anno per gli aumenti salariali adottati per chiudere il gender wage gap. Se il certificato di equi-

tà salariale attesta la presenza di un gap di genere nelle retribuzioni, l’impresa che decide di attivarsi per chiuderlo riceverà una decontri-

buzione completa per un anno sugli aumenti di stipendi effettuati con questa finalità.

135


3.4 Combattere gli stereotipi, dalla nascita 1

LA SITUAZIONE OGGI1

In Italia, la quota di laureate donne è pari al 56% del totale dei laureati e la percentuale cresce al 60% se consideriamo studi post-laurea. Tuttavia, le

percentuali si invertono se consideriamo le lauree STEM (scienza, tecno-

logia, ingegneria, matematica). Infatti, il 74% dei laureati in ingegneria e il 68,4% in gruppi scientifici sono uomini2.

Questa disparità non ha ovviamente nessuna ragione biologica di esistere: è chiaramente frutto di uno stereotipo di genere. Alle bambine vie-

ne trasmesso che non saranno mai brave tanto quanto i loro coetanei

maschi in matematica e scienze. Che questa sia la logica adottata involontariamente nelle scuole è confermato da diversi studi che mostrano

come laddove l’uguaglianza di genere è minore, maggiore è il divario dei risultati in matematica tra uomini e donne3.

Le conseguenze di questo stereotipo producono effetti nelle scelte di

formazione universitaria e, di conseguenza, anche nelle scelte lavorative. Esiste infatti una forte segregazione occupazionale tra donne e uo-

mini: molto spesso le donne sono più numerose in mestieri stereotipati

come femminili e caratterizzati da basse retribuzioni e scarsa prospettiva di carriera. L’occupazione femminile è inoltre più debole nei settori fi1

In questa sezione, utilizziamo il termine ”stereotipi di genere” come traduzione di gender bias, termine più usato nella ricerca

2 Da dati ISTA

3 “Culture, Gender, and Math” L.Guiso, F.Monte, P.Sapienza, L.Zingales

136


nanziari, scientifici ed informatici.

Pensiamo che gli stereotipi vadano combattuti lungo tutta la filiera

educativa e lavorativa, con un lavoro di presa di coscienza da parte di

educatori, insegnanti e datori di lavoro, attraverso una serie di policy mirate.

LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 3.4.1

Combattere gli stereotipi nell’insegnamento. Siccome possono essere gli

insegnanti stessi a trasmettere, anche involontariamente, gli stereotipi di genere, è necessario aumentare la loro consapevolezza del fenomeno, e

permettere loro di correggerlo, con un’adeguata formazione. In partico-

lare, serve una formazione continua e obbligatoria per gli insegnanti nel-

le materie matematiche e scientifiche, materie dove le performance degli

studenti sono migliori di quelle delle studentesse a causa di condizionamenti sociali. Per promuovere e finanziare la formazione, proponiamo che

150 dei 500 € di bonus assicurati dalla Carta del docente siano vincolati a questi percorsi formativi.

Proposta 3.4.2

Promuovere dei modelli femminili nelle scuole. L’Agenzia per la Parità di Genere (proposta 3.3.3) collaborerà con il Ministero dell’Istruzione per far

sì che vengano presentati più role model femminili nelle scuole. Ciò potrà essere fatto rivedendo i libri di testo e l’offerta formativa, ma anche

con l’organizzazione di attività incentrate sulla conoscenza di figure femminili di successo o che hanno contribuito alla storia, alle arti e alle scienze. (es. eventi con personaggi di riferimento).

Proposta 3.4.3

Favorire le vocazioni, incentivare i percorsi scientifici. La sottorappre-

sentazione femminile è particolarmente evidente nelle facoltà di ingegneria, dove solo il 23% degli immatricolati sono donne. Sono meno di

3 su 10 le donne immatricolate anche nelle facoltà scientifiche (27%)4.

Raggiungere una distribuzione di genere più equilibrata in queste facol-

tà è molto importante perché questi sono settori altamente tecnologici che portano solitamente a posizioni lavorative altamente retribuite. Inol-

tre, disincentivare le donne a studiare alcune discipline priva la ricerca

scientifica e il mercato del lavoro italiani di molti talenti che, se impiegati

meglio, potrebbero portare molti benefici sociali. Infine, la larga maggioranza maschile di occupati in questi settori alimenta il falso mito di ge-

nere secondo il quale gli uomini sono naturalmente più dotati per gli studi STEM e che il lavoro maschile sia prioritario rispetto a quello femminile.

4 Dati ISTAT

137


Per correggere questo fenomeno proponiamo di istituire delle borse di

studio specifiche per le studentesse, che permettano di coprire i costi di retta per i corsi di laurea di primo e secondo ciclo nelle facoltà citate. Le

borse di studio saranno consegnate sulla base dei risultati accademici

e l’assegnazione sarà rivista annualmente sullo stesso criterio. Oltre alla copertura dei costi di retta, proponiamo di raddoppiare il sostegno al-

la autonomia educativa (si veda proposta 2.1.1.1) da 200€ a 400€ mensili.

Considerando un importo di 2.000 € per la copertura della retta accademica e 2.400 € annui aggiuntivi al sostegno alla formazione, la borsa di studio mette a disposizione 4.400 € annui.

Per fare una stima del costo della proposta, consideriamo che la platea

dei beneficiari corrisponde all’attuale numero di studentesse immatri-

colate nelle facoltà scientifiche e ingegneristiche, ovvero 67.000 studen-

tesse circa. Se ognuna di queste studentesse avesse accesso alla borsa

di studio, lo stanziamento necessario per questa misura sarebbe di circa 300 milioni di euro1.

Questa proposta è temporanea, resterà in vigore fino a quando la partecipazione delle ragazze alle facoltà STEM resterà bassa.

Genere e facoltà STEM: stima dei costi

Immatricolati valori ass.

% femminile

Immatricolate donne valore ass.

Borsa di studio per retta

Borsa di studio per vita

Borsa di studio retta + vita

Gruppo Scientifico

57.901

27

15.541

€ 31.082.000

€ 37.298.400

€ 68.380.400

Gruppo Ingegneria

223.280

23

51.485

€ 102.970.000

€ 123.564.000

€ 226.534.000

€ 134.052.000

€ 160.862.400

€ 294.914.400

Costo totale minimo proposta

Oltre alle proposte qui citate, la proposta 1.2.6. del capitolo Asili Nido, con-

tribuisce al contrasto degli stereotipi di genere incentivando la partecipazione maschile nei mestieri della prima infanzia.

1 Si tratta di un costo minimo perché non prende in considerazione l’eventuale aumento delle iscritte

138


139


3.5 Contrasto alla violenza LA SITUAZIONE OGGI

La violenza sulle donne, fisica e psicologica, non è un incidente: è il lato

peggiore e più evidente di una discriminazione sistematica che configura la donna come oggetto dell’uomo e non come individuo autonomo. È la manifestazione più grave della discriminazione di genere, quella

che va combattuta con più forza e immediatezza: se non si agisce contro la violenza, la parità di genere non si otterrà mai.

Per noi violenza di genere non è solo il femminicidio. È la distribuzione

diseguale della paura: se una donna ha più paura di un uomo mentre cammina sola per strada, quella è violenza di genere; se una don-

na ha più paura dell’uomo a opporre resistenza a abusi, quella è violenza di genere.

I dati su questo fenomeno sono pochi e sono mal censiti, poiché la vio-

lenza e la paura vivono e crescono nel silenzio. Ciononostante, solo a marzo 2019, sappiamo che in Italia 88 donne sono state ogni giorno vittime di violenze fisiche e psicologiche: una ogni 15 minuti1.

L’indagine sulla sicurezza sulle donne dell’Istat rileva che una donna su tre dichiara di aver subito violenze fisiche o sessuali, una donna su due

subisce violenze psicologiche da parte dei partner, una donna su cinque subisce fenomeni di stalking e quattro su cinque sono state molestate

in strada. Nel 2019, 111 sono state uccise, l’88,3% da qualcuno di conosciuto, che nella maggior parte dei casi era proprio il partner attuale o precedente (il 61,3% dei casi)2. 1 Dati resi noti dalla Polizia di Stato. 2 Dati Istat.

140


prevenzione, che deve essere diffusa su tutti i livelli della società, è fondamentale assicurare una rete di assistenza e di protezione alle vittime che troppo spesso hanno paura di denunciare la propria situazione. Questo si può fare rafforzando le misure già esistenti per l’accoglien-

za delle vittime e dando una formazione adeguata alle forze dell’ordine sul tema. Dopo una prima fase di assistenza emergenziale, le donne vittime di violenza hanno diritto al tempo necessario per ricostruire una

vita autonoma: per questo chiediamo che siano aiutate a lungo termine con misure che assicurino la loro indipendenza.

Ad oggi, uno dei più efficaci strumenti per rispondere all’emergenza della violenza sulle donne sono i Centri Anti Violenza (CAV) che offrono

ascolto, accoglienza, accompagnamento e orientamento a vittime di

violenza (nel 95% dei casi) e molto spesso anche supporto alloggiativo (66%). Tuttavia, pensiamo che questa rete sia sotto finanziata, sot-

todimensionata, e meno proattiva di quello che dovrebbe essere per combattere davvero la violenza di genere.

Nel 2018 si registrano 257 CAV sul territorio nazionale, pari ad una media di 0,04 CAV ogni 10mila abitanti, lontani dall’obiettivo UE di 1 CAV per ogni 10 mila abitanti. L’Italia è circa 25 volte sotto il benchmark. Inoltre,

la distribuzione dei CAV è altamente disomogenea sul territorio nazionale.

Nessuna regione italiana raggiunge il target di copertura di CAV Distribuzione regionale dei centri antiviolenza, tassi per 10 mila abitanti, anno 2018 0,10

0,08

0,06

0,04

Sicilia

Basilicata

Lazio

Trento

Marche

Italia

Campania

Veneto

Lombardia

Piemonte

Sardegna

Calabria

Umbria

Emilia Romagna

Liguria

Puglia

Toscana

Friuli Venezia Giulia

Abruzzo

Bolzano-Bozen

Valle D ’Aosta

0,00

Molise

0,02

Media nazionale Fonte: ISTAT

141


LE NOSTRE PROPOSTE: Proposta 3.5.1

Moltiplicare per 24 il numero dei centri antiviolenza per raggiungere i

target europei. Aumentare il numero dei CAV fino al raggiungimento di 1 CAV ogni 10mila abitanti per ogni regione, come da obiettivo UE. Gli attuali 257 CAV dovrebbero diventare 6.042. È perciò necessario aprire 5.785 nuo-

vi CAV distribuiti sul territorio per assicurare che il benchmark europeo sia raggiunto da ogni regione (vedi tabella pagina successiva).

Per aumentare l’offerta di CAV in ogni regione abbiamo analizzato le diverse tipologie di gestore e promotore degli attuali CAV:

• il 61,9% dei CAV sono gestiti e promossi da enti privati, quali enti del terzo settore;

• il 10,1% sono gestiti e promossi da enti pubblici;

• il 22,6% sono gestiti da enti privati con finanziamenti pubblici;

• il 5,4% dei CAV sono senza indicazioni. Ad ognuna di queste tipologie corrisponde un finanziamento necessario

per avviare l’attività. I costi per lo Stato sono diversi a seconda della tipo-

logia di struttura, perché in base al gestore ci sono dei modelli di spesa diversi (es. le spese di gestione del gestore pubblico sono tutte al carico

dello Stato). Il modello che necessita più supporto finanziario pubblico è

il CAV a gestore e promotore pubblico, mentre quello che ne necessita meno è il CAV con gestore e promotore privato. Per la quota di CAV sen-

za indicazione ipotizziamo lo stesso costo che per i CAV a gestore e promotore pubblico. La tabella seguente riflette le nostre ipotesi.

TIPOLOGIA OFFERTA

FINANZIAMENTO DELLO STATO PER OGNI CAV

Promotore privato e gestore privato

30 mila euro a fondo perduto

Promotore pubblico e gestore pubblico

67 mila euro

Promotore pubblico e gestore privato

40 mila euro

Tipologia non indicata

67 mila euro

Nota: i finanziamenti per le diverse tipologie di CAV sono frutto di nostre ipotesi. L’unico dato a nostra disposizione è la stima del costo per l’apertura di un nuovo CAV pubblica nella regione Lazio, ovvero 67 mila euro.

Considerando l’attuale composizione pubblico-privato dei CAV e ipotizzando di aumentarla proporzionalmente sulla base dei costi sopracita-

ti, stimiamo che per aumentare l’attuale numero di CAV a 6.042 e raggiungere il benchmark europeo di copertura siano necessari circa 220 milioni di euro.

Vedi tabella a pagina 142 per dettaglio 142


Proposta 3.5.2 Sostegno alle vittime: garantire autonomia e sicurezza dopo la violenza. Denunciare le violenze subite, per una donna, è l’inizio di un percor-

so nuovo. Infatti, una delle ragioni che impedisce loro di denunciare, è

la paura di ritrovarsi senza una casa e senza un reddito. Oltre ad un percorso di allontanamento dalla violenza è fondamentale offrire loro gli strumenti per emanciparsi ed iniziare una nuova vita, alleggerendo

le probabili preoccupazioni economiche e lavorative. Per raggiungere questo obiettivo saranno inserite le seguenti misure:

• Garantire l’accesso a tutte le donne ospitate in una casa rifugio, in

automatico, a un sussidio di inclusione per tre anni, che permetta loro di essere indipendenti. Saranno i centri di accoglienza stessi a fare

richiesta per ogni donna accolta e non sarà necessario ripresentare la richiesta annualmente. Secondo l’ISTAT nel 2018 le donne ospitate

in una casa rifugio erano 1.585. Ipotizziamo che grazie all’apertura di nuovi CAV e alla maggiore sensibilizzazione contro la violenza sulle

donne, il numero di ospiti delle case rifugio possa raddoppiare. Vogliamo erogare ad ogni donna il beneficio massimo previsto dall’attuale Reddito di Cittadinanza (misura la cui modifica affronteremo

successivamente), pari a 9.360 euro all’anno. La stima del costo massimo di questa misura sarebbe di circa 30 milioni di euro annui.

• Assicurarsi che le donne vittime di violenza riescano ad integrare il

mercato del lavoro stabilmente, organizzando regolarmente delle

sessioni di orientamento lavorativo e servizi di assistenza per la ricerca e la candidatura a posti di lavoro.

• Assegnare ad ogni vittima un’operatrice che la seguirà a lungo ter-

mine (minimo 2 anni dopo la fine del percorso nei CAV), con incontri regolari e assistenza sociale.

Particolare attenzione sarà dedicata anche ai figli delle donne vittima di

violenza, che sono spesso sottoposti a cambiamenti drastici e improv-

visi, come la separazione dei genitori, il cambiamento di abitazione e scuola. All’interno dei CAV proponiamo quindi di offrire anche percorsi di supporto psicologico per i figli delle donne che vi si rivolgono.

143


Piano di potenziamento dei CAV Mantenendo le composizione attuale, quali tipologie dei CAV aggiuntivi

Quanti CAV aggiuntivi sono necessari

Mantenendo le % attuali, quanti CAV aggiuntivi Promotore e Gestore Privato

Mantenendo le % attuali, quanti CAV aggiuntivi Promotore Pubblico e Gestore Privato

N° Centri Antiviolenza

Tassi per 10.000 abitanti

Quanti devono essere per target 1/10.000 ab.

16

0,04

437

4211

263

0

Valle

1

0,08

13

12

0

12

Liguria

8

0,05

155

147

92

37

Lombardia

44

0,04

1005

961

742

153

Bolzano/Bozen

4

0,08

53

49

0

24

Trento

1

0,04

54

53

0

53

Veneto

22

0,08

490

468

256

106

Friuli-Venezia

7

0,02

122

115

82

33

Emilia-Romagna

21

0,04

446

425

324

61

Toscana

24

0,06

373

349

262

58

Umbria

4

0,05

88

84

63

0

Marche

5

0,03

153

148

0

118

Lazio

13

0,02

589

576

266

310

Abruzzo

10

0,08

131

121

61

0

Molise

3

0,10

31

28

0

28

Campania

21

0,04

581

560

213

133

Puglia

25

0,06

404

379

227

136

Basilicata

1

0,02

56

55

0

0

Calabria

9

0,05

195

186

166

21

Sicilia

10

0,02

501

491

491

0

Sardegna

8

0,05

164

156

78

39

257

0,04

6042

5785

3579

1306

REGIONE Piemonte

ITALIA

Fonte: Rielaborazione del Centro Studi Azione su dati ISTAT

144


Spesa pubblica per i CAV aggiuntivi Mantenendo le % attuali, quanti CAV aggiuntivi Promotore Pubblico e Gestore Pubblico

Mantenendo le % attuali, quanti CAV aggiuntivi di tipo non indicato

Spesa pubblica per CAV aggiuntivi Promotore Privato

Spesa pubblica per CAV aggiuntivi Promotore Pubblico

Spesa pubblica per CAV di tipo non indicato aggiuntivi

Totale Costi

79

79

€ 7.886.504,06

€ 5.283.957,72

€ 5.283.957,72

€ 18.454.419,51

0

0

--

€ 463.736,00

--

€ 463.736,00

0

18

€ 2.763.394,69

€ 1.473.810,50

€ 1.234.316,29

€ 5.471.521,48

66

0

€ 22.274.055,27

€ 10.503.745,67

--

€ 32.777.800,95

24

0

--

€ 2.618.632,40

--

€ 2.618.632,40

0

0

--

€ 2.121.992,00

--

€ 2.121.992,00

85

21

€ 7.666.016,73

€ 9.965.821,75

€ 1.426.730,89

€ 19.058.569,36

0

0

€ 2.455.792,50

€ 1.309.756,00

--

€ 3.765.548,50

40

0

€ 9.705.264,00

€ 5.135.702,20

--

€ 14.840.966,20

29

0

€ 7.859.935,13

€ 4.279.298,01

--

€ 12.139.233,14

21

0

€ 1.897.486,88

€ 1.412.573,56

--

€ 3.310.060,44

0

30

--

€ 4.731.238,40

€ 1.981.206,08

€ 6.712.444,48

0

0

€ 7.972.459,62

€ 12.401.603,85

--

€ 20.374.063,46

36

24

€ 1.820.082,00

€ 2.438.909,88

€ 1.625.939,92

€ 5.884.931,80

0

0

--

€ 1.108.220,00

--

€ 1.108.220,00

80

133

€ 6.404.886,86

€ 10.701.498,46

€ 8.940.154,57

€ 26.046.539,89

15

0

€ 6.819.565,50

€ 6.471.009,93

--

€ 13.290.575,43

55

0

--

€ 3.718.456,45

--

€ 3.718.456,45

0

0

€ 4.965.090,67

€ 827.515,11

--

€ 5.792.605,78

0

0

€ 14.740.320,00

--

--

€ 14.740.320,00

20

20

€ 2.345.825,25

€ 2.873.635,93

€ 1.309.752,43

€ 6.529.213,61

585

315

€ 107.576.679,14

€ 89.841.113,82

€ 21.802.057,91

€ 219.219.850,87

145


Proposta 3.5.3

Formazione per forze dell’ordine, avvocati e magistrati. Per incoraggiare le vittime di violenza a denunciare i reati, le autorità pubbliche, con le

quali le vittime entrano in contatto al momento della denuncia e devono rapportarsi nel corso dei processi, devono essere preparate a fornire la dovuta assistenza. Per raggiungere questo obiettivo, proponiamo di

inserire nei percorsi di formazione delle forze dell’ordine, degli avvocati e dei magistrati un corso obbligatorio per rispondere al meglio a reati di violenza di genere. Il corso sarà gestito da esperti dei CAV.

CORSI DI FORMAZIONI OBBLIGATORI PER LE FORZE DELL’ORDINE IN LUSSEMBURGO In Lussemburgo, per assicurare che la legge

domestiche, anche conosciuti come il ciclo della

contro le violenze domestiche fosse implementata

violenza; gli interventi della polizia e il processo

correttamente a tutti i livelli, è stato creato un

legislativo e registrazione e rapporto degli incidenti

programma di formazione obbligatoria per le

e degli interventi. Quando la misura è stata introdotta

forze dell’ordine. Il corso è stato sviluppato dalle

è stata offerta la possibilità a chi era già agente

organizzazioni di supporto alle vittime di violenze di

di polizia di recuperare il corso di formazione.

genere ed è incluso nel periodo di formazione che

Negli anni successivi ai primi corsi di formazione

ogni agente di polizia deve seguire ad inizio carriera.

già sono stati osservati i risultati: in Lussemburgo,

Gli agenti ricevono una preparazione in particolare

gli interventi delle forze dell’ordine contro

sui seguenti temi: aspetti psicologici delle violenze

le violenze domestiche sono aumentati.

Proposta 3.5.4

Prevenzione e coordinamento nazionale: raccolta e analisi dei dati sul-

le violenze. Per analizzare il fenomeno della violenza contro le donne e creare le migliori soluzioni al problema, proponiamo che l’Agenzia per la Parità di Genere (proposta 3.3.3) si prenda in carico di coordinare la rac-

colta dati presso i CAV e di elaborare statistiche e policies che vadano a combattere la violenza di genere. A collaborare con il centro di ricerca saranno proprio le operatrici e i gestori dei CAV che meglio conoscono il fenomeno.

146


Proposta 3.5.5

Fondo dedicato alle campagne di prevenzione. La lotta alle violenze sulle donne inizia con l’educazione dei cittadini. Per questo è necessario aumentare i fondi per le campagne di prevenzione del fenomeno e

per la diffusione dell’informazione riguardo ai servizi di assistenza. Oltre

ad uno stanziamento di 1 milione di euro per anno, il Governo metterà a disposizione gratuitamente spazi pubblicitari e canali mediatici per le campagne di sensibilizzazione.

UNA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE NO STOP PER UN ANNO IN FRANCIA Ogni anno il Governo francese sceglie una causa sociale

televisione, radio, posters, stampa, seminari, conferenze

da sostenere con il progetto Grande Cause Nationale

e dibattiti pubblici) seguendo un cronoprogramma

che consiste, tra le altre cose, nel mettere a disposizione

ed una sequenza logica ben precisa. Per esempio,

gratuitamente spazi pubblicitari sui canali mediatici

sono state organizzate su tutto il territorio delle proiezioni

nazionali. Nel 2010, la causa sociale scelta è stata la lotta

del film Dominance Masculine (Dominazione Maschile)

contro la violenza sulle donne , affidando il progetto a

accompagnate da discussioni sui temi. È stato scelto

25 ONG. Far partecipare più associazioni al progetto

un messaggio semplice e chiaro, centrale e prioritario

ha permesso di adottare un approccio multisettoriale

per tutta la campagna di sensibilizzazione:

e coprire tutte le aree della società e tutte le categorie

far conoscere a tutti la linea telefonica 3919 per

occupazionali. La campagna di sensibilizzazione, della

aiutare le vittime di violenza domestica. Nell’anno

durata di 1 anno, ha utilizzato in maniera efficace

della campagna il numero di chiamate al 3919

tutti i metodi mediatici messi a disposizione (cinema,

è raddoppiato, dimostrazione del successo del progetto.

147


3.6 Educazione sessuale LA SITUAZIONE OGGI

L’Italia è tra i pochi altri paesi UE (insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Po-

lonia e Romania) dove l’educazione sessuale non è tra le materie obbligatorie del programma d’istruzione nazionale. Eppure, l’Agenzia di salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite ha più volte sottoline-

ato l’importanza della materia. L’educazione sessuale intesa in questo

contesto riunisce più temi quali la parità di genere, le relazioni affettive e interpersonali e gli aspetti anatomici e fisiologici della sessualità.

I falsi miti secondo i quali l’educazione sessuale promuove la promiscu-

ità anticipata o può provocare confusione agli adolescenti sono privi di fondamento scientifico. È invece stato dimostrato che l’educazione sessuale può aiutare gli adolescenti a sviluppare sicurezza e consapevolezza delle proprie scelte di vita1.

La carenza di educazione sessuale è, tra le altre cose, interconnessa al fenomeno delle gravidanze precoci. In Italia nel 2008 (ultimi dati di-

sponibili) ci sono state 2.514 nascite da madri minorenni. La gravidan-

za precoce può essere una delle cause della dispersione scolastica e dell’esclusione sociale delle ragazze madri, fattori che contribuiscono alle disuguaglianze di genere: molte ragazze hanno abbandonato

gli studi al momento della gravidanza e si sono allontanate dai propri coetanei2.

1 Da Guttmacher Advisory

2 Rapporto Piccole Mamme di Save the Children, 2011

148


Proposta 3.6.1

Corsi di educazione sessuale e relazionale nelle scuole. Il Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con il Ministero della Salute e con il Mini-

stero per le Pari Opportunità, preparerà un programma didattico per

l’Educazione Sessuale e Relazionale che si sviluppi su più temi e con contenuti adatti per ogni fascia di età. Una gran parte del programma

verterà sugli aspetti più biologici ed anatomici della sessualità e sarà quindi integrato nei programmi di scienze e biologia. Gli argomenti più relazionali saranno invece trattati da coordinatori scolastici e figure di riferimento per la didattica: l’educazione sessuale deve quindi essere

inserita nei corsi di formazione per il personale didattico. Come racco-

mandato dagli accordi internazionali, il programma tratterà i seguen-

ti temi: relazione tra i sessi ed uguaglianza, violenze, responsabilità dei comportamenti sessuali, contraccezione, prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili3. Il contenuto del curriculum di educazione

sessuale dovrà dare priorità alla prevenzione e all’informazione.

Proposta 3.6.2

Gruppi di sostegno per le giovani madri. Incentivare le associazioni del terzo settore a creare dei gruppi di sostegno per le giovani madri: questa

misura è immaginata per permettere alle giovani madri, troppo spesso isolate e socialmente distaccate dai propri coetanei, di creare delle re-

lazioni e trovare supporto. Le associazioni riceveranno dei finanziamenti per creare dei percorsi di sostegno per le minorenni in situazione di

gravidanza precoce. Questi gruppi si riuniranno regolarmente e seguiranno dei programmi in collaborazione con le strutture ospedaliere, con

le scuole e se necessario con mediatori culturali (sono molte le giova-

ni madri straniere). Le strutture ospedaliere saranno incaricate di informare ed indirizzare le giovani madri verso i gruppi di sostegno. La colla-

borazione con le scuole sarà invece necessaria per creare dei percorsi

didattici per i gruppi delle giovani madri che permettano di conciliare assistenza al neonato e apprendimento scolastico. Per questa misu-

ra proponiamo un finanziamento annuale di 10.000€ per ogni gruppo di sostegno, che potrà accogliere 12 giovani madri. Poiché secondo gli ulti-

mi dati disponibili in Italia le nascite da madri minorenni sono circa 2.500 l’anno, il costo stimato di questa proposta è di circa 2 milioni l’anno.

3 Dati UNFPA

149


150


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